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JOKER
IN LOVE
UNA PROLISSA
FOLLIA A DUE

di ANDREA ALOI

E quel carcerato dimesso e imbottito di psicofarmaci sarebbe il Joker dall’agghiacciante risata compulsiva, il criminale sghembo idolo dei paria di Gotham City? Arthur Fleck, l’ex miserabile clown a noleggio bullizzato e assurto da criminale violento a personaggio glam, è imputato di cinque omicidi - l’ultimo in diretta tv, quando aveva sparato al presentatore Murray Franklin che lo aveva invitato nel suo programma solo per deriderlo - e lo aspetta la sedia elettrica, a meno che la sua avvocata non riesca a dimostrarne l’infermità mentale, nel caso una dissociazione psicotica tra l’uomo sconfitto dalla vita e il rabbioso assassino.



Ma qualcosa di nuovo gli esplode nel cervello, si chiama amore e sarà “Joker, folie à deux”, un sequel, sempre firmato Todd Phillips, diverso assai dal fortunatissimo film del 2019, un duro, "politico" romanzo di deformazione premiato col Leone d’Oro a Venezia e da un miliardo di dollari in cascina. Per contro la “follia a due” è così tanto rielaborata da risultare spiazzante per gli affezionati del satanico character, non preparati a questo svolo in musica nella cultura pop, nella società dello spettacolo e nelle proiezioni fantastiche di folle solitarie, macinate da social e tivù intossicanti. Un po’ critica al brodo di sentimenti facili e illusori in cui galleggiamo, un po’ mélo nel segno dell’assurdo. Occhio: il cartoon introduttivo in stile Merrie Melodies (tanto per far capire che produce la Warner) col duello tra il Joker e la sua ombra per conquistare la scena è un bel bocconcino.



Sono due ore e un quarto sulle spalle robuste di Joaquin Phoenix, invitato al bis da un cachet di 20 milioni di dollari, e Lady Gaga (per lei i milioni sono stati “solo” 12) nei panni di Lee Quinzel alias Harley Quinn, fanciulla dagli occhioni dolci con qualche segreto, arrivata a farsi internare vicino al Joker perché stregata dalle sue gesta. Al loro primo incontro nel coro della prigione con annesso manicomio, la groupie devota gli rivela di aver incendiato un condominio, a ribadire le sue patenti di squilibrata nobiltà. E Arthur ci casca, crede all’anima gemella, gli si riscalda il cuore per la prima volta e il bambino picchiato e stuprato dal patrigno, preda di una madre adottiva disfunzionale (soffocata dal figliolo con un cuscino: e così gli omicidi sono sei, ma il pubblico ministero non lo sa ancora) vede uno spiraglietto di luce. Non s’incazza per le angherie dei secondini e a processo iniziato implode in deliri ora autopunitivi ora di felice evasione nello showbiz, accompagnati da duetti musicali on stage, una barcata di cover da classici come “For Once in My Life”,“That’s Entertainment”, “That’s Life”che si alternano alle sonorità cupe e metalliche di Hildur Guðnadóttir, destinate ai momenti di confusa disperazione del Joker.



Inutile dire che la signora Angelina Germanotta, in arte Lady Gaga, per voce e presenza scenica fa il suo egregiamente e Phoenix si difende benino col canto, per il resto è impegnato a fare il verso a se stesso che fa il Joker quando balla sulla scalinata, scena clou del primo film. La replica, con tante movenze furbescamente insistite, diventa maniera e si rimpiangono le inesauste psichedelie dello splendido attore nel recente “Beau ha paura” di Ari Aster. Joker in love? Impossibile, succede che il vittimismo vendicativo del pagliaccio coi labbroni rossi lascia sempre più campo all’Arthur in via di riscatto, intenzionato a far pulizia nella cocuzza. Da innamorato perso arriva a struccarsi, a illanguidire l’identità criminale in vista di una quotidiana vita da Arthur Fleck qualsiasi. Un sogno impossibile, il suo ego maligno in via di dismissione è brillante, ammirato, seduttore di masse senza tetto né legge ma ha sul groppone un bel po’ di omicidi. L’amore trasforma e guarisce Arthur, peccato che ad Harley Quinn proprio non interessi lo sfigatone aspirante stand-up comedian incapace di infilare un paio di battute decenti, lei palpita solo per il Joker. Gli ha mentito, non è una mattocchia, è figlia di un dottore e da buona borghese insoddisfatta si è invaghita del più sulfureo e irregolare sulla piazza, un “superuomo” tormentato: il massimo.



Un’auto bomba lanciata contro il tribunale proprio quando viene emessa la sentenza squarcia il palazzo e apre ad Arthur una piccola parentesi di libertà tra macerie e polvere da post Torri Gemelle. Giusto sulla famosa scalinata, dopo essere sfuggito a due seguaci intenzionati a salvarlo-sequestrarlo, il “non più Joker” riceve il due di picche da Harley Quinn. Disperato e rimesso subito dietro le sbarre, ha un incontro fatale con un possibile erede. Come dire, muore l’uomo, non l’idea. Sottotitolo: una tragedia della vita come finzione si è compiuta. E dire che la mamma, quand’era piccolo lo chiamava Happy.



Bilancio? “Folie à deux” viaggia didascalicamente nel mondo mentale di Fleck in via di spoliazione da Joker, un universo imbozzolato nella dimensione della performance, dell’entertainment continuo, l’unica in cui germinano e prosperano esibizionisticamente i Joker assassini e gli arringa-folle bugiardi di tutta la terra. Il punto è centrato, ma lo svolgimento del tema è prolisso, stento. Joker poi è un incubo che può catalizzare paura, immedesimazione, odio, pietas, se catalizza noia muore come personaggio e finisce che pure il film non se la passi proprio bene. Il progetto di rimeditare la figura del Joker è risultato troppo complesso, non nelle corde di Phillips (qui anche sceneggiatore con Scott Silver), regista anche della trilogia “Una notte da leoni”, commedia partita bene e andata in decrescendo.



Al cast di lusso nulla si può rimproverare, Phoenix nelle situazioni alla “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (Miloš Forman,1975) ci sguazza, Lady Gaga, autrice del brano che dà intitolo al film, fa il suo bel rodaggio canoro che funziona da promo per il nuovo album “Harlequin” (Harley Quinn…) e riconferma che l’Oscar per la miglior canzone originale con “A star is Born" e il premio Bafta (l’Academy britannica) per la colonna sonora dello stesso film erano meritati. Brian Gleeson è il secondino che in un primo momento prende Arthur-Joker in simpatia, poi giù legnate perché lo delude comportandosi nuovamente da schizzato; da segnalare pure il cameo di Steve Coogan - è Paddy Meyers, giornalista con la febbre dell’esclusiva ammesso a intervistare il Mostro in carcere - e l’accudente avvocata Maryanne Stewart efficacemente resa dalla veterana Catherine Keener.



Il filmone Warner, preso a fucilate da molta critica in patria, ha zoppicato al box office americano e l’obiettivo di superare i 200 milioni di dollari investiti (troppi per quel che si vede sullo schermo) pare arduo. Non tutti i sequel riescono col buco, escluso quello di bilancio. Per fare un esempio fresco fresco, “Beetlejuice Beetlejuice”, seconda puntata firmata Tim Burton delle imprese dello spiritello porcellone, è addirittura migliore della prima.

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