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LA CITTÀ
PROIBITA
DALL'ESQUILINO
CON FURORE

di MASSIMO CECCONI

Roma, quartiere Esquilino. “La città proibita” è un ristorante cinese che ospita numerose attività, non tutte perfettamente lecite. Qui si presenta Mei (Yaxi Liu), una giovane ragazza alla ricerca della sorella scomparsa Yun.



Tutta la vicenda prende avvio da una legge della Repubblica Popolare Cinese secondo la quale, dal 1979 al 2015, in una famiglia poteva esserci un solo figlio.

Per questo motivo Mei ha vissuto nascosta perché concepita fuori dalla legge. Grazie al padre, entrambe le sorelle sono grandi esperte di arti marziali.



“La città proibita”, ultima fatica del regista Gabriele Mainetti, è un melodramma marziale in cui gran parte del film si concentra su violentissimi combattimenti di kung fu, sport estremo in cui Mei eccelle.

La ricerca della sorella porta la ragazza in contatto con un truce malavitoso cinese (Chunyu Shanshan) e con la famiglia di Alfredo, un anziano oste romano (Luca Zingaretti) scomparso insieme a Yun.



Anche Lorena (Sabrina Ferilli), moglie di Alfredo, e il figlio Marcello (Enrico Borello) sono alla ricerca del loro parente aiutati da Annibale (Marco Giallini), un piccolo malavitoso di quartiere che sfrutta gli extracomunitari nei confronti dei quali nutre anche un certo astio razziale.



Combattimento dopo combattimento, con abbondanti spargimenti di sangue e frattura di ossa, in un ingarbugliato sviluppo della trama, si configura una macabra messinscena che, malgrado qualche analogia, non possiede certo la sfacciata tracotanza del cinema di Quentin Tarantino.

Sfila sullo schermo una Roma multietnica, da piazza Vittorio al Nuovo Mercato Esquilino, con una netta separazione manichea tra buoni e cattivi, tranne un personaggio che sembra buono ma tanto buono non è.



C’è anche modo di allestire due storie d’amore, una senile e l’altra giovanile, tra Lorena e Annibale dove tra l’altro Giallini, dalla voce sempre più roca, canta un’improbabile versione di “La canzone dell’amore perduto” di Fabrizio De Andrè (“Ricordi, sbocciavan le viole…”), mentre Marcello e Mei attraversano Roma in Vespa come Gregory Peck e Audrey Hepburn in “Vacanze romane”.

Un colpo di scena dietro l’altro, vuoi vedere che ci scappa anche il lieto fine?



Insomma di tutto un po’, con eccessi a volte gratuiti, a volte un po’ troppo scontati, tipo volti grigliati sulla piastra e scivolate nell’olio bollente.

Certo, per gli amanti del genere (ma quale genere?), ci si diverte con la memoria che corre dalle parti di Bud Spencer e Terence Hill, per non dire del Monnezza e dei suoi coloriti partner. Ed è scontato che ci sia anche molto Bruce Lee.

Regia volutamente sopra le righe e cast appropriato, con Marco Giallini che, in quella Roma, ci sguazza che è un piacere.



Tra un’amatriciana e un ramen, in una città forse eccessivamente folclorica e turistica, il tòpos drammatico si raggiunge sotto i portici di piazza Vittorio, va da sé, con furore…

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