Milano
la strage
e Bertoli
Tutti i misteri di un bombarolo
Una recensione di
FABIO ZANCHI
Un Paese senza memoria, il nostro. Incapace di fare i conti fino in fondo con la propria storia. Facile preda delle trame più nere, dei complotti più torbidi. È di queste settimane l’ennesima conferma, a proposito della strage di Ustica. A 44 anni dalla strage, un eccidio con 81 vittime, fra cui 13 ragazzini, la verità è ancora lontana. E spuntano nuovi elementi. Sconcertanti, come quello rivelato da un ex addetto militare di Parigi: “Mi fu ordinato di non consegnare agli italiani i tracciati radar della base in Corsica”. La verità è sempre più avvolta dalle nebbie.
Il bombarolo - La strage dimenticata di via Fatebenefratelli
di Paolo Morando e Massimo Pisa
Feltrinelli editore
22 euro
Non è un paradosso, per l’Italia. Non il solo. Anche quando le cose sono state documentate in presa diretta, qui da noi il cammino verso la verità è stato impervio, e ha lasciato ampie zone di incertezza. Il caso più lampante avvenne a Milano, città già colpita dalla bomba di Piazza Fontana e altri quattro attentati. Era il 17 maggio del 1973. A un anno dall’assassinio del commissario Luigi Calabresi in questura si teneva la cerimonia in suo ricordo. Presenti tutte le autorità, era arrivato da Roma il ministro deli Interni Mariano Rumor, riunita in via Fatebenefratelli tutta la Milano che contava. Quando l’auto ministeriale era già ripartita per Roma, una bomba a mano fece quattro morti e cinquantadue feriti. L’attentatore, Gianfranco Bertoli, venne subito arrestato e si dichiarò anarchico. Fu difficile sottrarlo all’ira delle persone.
Mai nessuna strage come questa è stata documentata, in diretta, con le immagini girate da Mario Sacchi, cineoperatore della Rai. Tutto avvenne sotto gli occhi di numerosi testimoni. Eppure, anche questa strage a distanza di anni è ancora tutta da indagare, perché numerosi sono ancora gli aspetti oscuri, nonostante indagini durate più di venticinque anni e i processi che ne sono seguiti. Questa è una strage che non compare mai nei discorsi ufficiali. È, a tutti gli effetti, una strage dimenticata.
Il compito di portarla di nuovo alla luce se lo sono assunti due giornalisti, Paolo Morando e Massimo Pisa. “Il bombarolo” è il frutto del loro lavoro. In 360 pagine è ricostruita la storia di Bertoli, ma anche quella della Milano che precedette e seguì quella strage. Il libro si può leggere in due modi. Ha il ritmo e il respiro di un giallo ben scritto. Ma è anche, soprattutto, un documento capace di rivelare l’identità profonda del Paese: un Paese che ha preferito dimenticare quella giornata nera.
Conosco Massimo Pisa perché per anni ho lavorato con lui a “Repubblica”, a Milano. Gli appartiene la generosità del bravo cronista che va oltre il proprio compito contrattuale, ed esplora, approfondisce e ricostruisce quadri complessi e completi. Quelli che la sola cronaca di un quotidiano non riesce del tutto a ospitare. Di qui un libro importante come questo, scritto con Paolo Morando che non conoscevo: se i due si sono incontrati è perché hanno molto in comune. E il risultato è di quelli che meritano un’attenta lettura.
Molte sono le ragioni che hanno reso, in questi anni, la strage di via Fatebenefratelli un mistero. Innanzitutto Bertoli, “sedicente anarchico”, ha un percorso sconcertante. Parte da un kibbutz israeliano dove si occupava del pollaio, con una bomba in tasca. Con quella in tasca va a Marsiglia. Nonostante sia un pregiudicato, nei vari passaggi di frontiera arriva in Italia senza essere individuato, con l’obiettivo di trovarsi di fronte alla questura al momento giusto. Lancia la bomba, proprio quando il ministro è già ripartito per Roma. Ha un passato da informatore del Sifar. Sarà in carcere a San Vittore con Freda, e all’Asinara con brigatisti rossi. Intratterrà un breve carteggio con Adriano Sofri. Di lui si parla anche a proposito di contatti con la Rosa dei venti. Personaggio assai controverso, soltanto il giudice Antonio Lombardi per anni ha tentato di scandagliarne la personalità. Talmente sfuggente che Wikipedia ne indica la data di morte (il 17 dicembre 2000) diversa da quella reale, avvenuta il 28 novembre di quell’anno. Altro particolare: l’anarchico Bertoli chiese funerali religiosi e ottenne di avere nella bara un crocefisso insieme con la bandiera degli ultras del Livorno.
A distanza di anni le domande su di lui sono ancora tante. Ci si interroga sulla ragione di quell’attentato. Sui veri mandanti. Sui legami di Bertoli con gli stragisti neri e sulla autenticità del suo anarchismo, rivendicato dal carcere con diversi articoli. Il lavoro di Pisa e Morando è davvero molto approfondito. Ogni capitolo è introdotto dai versi di una canzone di Fabrizio De André, “Il bombarolo”, la cui storia è raccontata nel prologo del libro: anche questo molto gustoso e denso di particolari inediti della nostra storia recente. Chapeau.
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