Il pranzo è stato interminabile. Crudités, spaghetto al nero di seppia e a seguire filetti di cernia con contorno di verdure.
Prima del conto la titolare del locale (un ristorantino a Villasimius in uno dei punti più a sud della Sardegna che un tempo
fungeva da rimessaggio) ci consiglia un trancio del purceddu, il tipico maialino sardo. Con il mio commensale ci guardiamo stremati
implorando pietà alla nostra generosa (e bravissima) locandiera. Il conto — generoso quanto la proprietaria che lo ha siglato
— è accompagnato da due digestivi offerti dalla casa. «È Moly» ci dice la signora in quella stupenda lingua che è il sardo
«lo fa mio cognato. Assaggiatelo, è buonissimo!».
Moly, moly. La parola si disperde per il mio palato insieme agli aromi di erbe pungenti e profumate.
Non può essere un caso, mi dico. Moly è il nome con il quale Omero chiama la radice che il dio Ermes diede ad Odisseo prima del suo incontro con la maga Circe perché lo preservasse dai suoi incantesimi.
Una volta saldato il conto non resisto e alla proprietaria chiedo chi ha avuto l’idea di chiamare il liquore così. La donna, quarantacinque anni e con in dote un sorriso argentino e una bellezza levantina, mi confida che mai nessuno se n’era accorto e che "sì, c’entra Ulisse… perché mio marito e il fratello sono appassionati di Omero e lo hanno chiamato così (il liquore)… un rimedio contro indigestioni e pesantezze di stomaco».
Le sorrido mentre sto per prendere lo scontrino. E la donna, con un sorriso celato negli occhi verde smeraldo, mi tranquillizza: "Non è morto mai nessuno con i miei piatti! Mica sono Circe per davvero io?".
Circe, l’incantesimo degli uomini tramutati in maiali. Siamo nel libro X dell’Odissea e questo racconto è forse uno dei più straordinari. La trasformazione in maiali appartiene alla fervida immaginazione non solo di un narratore e poeta qual è stato Omero ma di un vero sceneggiatore. Procediamo però con ordine.
Abbiamo lasciato Ulisse e i suoi compagni al largo della baia dei Lestrigoni (identificata come abbiamo visto con lo Stagnone di Marsala), nella punta più occidentale di Sicilia. Seguendo lo schema delle correnti mediterranee, e soprattutto la descrizione che ci fornisce Omero, Odisseo prosegue la sua navigazione su una rotta nord-est.
E questa corrente nordorientale conduce ad un’isoletta di forma rotonda a nord di Palermo,
oggi conosciuta con il nome di Ustica. In tutta la zona questa è l’unica isola della quale si può dire, con le parole dell’aedo,
«che tutto intorno la circonda un mare infinito», perché le altre isole vicine appartengono tutte ad arcipelaghi (si pensi alle Egadi o alle Lipari ad esempio).
Forte sarebbe la tentazione di collocare Circe e la sua dimora presso il promontorio del Monte Circeo tra Roma e Napoli che però, oggi
come ai tempi di Odisseo, era collegato alla terraferma. Altri elementi concorrono con l’identificazione di Ustica quale terra di Circe.
Dice Omero:
«Salii verso una vedetta scoscesa e mi fermai: e mi apparve fumo su dalla terra dalle ampie strade — era della casa di Circe».
Ora se si scala una delle vette più alte dell’isola, denominata la Guardiola, si può scorgere esattamente lo stesso scenario: fumo delle abitazioni nella parte nordorientale dell’isola.
È incredibile, ancora una volta, quanto le parole di Omero siano così aderenti ai luoghi. C’è di più. Seguendo il racconto, l’aedo ci dice che dopo l’incontro con l’eroe Circe propose di tirare in secco la nave e di riporre i beni e tutti gli attrezzi in alcune grotte. Ad Ustica tutto questo è possibile perché l’isola presenta ben sei grotte. La più vicina alla descrizione fatta da Omero è la Grotta Azzurra utilizzata dagli abitanti di Ustica proprio come rimessa per barche e attrezzi nautici.
Secondo Omero Circe mutò i compagni di Ulisse in porci. Quale fondamento può avere (se ne ha) questa parte del racconto? Anche qui conviene procedere passo dopo passo. Partiamo dalle parole dell’aedo in proposito:
«Allora gli uomini avevano testa, voci e setole di maiali eppure figura umana. La loro intelligenza inoltre era immutata come prima».
Questi pochi versi rendono il testo omerico poco chiaro. In primo luogo perché sgombra il campo da una trasformazione in toto dei compagni di Ulisse. In secondo luogo, quello raccontato dal poeta sembra essere più un camuffamento visto che i greci mantengono le loro caratteristiche umane.
Al Louvre di Parigi è conservato un rilievo marmoreo che ho visionato lo scorso maggio nel corso di un viaggio in Francia. Sulla lastra — si tratta di un’arula
ovvero di un piccolo altare in terracotta e data intorno al 540 a.C. — è rappresentata una scena dell’Odissea e si tratta nello specifico proprio dell’incontro
con la maga Circe. Si vede sul rilievo un compagno di Ulisse con figura umana sormontata da una testa di maiale. Forse un travestimento scenico oppure una forma
di delirio momentaneo indotto dall’aver ingerito qualche sostanza velenosa?
Ancora Omero:
«I compagni furono rinchiusi in un porcile e ricevevano da mangiare solo cibo per maiali… venivano stipati come fossero maiali».
Quindi non come maiali ma simili a maiali.
E, prosegue l’aedo.
«Uscirono più tardi dalla stalla e tornarono uomini grazie ad un’altra pozione»
Da queste parole sembra emergere uno scenario molto diverso. Ai compagni di Ulisse, e forse a Odisseo stesso ma senza alcun effetto, fu dato un veleno o un intruglio che nell’uomo produceva la sensazione di essere ricoperti di piume o di un vello, e più in generale di essere in possesso di qualche aspetto animale. E questi sintomi sembrano ricondurre a un indiziato ben preciso: Aconitum napellus, ovvero l’aconito conosciuto fin dall’antichità. Un veleno capace di condurre anche ad arresto respiratorio e cardiaco, addirittura alla morte.
Diventa probabile a questo punto che i compagni di Ulisse avessero ingerito proprio questo tipo di veleno che li fece piombare in uno stato di incoscienza al punto tale da percepirsi come animali. Ulisse, invece, non subì l’effetto dell’aconito grazie al Moly.
Così lo descrive Omero:
«Questa erba aveva una radice nera difficile da estrarre e un fiore bianco latte».
Se si pensa che in antichità un rimedio efficace contro l’avvelenamento da aconito era rappresentato dalla somministrazione della ruta potrebbe celarsi questa pianta dietro il mitico Moly?
Una riflessione, per concludere. Grazie all’avanzamento tecnico-scientifico è stato possibile identificare nel maiale l’animale ideale per i cosiddetti xenotrapianti, ovvero trapianti di organi provenienti da animali nell’uomo. E questo perché gli organi dei maiali, le dimensioni e la fisiologia sono simili all’uomo. La ricerca continua e nei prossimi anni gli sviluppi saranno sempre più consistenti. Parti di maiali nel corpo umano, dunque. Una magia della quale nemmeno la maga Circe, con le sue trasformazioni, sarebbe stata capace…
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