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ISCHIA
ISOLA TRANQUILLA
TRA FUOCO
E ACQUA

di ANGELO MASCOLO

L’autobus mi ferma al capolinea. Scendo insieme a frotte accaldate di turisti. Il sole divampa tra i rovi e la scogliera riservando per ultimo uno spettacolo mozzafiato: la gobba di Sant’Angelo, il punto più a sud di Ischia. Questo pezzo di verde e rocce è collegato all’isola da un cordone di terra, sabbia e barche. Nel mezzo stabilimenti, diportisti e pescatori che ingannano il tempo, fumando parole all’ombra di baracchini improvvisati. Molti di loro, con la bella stagione, si dividono tra le nottate in mare e l’accoglienza ai turisti.



Appena arrivato sul porticciolo scopro che questi pescatori/tour operator hanno dato vita a una cooperativa – che si chiama Sant’Angelo ovviamente – e senza sosta fanno avanti e indietro dal porticciolo alle due spiagge ischitane più belle in assoluto: Fumarole e Maronti. È quasi un miracolo che spiagge così ambite dai turisti si trovino nella Ischia più coriacea, quella disegnata tra le frazioni di Panza e Barano d’Ischia, fatta di rocce e una natura quasi inaccessibile. Infatti, se non si vuole intraprendere un sentiero angusto e tutto curve, la strada più veloce da battere è quella del mare. Il biglietto costa 6 euro, andata e ritorno, e comodamente seduti su una piccola lancia si approda in questi luoghi cristallizzati nel tempo.

La sensazione, appena sceso alle Fumarole, è quella di uno spazio fittizio, una sorta di illusione scenica sul punto di sparire da un momento all’altro. La montagna alle spalle ti schiaccia verso il mare mentre la sabbia, al centro tra rocce e mare, appare quasi come un sipario che sta per calare. Il silenzio del luogo non è scalfito nemmeno da una litigiosa coppia di tedeschi (l’accento deciso e marcato è inconfondibile) che sembra averne per tutta la giornata. Quello che rapisce di questa spiaggia è il magnetismo dei colori, una forza alla quale è difficile opporsi. La stessa forza degli elementi primordiali – fuoco ed acqua – che hanno forgiato Ischia.



Parlando con un ischitano che incontro sulla battigia mi confida che sulla loro isola l’acqua fredda non esiste. Nessuna corrente è in grado di stemperare il caldo delle loro acque. E sembra aver ragione visto che le Fumarole, così come tutta Ischia, sono sedute su un cratere irrorato di respiri solfurei e vulcanici. Anche se il nome della spiaggia, mi spiega questo ischitano che si è offerto di farmi da cicerone, non è dovuto tanto alle correnti calde ma ai fumi che fuoriescono da un angolo della spiaggia dove la sabbia raggiunge i cento gradi. Tant’è che i ristoranti aperti alle Fumarole non hanno bisogno di gas per cucinare. Sfruttano semplicemente il calore della sabbia. E con questo preparano tutto: dai primi piatti al pesce passando per lo squisito coniglio all’ischitana.

È metà pomeriggio. Mi congedo dalla mia guida ischitana – un signore distinto di mezza età, pelle scura come pece e una coppia di baffoni argentei alla Bismark – e prendendo di nuovo la navetta raggiungo i Maronti. Questo luogo, e il suo fascino sibillino, si potrebbero spiegare ricorrendo esclusivamente al suo etimo. Maronti, infatti, deriva dal greco μα per μη ‘non’ e ρόων, ρόοντος, letteralmente spiaggia che non è scossa, ossia tranquilla. Scherzando, il conduttore della lancia mi dice che se i napoletani tengono Posillipo, come luogo in cui ogni pena s’annulla, gli ischitani tengono i Maronti.

Tutto è placido qui: la costa si fa meno arcigna, le onde placide e soavi. Quello che però mi affascina subito è il fatto che tra Fumarole e Maronti, dentro una vera e propria ferita di roccia, si trovano le terme di Cavascura. Ci vogliono circa dieci minuti a piedi per raggiungerle. Ospitano un moderno complesso termale costruito su un antico impianto romano. Ed è meraviglioso che si possa abbinare la visita al sito archeologico a un salutare percorso benessere. Ma soprattutto queste terme rimandano i miei ricordi alla letteratura e al grande Plinio Seniore che nella sua Naturalis Historia parla proprio di queste terme, esaltate per lo straordinario potere terapeutico delle acque sulfuree che sgorgano a due passi da me con quell’inconfondibile odore di uova marce.



Prima che il sole declini, la navetta mi riporta al borgo di Sant’Angelo e a piedi raggiungo la stazione degli autobus. C’è però ancora una cosa da fare prima, in questa lunghissima giornata trascorsa nel cuore più profondo di Ischia. Ritorno in albergo, che si trova aggrappato a una delle ultime curve di Panza, tra colline rocciose e una sottile foschia da cui prorompe la dirimpettaia Capri. Appena arrivo in camera approfitto del wi-fi della struttura e prenoto tramite il sito una visita al Museo Archeologico di Pitheccusai per il giorno dopo. Lì c’è un oggetto che da troppo tempo attendo di vedere. Pochi minuti dopo il tono di una notifica allo smartphone mi conferma che la prenotazione è andata a buon fine.

Fuori intanto il tramonto è ad un passo. Dopo un bagno rigenerante mi concedo al ponente che investe la stanza e il terrazzino. Sfilo una sedia e mi godo la vista di Capri e il suo crepuscolo mondano sorseggiando un bicchiere di bianco ghiacciato.

Biancolella, naturalmente.

(1 - Continua)

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