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(Red moon di Marlene Dumas)

MARLENE DUMAS
ARTE CHE INQUIETA
SENZA FINALE

di GABRIELLA AMBROSIO

 

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“Uso immagini di seconda mano ed emozioni di prima mano” dice del suo lavoro Marlene Dumas, riferendosi al fatto che le sue opere, fortemente emozionali, a volte scioccanti, nascono sempre da foto, film, fotogrammi di film, sculture e dipinti altrui. La sua mostra a Palazzo Grassi, con più di 70 opere raccolte sotto il titolo di ‘Endless’, ha chiuso il 9 gennaio in una Venezia ancora imbellettata dalle luci del Natale e avvolta in una nebbiolina che ne sfumava i contorni senza riuscire per questo a salvarla dal reale. La carne dei turisti la stuprava ondeggiando compatta in una massa unica fra S.Polo e S.Marco, un gregge che s’intrecciava e strecciava davanti alle vetrine del kitsch, zeppe di gondoline, maschere e vestiario pacchiano.

(Snowwhite and the next generation)

(Dead Marylin)

Brodskij scriveva che il fondale di Venezia rubava la scena all’artista. Altri tempi. Oggi può accadere il contrario. Una pittura come quella della Dumas può rimanere negli occhi e contaminare e fondersi nella visione dei corpi accalcati fra le calli, nella ricerca di un significato, in un endless appunto: senza un finale, a lettura aperta. Sei dentro Palazzo Grassi davanti alla raffigurazione di una Biancaneve nuda (Snowwhite and the Next Generation), il corpo di un bianco marmoreo disteso sul catafalco, osservato da un gruppetto di nani raccolti intorno come pronti a un pasto. O davanti all’espressione di S.Teresa (Smoke) che l’artista si proponeva di catturare dalla scultura del Bernini, la cui estasi alla fine però non è altro che il piacere di uno sbuffo di fumo di sigaretta.

(Smoke)

(Betrayal)

In Red Moon una figura galleggia nell’acqua nera della notte verso rive ignote. E in Losing her meaning, una donna nuda galleggia a testa in giù nell’acqua grigio verde. Il dipinto Dead Marilyn è il volto irriconoscibile della diva basata su una foto della sua autopsia. In Homage to Michelangelo la Pietà Rondanini è vissuta come la lotta con un destino che impedisce all’artista di portare a termine l’opera, e alla Vergine di riportare in vita la salma. Davanti a Betrayal rimani a fissare ventotto ritratti di persone in fila più una rana, il presagio di un tradimento. E più oltre, fra primi piani inquietanti di personaggi noti e no, fra colori accesi e nudi ripresi da riviste pornografiche nell’atto di masturbarsi, ritrovi la rana: la ritrovi crocifissa (The Crucifixion ), che ti mostra il suo ventre bianco e molle.

(The white disease)

(The Crucifixion)

E alla fine anche The white disease, che è il ritratto di un volto bianco, - e sai che per la Dumas nata nel Sudafrica dell’apartheid la bianchezza è sempre un’ideologia malata - volto devastato da una malattia della pelle: anche quello ti sembra una raffigurazione della città. E così le ragazze variopinte del bordello (The Visitor) riprese di spalle, in attesa voyeuristica del voyeur. O Miss Pompadour, che espone allo sguardo la vulva e l’ano, con un’espressione gentile e malinconica. Quando esci da Palazzo Grassi, anche il gps del cellulare perde l’orientamento. Ci sono solo vie traverse, nelle calli più strette e nei sottoporteghi il gps non afferra né il nord né il sud, e ti porta con la sua autorità a tuffarti senza via d'uscita con lo sguardo dentro un canale, dove l’anarchia dell’acqua cancella ogni forma e colore. Fissando la ruggine le alghe e la melma delle scalette, e i palazzi fastosi a mollo nell’acqua, che sai tenuti stabili da fondamenta di fango e di materiali di risulta, ti tornano alla mente le parole di Akutagawa: non ho principi, tutto quello che ho sono i nervi.






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