Serenissimi
un finto tank
a Venezia
Maiali e quote latte
e lo 'Stato padrone'
Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS
Se lo ricordano in tanti quel carrarmato sbucato in piazza San Marco a Venezia nel maggio del 1997: azione di un gruppo di “Serenissimi” per la riconquista dell’indipendenza della Repubblica Veneta, che occuparono anche il Campanile di San Marco innalzando la bandiera con il leone alato. Non era “di cartone” quell’autoblindo, come poi volle lo scherno popolare, ma era un vecchio autocarro Fiat 690T, prodotto negli anni Sessanta: avevano coperto le sue linee tondeggianti con lastre di ferro, dipinto tutto di nero, con le fessure per guardar fuori da cui spuntava un cannoncino doppio, che solo da vicino si vedeva che per metà era finto. Il Tanko.
Il sindaco Massimo Cacciari tentò di parlare con i nove rivoltosi nel Campanile, ma inutilmente. Ci pensò il GIS dei carabinieri, mandati dal ministro degli Interni Giorgio Napolitano, ad arrestarli tutti in otto minuti.

Una rivolta. Orizzonti e confini del Nord-Est
di Enrico Prevedello
Nottetempo edizioni
16,90 euro
Ma chi erano quei “Serenissimi”, che non avevano più fiducia nella Liga Veneta (che agli esordi nel padovano, nel 1980, aveva raccolto 13mila voti per il Consiglio regionale), giudicata ormai troppo morbida? Quale animo popolare li agitava, a duecento anni dalla caduta della Serenissima di Venezia, la più longeva e potente tra le Repubbliche?
Niente a che vedere con lo spirito toscano dei “Campanili”, che a tutt’oggi – un po’ scherzo, molto no – contrappongono i moderni capoluoghi. Niente a che vedere con lo spirito sardo, che più che un’isola si sente un piccolo stato e si barrica nella sua storia e cultura. Niente a che vedere con i mille separatismi della nostra penisola.
Quella dei Serenissimi è una storia complessa, di sentimenti di rivalsa contro uno Stato, l’Italia, che sentono nemico: per le tasse che mandano in rovina e sono causa dei troppi suicidi tra i piccoli e piccolissimi imprenditori del padovano; per le quote latte che si trasformano in gabelle e multe; per le banche che non concedono prestiti; per i maiali i cui porcili vengono fatti chiudere perché maleodoranti…

Una storia che si può raccontare solo “da dentro”. È quello che fa Enrico Prevedello, che ha vissuto a stretto contatto, praticamente in famiglia, con uno dei protagonisti, Luciano Franceschi (che sulla sua tomba, nel 2021, ha voluto venisse scritto: “Ho vissuto serenamente, sono morto serenissimo”): lo stesso Franceschi gli ha lasciato i suoi diari perché ne scrivesse, bloc notes a cui Prevedello ha unito le carte e i dati raccolti e soprattutto la sua memoria e quella degli amici, in un continuo rimando tra episodi d’infanzia e “incursioni” di personaggi come Umberto Bossi con le acque del Monviso o Matteo Salvini con il suo Ponte di Messina. “Una rivolta” (edito da Nottetempo, 241 pagine che scorrono facili, euro 16,90) racconta il microcosmo del comune di Borgoricco, costruito su un graticolo romano dove i quadrati hanno tutti 710 metri di lato – scopriremo che non è indifferente – dove l’intreccio tra pubblico e privato è la trama della storia e la politica e la voglia di insurrezione ne è l’anima.
Intanto, il carrarmato. Luciano Franceschi non era della compagnia, arrivò in piazza San Marco la mattina dopo, quando i nove (più i due ideologi) erano già stati arrestati. E non aveva preso parte alle incursioni via etere nel Tg1 nel padovano (un po’ alla Benigni/Arbore), che aveva avuto l’eco dei giornali. Ma era stato condannato a 16 anni di carcere per aver sparato al direttore di una banca, dichiarandosi poi prigioniero politico. A quel direttore scriverà anche una lettera, non proprio di scuse, ma per spiegargli come in quel momento – gli aveva negato un prestito – la sua era “lotta armata per la liberazione delle terre venete dal colonizzatore italiano. Colonizzatore che ha usato lei come pedina del potere che si esercita col denaro”.
Una perizia psichiatrica nel carcere di Verona dichiara che “solo in alcuni momenti è stato possibile condurre colloqui clinici, che hanno evidenziato ferme convinzioni assimilabili al fanatismo politico che sconfinano nel delirio lucido e che lo hanno orientato verso scelte di vita fuori dai canoni della legalità. Alle valutazioni sono emersi i lineamenti di una personalità che aderisce incondizionatamente a una realtà ideale, che difende con cieca passione, incurante delle conseguenze del suo comportamento sul piano fisico e psicologico”.

Il fatto è, come si racconta nel libro, che Franceschi le leggi italiane non le rispetta, ma le scrive, quelle per la Repubblica Serenissima, che non riconosce il Tribunale italiano, ma ne governa uno, eletto per la Serenissima, eccetera eccetera eccetera. È senz’altro un capopolo, persino in carcere riesce a costituire un sindacato dei detenuti. E in tutto ciò la sua è la storia di un grandissimo lavoratore, con la bottega di alimentari in centro a Borgoricco, l’azienda casearia, l’allevamento dei maiali… In una famiglia generosa, dove viene addirittura costruita una stanza in casa per togliere dall’indigenza assoluta una donna di quarant’anni con le capacità di una bimba…
E sono proprio i maiali gli altri protagonisti della storia, che a volte sono cannibali e perciò bisogna stare attenti che non abbiano un prolasso intestinale, sarebbe la loro fine; ma altre volte vengono proprio rubati e macellati nel campo fuori dal capannone, così che Luciano Franceschi e il fratello la notte montano la guardia al buio… E poi il casearo, che deve essere esperto, perché la forma di formaggio non sia troppo dura o troppo molle, e quella è un’arte: e anche se tutta la famiglia ha sempre vissuto tra i formaggi, non basta per fare buone caciotte. E poi la bottega, dove c’è tutto ma di qualità, nonostante la concorrenza del supermercato sia ormai feroce.
Il libro di Enrico Prevedello avanza come i ricordi, e come i ricordi innesca improvvise retromarce, per raccontare Borgoricco e le avventure da bambini, il disco pesante di legno lanciato per errore su un capannone dove lavorano i cinesi (tutto segreto, tutto abusivo), le avventure da ragazzi, con il gruppo metal-rock con cui suona nei locali dove si spaccia e dove si fa sesso “al piano di sopra”, le puntine sulla sedia del professore e le nottate a giocare con i primi videogiochi, i lavori dell’estate nei campi di tabacco. Per raccontare i boschi dove compaiono case fantasma e i ruscelli dove cresce melma dal colore malato. E dove duecento anni dopo sognano ancora la Repubblica marinara di Venezia.
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