La notizia, di questi tempi, è che il famoso gambero rosso di Mazara del Vallo in realtà non esiste. Come è prassi in questi casi, alla banale constatazione di carattere biologico è seguita una violentissima polemica che sta tra il politico e il gastronomico; perché per molti italiani mettere in discussione la storicità e la superiorità dei nostri prodotti significa minacciare la nostra economia e soprattutto la nostra stessa identità.
Lasciando da parte queste discussioni, magari con il proposito di tornarci in futuro, da storico sono molto più interessato a capire come sia nata la denominazione “Gambero rosso di Mazara” e capire perché abbia avuto così tanto successo. A prima vista, infatti, la faccenda potrebbe sembrare molto semplice; c’è un prodotto molto buono che viene fatto, raccolto o pescato in un determinato luogo ed è quindi naturale che quel prodotto assuma il nome del luogo stesso: “caciotta di Pienza”, “prosciutto di Carpegna”, “anguilla di Comacchio”, “lenticchia di Altamura” e così via. Ma, come spesso accade, le apparenze ingannano.
Il primo problema è quello dei confini: dove si smette di produrre il prosciutto di Parma e si comincia a produrne un altro, che per definizione deve essere di qualità inferiore? Determinare l’area di produzione di una denominazione è sempre un atto arbitrario, legato a logiche economiche, più che a vere considerazioni di carattere storico e culturale.
Questo meccanismo, del resto, ce lo ha spiegato molto bene nientepopodimeno che Carlo Marx, quando nel III libro del Capitale descrive il meccanismo che trasforma i maggiori profitti ottenuti dai produttori di Champagne in maggiori rendite fondiarie per i proprietari dei terreni su cui si coltivano le vigne. Ne deriva che la determinazione di un’area di denominazione sarà sempre il compromesso tra i produttori (che vogliono poter produrre sempre di più) e i proprietari terrieri (che al contrario vogliono impedire l’allargamento dell’area per massimizzare la loro rendita). Con buona pace per tutti i discorsi sulla qualità dei terreni, sul microclima, sul know-how e così via.
Quindi, una volta stabilito che la denominazione ha sempre confini artificiali, siamo punto e a capo; resta da capire perché si decida di dare una specifica connotazione geografica a un prodotto che in realtà potrebbe averne molte altre. Da questo punto di vista storicamente scattano due meccanismi che possono essere alternativi, ma anche complementari. Il primo è quello più semplice: il prodotto assume il nome dell’articolazione infrastrutturale che ne consente la diffusione, vale a dire un porto, una stazione ferroviaria, un importante snodo stradale. È il caso, ad esempio, della cipolla di Tropea, che a Tropea non si produce ma che da Tropea è sempre partita per la contemporanea presenza di un importante scalo ferroviario e di un altrettanto importante porto marittimo. Qualcosa di simile, del resto, deve essere accaduto per il celebre “Parmigiano”, visto che il termine indica ciò che viene dalla città e non dalla provincia, ma, come è ovvio, le mucche si allevano in campagna e i caseifici di città non sono mai esistiti. Quindi il nome indica il luogo di partenza del formaggio, non il luogo di produzione: la via Emilia e la linea ferroviaria Milano-Bologna fecero di Parma il centro di smistamento e spedizione di un prodotto che veniva realizzato in un’area estremamente ampia e indefinita, ma che di sicuro non aveva la provincia di Parma come fulcro centrale, almeno fino all’inizio del ‘900.
L’altro meccanismo è quello di trovare un luogo particolarmente evocativo, sul quale si possa costruire una narrazione suggestiva. È questo il caso del lardo di Colonnata, che per evidenti motivi di spazio a Colonnata non si può produrre, se non in quantità irrisorie, oppure del vino di Bolgheri, che grazie alla notorietà del piccolo borgo, finisce per dare il nome a una produzione che non può essere fatta in quel luogo specifico.
E il gambero di Mazara? Questo è proprio il caso in cui i due elementi si sommano e si rafforzano a vicenda. Da un lato c’è un porto estremamente sviluppato e specializzato nella pesca commerciale e dall’altro c’è una storia quasi epica di pescatori costantemente in bilico tra Europa e Africa. Mazara è un luogo evocativo nel quale si incrociano storie millenarie e culture differenti; è quindi stato facile inventarsi una narrazione e il nome di un prodotto. Si è sempre detto che il gambero rosso provenga dalle acque immediatamente frontali le coste di Mazara del Vallo; niente di più falso: questi crostacei, dalla carne squisita e succulenta, arrivano per la maggior parte dai mari della Libia, a centinaia di chilometri di distanza dalla Sicilia.
Uno storico dell’alimentazione non può che sorridere della levata di scudi e dell’indignazione generale, perché sa benissimo che da sempre il cibo più buono non è di chi lo produce, ma di chi lo sa vendere.