LOADING....!!!!!

Una parete
tutta per sé

Storie di donne
in cima al mondo

Una recensione di
GABRIELLA DI LELLIO

Condividi su:

"Una parete tutta per sé" (Bottega Errante Edizioni, 2024, pag 176, 17 euro) è il nuovo libro di Linda Cottino. Raccoglie le storie di sette pioniere dell’alpinismo, come un modo di stare al mondo e una dichiarazione di indipendenza.

Che cosa poteva spingere un secolo e passa fa una signora dell’alta società a uscire dal recinto domestico assegnatole per avventurarsi nell’ambiente alpino e misurarsi con il ghiaccio e le pareti di roccia? Forza, audacia e ambizione erano qualità precluse alle donne. All’epoca una donna non solo era priva di diritti civili, ma spesso non aveva un volto né una firma. La vita sociale portava le insegne del marito, di cui assumeva il cognome e spesso anche il nome.


Una parete tutta per sé
di Linda Cottino

Bottega errante edizioni
17 euro

Le prime alpiniste di fine ‘800 non passarono alla storia come altre del ‘900. I nomi non dicono molto: Meta Brevoort, Mary Paillon, Kate Richardson, le due sorelle Pigeon, Elizabeth Le Blond, per gli amici Lizzi, e Micheline Morin. Eppure hanno realizzato imprese fantastiche. Le ultime due hanno avuto un ruolo particolare. Lizzie Le Blond, una personalità di spicco appartenente all’alta aristocrazia britannica, era molto più di un'alpinista. Scrisse numerosi libri e fu una fotografa talentuosa e una film-maker ante litteram; fu tra le prime a guidare la bicicletta e a utilizzarla per gli spostamenti. In bici viaggiò da Londra a St Moritz, proseguendo fino a Roma. Sposata tre volte, fu fondatrice e prima presidente del Ladies’ Alpine Club (presidente onoraria la regina Margherita di Savoia, proprio quella del rifugio in cima alla Punta Gnifetti sul Rosa). Sopra i pantaloni alla zuava indossava la lunga gonna d’ordinanza che toglieva all’inizio della ascensione. È stata tra le animatrici del primo turismo d’élite in Engadina.



(Elizabeth Le Blond - Women's Museum of Ireland)


Micheline Morin, invece, fu una figura di snodo tra i due secoli e fece parte di un quartetto che tra gli anni venti e trenta del ‘900 affronta scalate impegnative in cordate di sole donne. Morin fu l’autrice del primo libro sull'alpinismo femminile, “Encordées”, legate in cordata, che uscì nel 1936, a due anni dalla morte di Lizzie le Blond.



(Encordée, di Micheline Morin)


Era iniziata l’era di una “parete tutta per sé”, in montagna come in letteratura. Il saggio di Virginia Woolf “Una stanza tutta per sé” uscì nel 1929, lo stesso anno in cui veniva compiuta l’ascensione più difficile dell’epoca da parte di una cordata di sole donne, composta proprio da Micheline Morin, Nea Morin, Miriam O’Brian e Alice Damesme: la salita del Grépon lungo la fessura Mummery, nel Monte Bianco. Lo racconta la stessa Morin nel libro “Encordée”: “…una delle mie tre compagne di cordata, Miriam O’Brien… mi regalò un libro appena uscito in Inghilterra… L’autrice era l’inglese Virginia Woolf… La mia amica era al settimo cielo, ‘capisci’ mi disse ‘finalmente qualcuno che racconta le cose come stanno!’ Dal titolo non capivo granché, l’unica frase che le scucii fu ‘una donna deve disporre di una stanza tutta per sé, per scrivere e concentrarsi’. Di getto le risposi ‘una donna deve avere una parete tutta per sé per scalare, creare e vivere.” Esattamente ciò di cui avevano bisogno per emanciparsi dalla presenza maschile. Virginia Woolf non era un'alpinista, ma a casa sua si parlava di scalate, eccome. Suo padre, Leslie Stephen era uno dei fondatori dell’Alpine Club nel 1857 e autore di “The Playground of Europe”, il terreno di gioco dell’Europa, un capolavoro della letteratura di montagna.



(Alice Damesme e Miriam O'Brian dopo la salita al Grépon, 1929 - foto da gognablog)


Non di minore importanza fu la newyorchese Meta Brevoort, la zia ‘Meta’, che andava su ghiaccio e roccia meglio di tante guide, ma per farlo doveva sollevare l’ingombrante gonna lunga, scoprendo mutandoni bianchi. Con lei la cagnetta Tschingel saliva dappertutto. Pare che in alcune occasioni Tschingel fosse stata persino d’aiuto nel trovare la buona strada tra i crepacci.

(Foto di Meta Brevoort con la cagnetta Tschingel)

E poi Kate Richardson, che saliva spesso in cordata con Marie Paillon, di Lione, la prima intellettuale della montagna che sia stata riconosciuta come tale, e che scrisse molto per le riviste alpine francesi.



Kate, consacrata alpinista dell’anno dal “Times” nel 1888, perse il suo anello d’oro sul Pelvoux, nel Delfinato. Fu ritrovato dieci mesi dopo, tra roccia e ghiaccio, e riportato a valle da una guida. Il suo commento: “La montagna ha rifiutato il mio anello, è stata meno ospitale del mare che ha invece sempre conservato, fedele, quelli dei Dogi”.

Una citazione a parte meritano le sorelle londinesi Anna e Ellen Pigeon, che per tre anni tennero in subbuglio l’ambiente alpinistico per la traversata del Monte Rosa. Un’impresa ritenuta impossibile ed estremamente difficile, tanto che dovettero esibire prove e testimoni per essere credute.



(Meta Brevoort e la sua cagnetta - foto da gognablog)


Il 1907 è la data spartiacque. Nasce a Londra il Ladies’ Alpine Club. Le donne possono vantare ufficialmente lo status di alpiniste. “…Non che prima non lo fossero, anzi - racconta il libro - alcune pioniere hanno iniziato a prendersi il gusto di salire le montagne non molto tempo dopo gli uomini. Dalla prima ascesa al Monte Bianco da parte di Michel Paccard con la guida Jacques Balmat, nel 1786, passano appena ventidue anni quando, il 14 luglio 1808, Marie Paradis, cameriera in una locanda di Chamonix, mette piede sulla calotta glaciale della cima più alta delle Alpi (Henriette d’Angeville ripetè l’impresa trent’anni dopo). Se consideriamo il divario tra i generi … questa ascensione è da considerarsi un evento di portata storica.”

A inizio secolo l’attività alpinistica femminile fu interrotta dal conflitto mondiale. Tutte le attenzioni del Ladies’ Alpine Club si spostarono sul fronte bellico. La guerra avanzava anche in montagna e non era più pensabile andarci per diletto. Le alpiniste si mobilitarono e portarono concretamente il loro aiuto sul campo.

“…Nel 1915 Mrs Lizzie Le Blond definisce un programma di finanziamento per l’acquisto di una autoambulanza e di una cucina a motore destinata agli Chasseurs Alpins impegnati nella regione montuosa dei Vosgi (nella zona occidentale della valle del Reno) … La Alpine Motor Kitchen è una macchina potente adatta alle strade più accidentate…”



(Aubry Le Blond, Elizabeth Le Blond - Hundred Heroines Women in Photography).jpg


Linda Cottino, giornalista e scrittrice, si è dedicata alla ricerca storica sull'alpinismo femminile sin dai primi anni duemila, consultando documentazione pubblicata per lo più in altri paesi europei, negli Stati Uniti e dalle riviste dei club alpini, coniugando il suo mestiere di giornalista con la passione per la montagna. Ha diretto per sette anni il mensile Alp e come free lance ha collaborato con Le Montagne Incantate-National Geographic, Meridiani Montagne. Cura la rubrica mensile dei libri per il mensile del Cai, Montagne 360.

La spinta ad approfondire questa pagina quasi ignota della storia dell’alpinismo si deve a un reportage sulle montagne dell’Asia Centrale realizzato per la rivista Alp. In Pamir a Cottino accade di imbattersi nella storia di otto alpiniste sovietiche che nel 1974 rimasero intrappolate in una bufera a settemila metri di quota, sotto la cima del Pik Lenin. Si trattò di una tragedia. Morirono quasi in diretta, comunicando via radio con il campo base. In Unione Sovietica vi fu il divieto di parlarne e pochi furono gli alpinisti occidentali presenti che ne portarono testimonianza. Il lavoro per ricostruire quella vicenda fece crescere il suo interesse per la storia dell'alpinismo femminile, alimentato dalla possibilità di accedere a fonti preziose come quelle conservate nella Biblioteca Nazionale del CAI di Torino.



(Michelin Morin, Nea Morin e Alice Damesme - The Pinnacle Club Centenary)


Il libro offre la possibilità di riflettere su alcuni punti critici. Per assurdo si potrebbe affermare che le donne dell’epoca vittoriana erano più libere di fare quello che volevano. È vero che si trattava di una élite, tutte appartenenti all’aristocrazia o alta borghesia, ma potevano decidere per se stesse, in barba alla rigida morale del tempo. Oggi è necessario divincolarsi tra la disparità di genere, il rischio di azioni apparentemente solidali (pinkwashing) o ‘finte’ spedizioni femminili, com’è accaduto di recente sul K2.

Il futuro risiede nella capacità delle donne di tracciare le proprie vie, senza adeguarsi a modelli pensati a misura di uomo. Se riusciranno a farlo, il loro alpinismo non sarà solo una sfida sportiva, ma porterà a una narrazione più ricca e profonda. Questo è il valore aggiunto che le donne possono portare.




ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI FOGLIEVIAGGI



© Tutti i diritti riservati

Condividi su:



Foglieviaggi è un blog aperto che viene aggiornato senza alcuna periodicità e non rappresenta una testata giornalistica. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 7.03.2001. Le immagini presenti sul sito www.foglieviaggi.cloud provengono da internet, da concessioni private o da utilizzo con licenza Creative Commons.
Le immagini possono essere eliminate se gli autori o i soggetti raffigurati sono contrari alla pubblicazione: inviare la richiesta tramite e-mail a postmaster@foglieviaggi.cloud.
© foglieviaggi ™ — tutti i diritti riservati «all rights reserved»