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DEFORME
E NORMALE
A DIFFERENT
MAN

di ANDREA ALOI

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Stavolta i maghi di A24, la casa Usa di produzione indipendente più votata al successo, non faranno bingo com’è capitato con “Everything, Everywhere All At Once” (7 oscar nel 2023) o “La zona di interesse” (Oscar al miglior film internazionale l’anno scorso), ma “A different man” del newyorchese Aaron Schimberg è un piccolo grande film che lascerà il segno, una commedia drammatica zeppa di suggestioni - dal tema dell’identità a quello del doppio - e riusciti twist narrativi.



Edward (Sebastian Stan) è un giovane impiegato dalla vita inceppata a causa di una neurofibromatosi, che gli deforma il volto, mena giornate grigie ed è innamorato perso dell’affascinante vicina Ingrid (Renate Reinsve), drammaturga in formazione, colpita dalla rassegnata mitezza di quell'uomo sferzato dalla sorte: “Tutta l’infelicità nella vita deriva dalla mancata accettazione di ciò che siamo” dice Edward citando Lady Gaga, eletta ironicamente a coscienza dell’epoca. Una morale di comodo, in verità, destinata a franare quando guarisce miracolosamente grazie a un nuovo vaccino. Si ritrova con un aspetto gradevole, scopre di essere seducente, sbevazza whisky e diviene addirittura l’uomo immagine dell’agenzia immobiliare in cui lavora. Ha negato la sua precedente, dolorosa esistenza, lascia il modesto appartamento per un open space pieno di luce e “rinasce” col nome del brillante Guy.



Ha tutto, non ha più però quell’unicità che in qualche modo attraeva Ingrid. L’incontra mentre sta lavorando a una pièce per un teatrino Off-Broadway, personaggio principale proprio l’Edward “scomparso” e rimpianto dalla ragazza. Intrecciano una relazione e lui la convince a provarlo come interprete della sua commedia, imperniata sull’incontro tra una giovane e un uomo dal volto sfigurato. Il successo economico non gli basta, vuole andare oltre, recitare su un palcoscenico e si presenta alle prove indossando la maschera personale costruita al computer prima del vaccino, una perfetta riproduzione del suo ex volto accidentato.



Sul palco è mediocre, non fa scattare la scintilla, la maschera di Edward non basta. E spunta la sua nemesi, si chiama Oswald, pure lui malato di neurofibromatosi, una faccia identica a quella che aveva Edward prima del vaccino. Il tipo s’insinua alle prove, è colto, brillante, un affabulatore incredibile, disinvolto al punto di far dimenticare la sua deformità. Sposato e separato con una figlia, suona il sax, canta da dio, ha tutto ciò che manca a Guy, uomo medio narcisista: un talento ben coltivato e di successo, alla faccia (è il caso di dirlo) dell’estetica, messa dal regista in attrito con l’etica, la sensibilità morale, creando una tensione unica.



Ingrid se ne innamora, ci farà dei figli e gradualmente - è un effetto potente, inusitato - la liaison tra la bellissima e il “mostro” è accettata dallo spettatore, che non è più turbato. Schimberg - suoi anche il soggetto e la sceneggiatura - normalizza acutamente la diversità, raccontando come il “dentro” conta quanto se non più della “scorza”. E Edward/Guy? Paradossalmente, col volto deforme aveva una personalità e viveva in una comfort zone, senza è nudo, tanto che, roso dall’invidia, va in tilt e combina disastri autodistruttivi, fino a meditare il suicidio Ce la farà a rinascere una seconda volta nel segno della consapevolezza, dell’accettazione?



Adam Pearson, l’interprete di Oswald, qui doppiato dal bravissimo Marco Guadagno, è in sé una risposta di resiliente coraggio. Quarantenne, londinese, convive fin dai tempi della scuola con la neurofibromatosi, ha fatto i conti col bullismo, ora è conduttore televisivo, attore e attivista. Aveva già lavorato con Schimberg nel precedente, discusso “Chained for Life”, incatenati per la vita, quasi un prequel di “A different man”, ambientato sul set di un film horror, con Pearson affiancato da Jesse Weixler nel ruolo di un’attrice hollywoodiana ingaggiata per interpretare una non vedente. Un film nel film piuttosto criticato anche se il regista non puntava all’effettaccio, anzi, intendeva in qualche misura “normalizzare” e umanizzare le più cupe diversità mentre criticava quel genere di pellicole di exploitation, di sfruttamento della “mostruosità” come appunto il film del ‘52 dallo stesso titolo, “Chained for life”, dedicato alle gemelle siamesi Daisy e Violet Hilton, divenute negli Usa un fenomeno da showbiz. Fare i soldi col dolore di penosi casi umani: una bieca insensibilità condannata in “Freaks”, il macabro capolavoro di Tod Browning del’ 32, che terminava con una terribile vendetta dei mostri circensi ai danni della sprezzante trapezista Cleopatra.



“A different man” vuole restituire una normalità sociale alla deformità, va oltre il mismatch tra la bella e la bestia e non viaggia verso un lieto fine dopo formidabili peripezie come accade nello strepitoso e per certi versi affine “La forma dell’acqua" di Guillermo del Toro del 2017: anni Sessanta, piena Guerra Fredda, un uomo-anfibio con superpoteri terapeutici (diretto discendente del “Mostro della Laguna nera”, famoso fanta-sexy-horror anni Cinquanta targato Universal) detenuto per esperimenti in una base americana, viene amato e salvato da una donna delle pulizie muta. “A different man” il lieto fine lo incorpora fin dall’inizio, con la tenera attenzione di Ingrid verso lo sfortunato vicino, ricreando una quotidianità di anime sensibili.



Il cast funziona alla grande, Sebastian Stan restituisce bene tutte le turbolenze di Edward/Guy e con “A different man” ha mietuto premi alla Berlinale e ai Golden Globe, dopo tre film Marvel di Captain America e un paio della serie Avengers ha voluto cimentarsi in ruoli più intriganti, vedi anche il giovane Trump in “The Apprentice”, per cui è stato candidato all’Oscar. La norvegese Renate Reinsve, miglior attrice a Cannes 2021 per “La persona peggiore del mondo” di Joachim Trier, è una Ingrid di imponente presenza, Michael Shannon, efficace maudit del cinema Usa, regala un cameo che è una citazione, era il terribile colonnello a capo del laboratorio sperimentale nel film di Guillermo del Toro. Da segnalare una presenza italiana, quella del pescarese Umberto Smerilli alle musiche, molto jazzate e perfette nel contesto di New York. Non sappiamo se i forti rumori improvvisi che inquietano Edward/Guy nella prima parte del film ambientata nel modesto appartamento di un condominio cadente sono opera sua o una scelta registica, comunque se l’obiettivo era far sobbalzare un po’ gratuitamente lo spettatore, è stato pienamente raggiunto.

I 112 muniti di “A different man” sono distribuiti da Lucky Red.






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