Un minareto piantato nel punto più estremo del mondo greco. Capo Malea è una visione, una fantasmagoria uscita da una fucina divina.
Spuntoni e arbusti; sprazzi di natura che sono riusciti a trovarsi un posto in questo angolo così selvaggio. Il faro è una presenza
magica, rituale, messa lì a proteggere il passaggio di marinai e diportisti.
La penisola greca digrada qui nella sua appendice meridionale tanto simile a un canino affondato nelle carni molli di un Mediterraneo
che non è più Egeo.
A est le isole egee, dove inventori alla stregua di Icaro e folli hanno tentato invano di sfidare gli dei; inseguendo il sole e il suo orizzonte le coste dell’Asia Minore sfumano in una sagoma dolce e complessa. A occidente, invece, dove lo stesso sole è destinato a morire di lì a poco, gli dei pagani resistono gomito a gomito con l’unico Dio cristiano che abita ancora negli antichi monasteri di Sant’Irene e San Giorgio eretti in piena età bizantina. Due divinità che si sono spartite la terra in parti uguali: ognuna con occhi guardinghi su un mare diverso, destinate a non incrociarsi mai.
La via per Capo Malea si dispiega per il mare anche se esso è raggiungibile anche per terra grazie a un percorso di 20 km che parte da un comune dell’entroterra: Malvasia. Un nome capace di sbloccare subito un ricordo: è proprio questo paese infatti ad aver dato il nome ad un pregiatissimo vitigno che i Veneziani importarono nel ‘600 in Europa e da cui si ricava un vino delizioso.
A sud di questa lingua di terra e fede l’Isola di Creta si distacca dal resto della Grecia con l’altezzosità tipica di ogni prima donna. Infine, in questo crocevia di dei e rotte, la piccola Cerigo nota agli antichi con il nome di Citera. La terra che ha dato i natali all’amore e al suo nume tutelare: Afrodite.
La leggenda vuole che proprio qui, nel consesso di divinità di ogni tempo, Afrodite nascesse accolta in una conchiglia. Un’altra leggenda, invece, desidera condurre Afrodite fino all’isola d’Ischia a placare i tormenti d’amore per la morte del suo caro Adone.
Ma Capo Malea è soprattutto lo snodo tra la civiltà e l’ignoto. Un paletto che gli antichi Greci avevano fissato tra il mondo conosciuto e l’ignoto. Non è un caso che tutte le rotte antiche passassero di qui seguendo itinerari sicuri e sotto costa. Allontanarsi da Capo Malea equivaleva a morte sicura.
Per questo crea un certo tremore pensare che proprio in questo punto Odisseo, una volta doppiato il capo e sicuro ormai di risalire la penisola in direzione di Itaca, avesse perso per sempre ogni traccia di navigazione. Una tempesta forse nata a largo aveva spazzato vie le navi sospingendole fino alle coste africane.
Tuttavia, per paradossale che possa sembrare, Capo Malea è un monumento alla conoscenza umana e per questo foriero di insegnamenti. Da un lato simbolo dell’appagamento che ogni certezza si porta dietro; ma allo stesso tempo un invito a sondare i fondali dell’ignoto e il buio dal quale viene fuori una luce nuova.
Per questo Capo Malea non può che essere un sinonimo di Odisseo, ovvero dell’uomo indomito e mai sazio, alla ricerca sempre e comunque di una nuova terra da sognare.
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