Fotografie di Gianni Viviani
23 Settembre 2020
Villasimius, nostra ultima spiaggia di questa Sardegna Covid Style, con due fermate di ricognizione lungo il tragitto.
La prima, Porto Pino, che ricorda un po' Fregene per quelle villette borghesi sotto i pini e anche, e ancora, Iesolo per quel fondale basso e il numero di stabilimenti che si spartiscono la parte accessibile dal modico parcheggio. Ma la baia, un'ansa di ampio respiro, prosegue fino alla zona più selvaggia, con bionde dune adagiate sul mare. Chi ama il vero distanziamento, può scegliere.
"I 've found my love in Porto Pino" canticchia, sdraiato, fortuna che è intonato, il pacioso fotografo, perché ormai siamo a questi livelli. Sarà che la Sardegna ne abbonda, ma anche questa baia ha il suo super yatch in bella vista: uno scafo futuribile, con 3 alberi che svettano da sopra le dune.
Scafo anche lui da primato: lo yatch a vela più grande del mondo. Disegnato da Philippe Stark, commissionato dall'ennesimo nababbo russo, il piacente Andrey Melnichenko, che è l'89mo uomo più ricco della Terra. Giovane self made man con un occhio per l'equity trading, la capacità di rilevare aziende agonizzanti e di far fruttare i fertilizzanti, ma con l'animo di un romanticone. Andrey ha voluto regalarlo all'amata sposa, non a imperitura memoria come il Taj Mahal, ma io credo che basti il pensiero. L' adorata è una ex modella serba - queste ex jugoslave devono averci una marcia in più, penso a Melania Trump -, certa Aleksandra Nikolic, per la quale il nababbo non bada a spese, dall' invitare Christina Aguilera al loro matrimonio al chiamare Jennifer Lopez a esibirsi al di lei 30esimo compleanno. Performance che la cara, in tutti i sensi, J.Lo, gli ha fatturato ben 2 milioni di dollari. Ma cosa sono pochi miseri e transitori dollari per un uomo che ama?
Dopo questa patetica ma irresistibile parentesi in stile "Diva e Donna", per riscattarmi aggiungo un' indicazione utility a favore dei ciclisti, perché la Sardegna ai ciclisti ci tiene: a parte la pista in materiale tipo tartan - da non confondere con quello dei kilt, dico invece quello utilizzato per le piste di atletica - che da Porto Pino porta a Sant'Anna Arresi e a quella di Carbonia per Sant'Antioco, sono in cantiere diverse ramificazioni che faranno la felicità di chi ama questo sport, tipo il mio compagno di vita e di viaggi, che personalmente trovo di una noia e fatica mortale. Il ciclismo. Non il compagno.
Procediamo lungo la costa.
Tappa alla spiaggia di Tuerredda, entrata numerata e gratis, peccato non si possa dire altrettanto del parcheggio/taglieggio, €7 che tu ci stia 10 minuti o 10 ore. Bagno al solito sublime. Vivacizzato dall' incontro acquatico con Megan, che mi abborda perché - dice - ho dei capelli fantastici. I suoi sono un impegnativo groviglio di treccine: Megan è giamaicana, di un color caffè molto tostato, con un irresistibile sorriso da licheni artici. Da vent'anni in Italia, sposata con un bolognese, ce la raccontiamo mentre sguazziamo: " Affittiamo una casetta a Cabras, poi ci facciamo un sacco di giretti. Ormai mi vogliono pure fare sindaco". Non mi stupisce, perché quando parla di politica Megan è battagliera e tranchant. Voterà "sì" al referendum perché "bisogna ridurre il numero di quelli che rubano." "Non è detto che vengano eliminati i peggiori" dico io. "Giusto. Allora ci penserò" dice lei. Ci salutiamo da amiche. In retrospettiva, posso aggiungere: non mi ha dato retta.
L'arrivo a Villasimius è tassativo entro le 17, prima che venga chiusa la strada per il passeggio serale.
Stare nei tempi ha significato piccole ma dolorose rinunce alla vista delle tante baie tentatrici, svelate solo da file di macchine parcheggiate lungo la strada: Porto Larboi, spiaggia dei Piscinnì, Mari Pintau, Porto Xa Ruxi, Campus; posti da annotare, gioielli color turchese, smeraldo, lapislazzulo: senza contare gli altri, quelli senza nome.
Primo giorno a Villasimius, che come paese non ha molto da dare e perciò ho poco da dire: un corso centrale con una prima parte male in arnese, una bella piazza con un paio di bar e ristoranti al fresco dalle frequentazioni radical chic, una chiesa che è un vero obbrobrio, un reticolo di strade e casette senza passato e direi che questo è quanto. In compenso, dato che la zona si pregia di una costa scenografica e di una decina e passa di spiagge una più sorprendente dell'altra, oltre ad altre meraviglie senza nome, impervie, solitarie e deserte, non sorprende la proliferazione e l'estensione delle neo villette e di villaggi vacanza nati nel circondario. Seconde, terze, quarte case.
Su consiglio di Francesca, dirigente super efficiente del nostro albergo, il piccolo, ben tenuto, Covid rispettoso Belvir, si va a Porto Giunco, dietro la laguna, che può vantare qualche fenicottero, ma tutti con il flessuoso e fotogenico collo immerso in acqua, perché gli ingordi pensano solo ad ingozzarsi e non a dare il meglio di sé. Fotografiamo? propongo speranzosa. Il fotografo, seccato, scuote la testa, col fare superiore di chi la sa lunga. Anche perché la mega attrezzatura da National Geographic che ci trasciniamo dietro da tre settimane, come volevasi dimostrare, è rimasta ogni giorno in camera. Vorrei che venisse messo agli atti.
Siamo a ridosso della torre, acqua sublime, cosa che non fa più notizia. Ci saluta un corpulento personaggio con indosso un colorato boubou stampato: "Arriva Mustafà, ciapa chi, ciapa là", canticchia il vu cumpra'. Vende collanine e maschere del suo Paese, il Senegal. Non vanno a ruba. La fatica di queste persone, e sono molti, che trascinano i loro pesanti fagotti su e giù, che passano da una spiaggia all'altra sotto il sole, sempre allegri e sorridenti, il contrasto con noi affaticati dal far niente, mi fa vergognare. Rimedio come posso: facendo acquisti. Bottino finora: quattro inutili copricostume comprati per buona volontà, senza provarli. La maschera del Senegal non ce l'ho fatta, ma Mustafà è stato comprensivo.
Secondo giorno, per evitare il vento dell'ovest, Francesca consiglia la riparata spiaggia di Sinzias. Capitiamo tra cinque file di ombrelloni, e tre file di corpulente, entusiaste signore che fanno acqua gym, sotto l'improbabile guida di una svogliata ragazzotta tracagnotta. Potevamo cambiare posto, ma no, erano troppo divertenti.
In spiaggia è un vociare incrociato di saluti amichevoli, l' accento è nordico, a priorità veneto-bergamasca.
"Stiamo tutti al villaggio Limoni. Venga a vederlo - mi fa una bionda carnosa e cordiale, mia vicina di bracciata - è proprio uno spettacolo!"
Lo stabilimento che abbiamo scelto con la solita, istintiva, propensione al più caro, ha prezzi da Costa Smeralda. Avrà pure quei gazebo tenduti che costano come un monolocale in affitto, ma se capiti vicino agli autoparlanti mentre è l'ora della ginnastica al ritorno servirà un Amplifon. All'ora di pranzo, in un attimo, il posto si svuota. Tutti all'arrembaggio del buffet immagino, seguito da riposino. Così per qualche ora ci godiamo in solitudine questo mare che sembra dipinto da David Hockney, e che ogni giorno ci sorprende in un crescendo di limpidezza e trasparenza.
Siamo arrivati alla fine. Il diario finisce qui. Ci attendono tre ore di macchina, diretti ad Olbia, con prevista fermata a Nuoro, alla casa di Grazia Deledda. Spero che per molti non sia troppo un sollievo. È stato bello, questo giro, bello farlo e raccontarlo.
A consuntivo possiamo confessare che:
— abbiamo, anzi ho, sbagliato quasi tutte le accomodation
— abbiamo invece centrato tutti i ristoranti
— abbiamo cercato di mantenere le distanze a misura di Covid, mascherine e gel, sempre
— però abbiamo sempre cercato la vicinanza con questo popolo generoso, gentile e caloroso.
— non abbiamo MAI aperto le amache.
Si torna casa. Avevamo un paradiso sotto il naso. Ci voleva il Covid.