Una terrazza di roccia con dentro campi arati e mare limpido tutt’intorno. Così appare al visitatore la piana di Hissarlik, in Turchia. Lo sciabordio delle onde è vicino come una mano che accarezza un volto per la prima volta. Il mare qui è vicinissimo: lo stretto dei Dardanelli dista appena 4 km.
Il cielo chiuso sopra la mia testa rende tutto più acceso. Il verde degli ulivi e il giallo sfumato di marrone dei campi appena seminati. Hissarlik è oggi un luogo tranquillo, in aperta campagna. Nessuno potrebbe mai pensare che proprio qui, in questa campagna così amena, sorgevano più di tremila anni fa le fondamenta della città di Troia. La sua storia, a metà strada tra mito e verità storica, è ormai nota al grande pubblico. Gli scavi archeologici, intrapresi per la prima volta dall’archeologo dilettante Heinrich Schliemann nel 1871 basandosi esclusivamente sui racconti contenuti nell’Iliade, hanno portato alla luce nel corso dei decenni ben 10 città. Una sopra l’altra, come un’enorme torta nuziale, a tenere per mano quasi tremila anni di storia.
Non si può camminare su questa collinetta, andare per i vicoli basolati o sfiorando il profilo di mura possenti, senza pensare alla guerra che oppose questa città al mondo miceneo. E in un solo colpo Agamennone, Paride, Elena, Menelao, Odisseo e tutti gli eroi dell’epos rivivono con le loro gesta e le loro imprese. È un po’ come andare indietro nel tempo, entrare nella mente di Omero e rivivere quegli attimi così intensi e drammatici.
Ed ecco il mare Egeo davanti a voi, quello stesso mare che ospiterà, pochi secoli dopo i fatti narrati da Omero, i primi semi della civiltà greca in Asia Minore, si riempie di concave navi e vele nere; ecco Priamo dalla chioma fluente organizzare una stoica difesa e il valoroso Ettore scontrarsi all’ultimo sangue con il suo rivale Achille. Il clangore delle armi, le grida di morte, il fuoco, le fiamme e la disperazione di migliaia di profughi che con Enea arriveranno su altri lidi a fondare un nuovo popolo e una nuova città.
Questa mattina la piana di Hissarlik è bagnata da una leggera foschia. Lo scenario sembra quasi nordico, con una punta di vento freddo che scuote i rami d’ulivo. Spunta da questa coltre di nebbia la gobba di Tenedo, l’isolotto che si intravede dalla collina. Secondo Omero fu proprio qui che le navi achee si nascosero dopo aver deposto sul lido troiano il cavallo, portatore di distruzione e morte.
Sappiamo tutti come andò la guerra. Lo stratagemma di Ulisse, la fine di una delle città più potenti del mondo antico, e una scia di morte a bagnare sabbia e terra. E viene forte la tentazione di pensare che proprio in una giornata come questa, grigia e fredda, le navi achee siano ancora lì rigide e serrate, pronte a intraprendere la via del ritorno.
Assecondando la fantasia avremmo visto Agamennone e Menelao, Nestore e Odisseo dare le ultime disposizioni prima di salpare. Odisseo, figlio di Laerte, sul ponte della sua imbarcazione desideroso di partire e ritornare alla sua Itaca dopo dieci anni di assenza. Oggi della città cantata da Omero non restano grandi tracce. Delle dieci città restituite dagli scavi la Troia omerica è stata individuata al settimo livello, quello datato intorno al 1300 a.C.
Tutt’intorno, immersi nel silenzio di luoghi fecondi e solitari, solo enormi mura e un passato nobile e drammatico. Eppure, tra le strade un tempo piene di vita,
uno spettro senza tempo continua ad aggirarsi. E parla, ci parla, di un mito fattosi storia.
E ci parla, soprattutto, di un uomo che con la sola forza del suo ingegno mise fine a decenni di ostilità.
Odisseo, il cui nome fa tremare questa terra. Ancora oggi pronunciarlo incute un certo timore. Come se questo pezzo di mondo, scosso nei millenni da guerre e terremoti, non avesse mai perdonato a quell’uomo il tremendo affronto che osò consumare ai suoi danni.
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