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ANYWHERE
ANYTIME
NEOREALISMO
MIGRANTE

di ANDREA ALOI

"Fontamara", ricordate? "In capo a tutti c’è Dio, padrone del cielo. Questo ognuno lo sa. Poi viene il principe Torlonia, padrone della terra. Poi vengono le guardie del principe. Poi vengono i cani delle guardie del principe. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono i cafoni. E si può dire ch’è finito". Quasi cent’anni dopo, potremmo ben sostituire nella litania, quasi un salmo, di Ignazio Silone, la parola 'cafoni' con 'migranti senza permesso di soggiorno'. Sono i nostri fantasmi quotidiani, ci vivono accanto e poi, a sera, li inghiotte qualsiasi periferia del benessere. Invisibili marchiati dalla povertà senza manco il diritto di sognare un filo d’orizzonte. Issa è uno di loro, è un ragazzo del Senegal, approdato a Torino da sei anni e sta per vivere un altro capitolo della sua odissea.



Ce ne porta in primo piano il nobile volto armonioso Milad Tangshir, regista di origini iraniane e da tempo italiano. "Anywhere anytime" è il suo primo lungometraggio, appena passato in concorso a Venezia alla Settimana Internazionale della Critica, e tocca corde giuste nel segno di un tributo al cinema-verità e, insieme, a una pietra miliare del neorealismo, "Ladri di biciclette" di De Sica. Un tributo più che degno. Come all’Antonio di Lamberto Maggiorani, pure a Issa rubano la bicicletta, strumento essenziale di lavoro. Issa (Ibrahima Sambou) è un 'clandestino', un sans papier ed è stato liquidato dal padroncino con banco di ortofrutta al megamercato all’aperto di Porta Palazzo, che temeva di venir pizzicato e multato dai vigili. A scaricare cassette alle prime luci dell’alba non si svolta la vita ma Issa riusciva egualmente a mandare qualche soldo alla famiglia in Africa. È disperato come sanno esserlo gli ultimi che perdono il poco che consente di arrivare a un altro giorno.



Gli tende una mano l’amico Mario (Moussa Dicko Diango), lui un lavoro ce l’ha, fa il cuoco e gli finanzia l’acquisto di una bicicletta e presta lo smarphone così potrà entrare nel giro dei rider, pedalando per la ditta 'Anywhere anytime', ovunque, a ogni ora. Cos’è un uomo senza lavoro? Cosa si sente dentro? Issa, rincuorato, porta l’amica Awa (Success Edemakhiota) a fare un giro sulla bici dopo la prima giornata di consegne. Vivono entrambi in prefabbricati da eterna emergenza in un lembo estremo di città, sono ragazzi, lei sa cantare e chiede l’elemosina, ha sempre pronto un sorriso. Quell’incontro sembra una promessa, diventa subito un ricordo. A Issa rubano la bicicletta, blu, vecchia, un minuscolo viatico per un minimo passo avanti.



"Ladri di biciclette", uscito nel ’48, non apre porte alla speranza, il dopoguerra è duro, un filo spinato di miserie, ma finirà. Il dopoguerra dei migranti 'clandestini' no, non finisce mai, al massimo dall’inferno si passa a un limbo, alla mensa dei frati, a rare parole di comprensione. Chi può rubare una bicicletta da quaranta euro? Un altro disperato, sicuro. Issa si mette alla ricerca del maltolto, vaga tra palazzi popolari, Barriera di Milano e Lungo Dora, guarda parcheggi fitti di biciclette. Sono centinaia, a lui non ne spetta manco una e più passano le ore più s’incattivisce: chi dalla marginalità della sopravvivenza cade fuori pure dai bordi, sgrana gli occhi su un vuoto di rabbia. Issa conosce e frequenta i lati peggiori di sé, i più istintivi, intimi parenti della paura. Il Bene e il Male, il delitto e il castigo diventano categorie astratte nel sottosuolo della disperazione. Non c’è un Dostoevskij a narrare qualche intima redenzione.



Il nome Issa viene dall’arabo Isa, che significa Gesù e "Anywhere anytime" è giusto il viaggio urbano di un povero Cristo a cavallo di dramma ed efficace tratteggio sociale, cui Ibrahima Sambou, un attore non professionale come il resto del cast, presta occhi di profonda dolcezza e sensibilità, in una galleria di tipi umani, siano stranieri o italiani, che popolano il mondo dei vinti: dalla malattia mentale, dalla sorte amara, dalla vecchiaia, dalla solitudine, dalla nascita in terre maledette da guerre e neocolonialismo d’arraffo, abbonate alla penuria. Poi, nulla. Poi, ancora nulla. Poi, ancora nulla. Poi vengono loro.

Dopo "Bangla" (2019), divertente e sapida commedia del classe ‘95 Phaim Bhuyian, originario del Bangladesh e abitante a Roma, a Torpignattara, "Anywhere anytime" è la prova più felice di un 'nuovo italiano', manco un’ombra di mélo e un attimo di pausa, fino alla fuga di Issa da Torino verso il mare della Versilia. Cambierà cielo, muterà anche vita?



Nel film, scritto da Tangshir con Giaime Alonge e Daniele Gaglianone (quest’ultimo uomo di cinema a tutto tondo, regista, sceneggiatore, docente), fotografato da Giuseppe Maio e accompagnato da musiche etniche africane e mediorientali, si alternano l’italiano e il senegalese wolof e l’immersione nel mondo 'altro' dei migranti è totale, con le rare incursioni torinesi di un venditore-riparatore di biciclette (bravo Max Liotta, l’unico “pro” nel cast) e altre figure di contorno. Al progetto di Tangshir - nato a Teheran, esordi da musicista, un doc di realtà virtuale, “VR Free”, presentato nel 2019 alla Mostra di Venezia e al Sundance Film Festival - hanno creduto oltre a Rai Cinema la Young Films di Carla Altieri e Roberto De Paolis e soprattutto la Vivo Film dei produttori rigorosamente indie Gregorio Paonessa e Marta Donzelli, realtà che ha all’attivo lavori di Daniele Vicari, Laura Bispuri, Susanna Nicchiarelli ("Nico"), Michelangelo Frammartino ("Le quattro volte"), Emma Dante ("Via Castellana Bandiera"). Un concerto di giovani energie creative, a conferma della vitalità e del coraggio del nostro cinema. Che, lo ricordiamo al nuovo ministro della Cultura Alessandro Giuli, non si adagia sull’assistenzialismo governativo e dà lavoro a una filiera di alta professionalità.



Gli 85 minuti di "Anywhere anytime" sono distribuiti da Fandango. 

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