Uno scoglio in mare aperto. L’isola di Linosa è lì, immobile da secoli, a galleggiare nel mare aperto delle Pelagie. Un punto quasi equidistante tra Africa ed Europa. La Tunisia a ovest e Malta ad est, a poche miglia marine. A braccetto Lampedusa, sua sorella maggiore, a fare la guardia a questo tratto di mare che segna il confine tra culture millenarie e diverse.
A nord la sagoma imponente della Sicilia, pietra miliare del continente europeo meridionale. Ovunque lo sguardo si posi l’impressione è quella di trovarsi dall’altra parte del mondo. In questo stretto braccio di mare, profondo e nero, l’acqua fermenta e ribolle partorendo spettacoli naturali di rara bellezza. È una sequenza continua di crateri vulcanici, di fuoco primordiale e vapore, che come la cintura del fuoco nel Pacifico sorregge mare e terra in un equilibrio delicato e perenne.
A sostenere questo sforzo immane è una legione di scogli, isole e isolotti che compongono appunto le Pelagie.
Lampedusa, Linosa, Lampione, l’isola dei Conigli e lo Scoglio di Sacramento.
Linosa è la più piccola di queste isole. Un cratere vulcanico, roccia nera come pece, e un mare che riesce nella magia di rimanere limpido nonostante il livore della sua storia geologica.
Come tutte le isole Linosa è terra di transiti e contaminazioni. Dai greci che le diedero il nome arcaico di Aethusa (Αἰθοῦσσα), ai Romani che la utilizzarono come base navale durante le guerre puniche, di cui restano stupende testimonianze in oltre 150 cisterne per raccogliere l’acqua piovana. Si dovette invece attendere la metà dell’800 perché l’isola assumesse la sua denominazione attuale.
Tuttavia Linosa resta per me una terra di memorie affascinanti. Quasi fossero guidati da una stella polare i miei ricordi si muovono
verso storie incredibili.
La leggenda, con i suoi racconti intrecciati, vuole che proprio Linosa abbia dato i natali al mito delle Sirene raccontato da Omero nell’Odissea.
Creature metà donne e metà uccelli che con il loro canto ammaliante portavano i marinai a sfracellarsi sugli scogli. C’è qualcosa di vero
in tutto questo o si tratta solo di favole della buonanotte che fanno facilmente presa su bambino o (come nel mio caso) su qualche adulto sognatore?
La verità, come sempre, è difficile da cogliere nella sua interezza. Quello che possiamo dire è che le leggende, soprattutto nel mondo antico, non nascevano mai per caso. Fermo restando che esse erano frutto di fantasia, alcuni elementi traevano spunto da situazioni o testimonianze reali. Ed ecco che la tentazione si fa sempre più forte. Sull’isola di Linosa, infatti, è concentrata una delle colonie più feconde di Berta Maggiore. Si tratta di un uccello pelagico, come lo chiamano gli ornitologi, che cioè passa buona parte della sua esistenza nel mare aperto. A Linosa, nel periodo riproduttivo, è possibile assistere a uno spettacolare volo di stormi di questi uccelli che si dirigono verso la costa. Appena fa buio, ritornano a terra emettendo un verso particolare, una specie di lamento simile al pianto di un neonato, un canto che ha dato adito a diverse e fantasiose interpretazioni.
Ecco che allora le Sirene e il loro mito potrebbero trovare una spiegazione. Da una parte il canto delle Berte, così simile a quello di una donna o di un neonato; dall’altra i racconti atterriti di antichi marinai che nelle loro navigazioni si sono imbattuti in queste creature.
D’altronde, stando alla pittura vascolare greca, le Sirene sono rappresentate con ali prorompenti mentre in volo costringono le navi ad andare fuori rotta. In questo fuori rotta non posso non pensare a Odisseo, alle sue traversie, che proprio nello scoglio delle Sirene trovò una delle sue peripezie più dure.
A Linosa, come abbiamo visto, tutto è di passaggio.
La vegetazione che muta di continuo, il mare in fibrillazione e anche la stessa fauna. Ma soprattutto in questa terra sono di passaggio gli uomini,
quelli di ieri e di oggi. Uomini che in questa strettoia di acqua salata hanno scritto e scrivono ogni giorno storie di disperazione e morte.
Infatti la tragedia dei migranti aleggia ovunque, sbattuta a destra e manca, con il suo sciabordio di migliaia di croci invisibili.
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