12 febbraio 2023
Premessa che va fatta; pezzo scritto "a caldo", dopo più di trenta frustranti giorni di tempo ballerino. Rimane il fatto che a Samui, parlo del lato nord/est, che è poi quello più densamente frequentato, il mare sai che c'è, ma a malapena lo s'intravede. I molteplici hotel, resort e ristoranti, abbandonati post Covid o operativi che siano, fanno da barriera al litorale, salvo qualche sporadica eccezione nel tratto che va in direzione Bo Phut/ Fisherman Village, a partire dal Big Budda, dove non mancano i "chiringuito" e dove consiglio il Sea Sun, un localino perfetto per un caffè, un succo o uno snack, con una piacevole musica in sottofondo che accompagnia lo sciabordio delle onde.
Choeng Mon, la spiaggia più vicina a noi, che ci siamo installati sulla propaggine più a nord di questo lato est , è la nostra preferita; una piccola ansa di fotogenica bellezza, riparata da un'isoletta, alla quale si può arrivare guadando, perché l'acqua è bassa e sarebbe cristallina, come abbiamo potuto constatare in quei pochi giorni che il meteo ci ha graziato. Scene di vita qui e ora: un paio di famigliole russe con prole, la giovane mamma dal fisico da top model, un paio di coppie attempate circondate da bottiglie di birra, una coppia gay che passeggia tenendosi per mano - uno un cristone con il fisico di Jason Momoa, l'altro, minuto e abbracciato, incuranti della corpulenta biondona in bikini fucsia, in posa, cocktail alla mano, adagiata languidamente al tronco di una palma. È così che si tramandano le leggende.
Come base abbiamo, da subito, scelto Pi Samui, proprio sulla punta: neo inaugurato beach bar di ambiziose pretese, dove barattano il lettino con una consumazione di non meno di 300 bath a testa. Qui il beneamato fa il suo quotidiano pieno di elettroliti, sotto forma di cocco fresco, venduto al caro prezzo di 150 bath, perché "griffato", vale a dire personalizzato con il timbro del locale. Supervisor e factotum, un inglese con ossequioso fare da Huriah Heep. Si danna, il povero, a cercare di smuovere i letargici camerieri indigeni e neofiti, che vagano con aria persa, mentre i clienti si sbracciano per attirarne l'attenzione. Battaglia persa.
Momento di thrilling esotico in diretta: sulla sabbia è apparso un serpentello grande come un grosso lombrico, che dopo aver provato a fare il morto, vista la male parata, è riuscito a dileguarsi con inaspettata velocità, peraltro passando accanto ai miei piedini. Spero la madre non sia nei paraggi.
Torniamo alle spiagge, più a nord ci sarebbe la piccola Thongston Bay, che dovrebbe essere una chicca, sulla quale al momento è meglio che non mi pronunci. Ci siamo andati con un tempo infame, e nonostante non ci fosse un lettino libero il litorale era lasciato andare come una discarica.
E poi naturalmente c'è Chaweng, la madre di tutte le spiagge, sei chilometri di arenile bianco, invasa senza soluzione di continuità da beach club, resort e baretti di vario stato sociale, democraticamente affiancati e altrettanto democraticamente frequentati, sebbene a priorità giovanilista e godereccia.
Chaweng è sibaritica; i più ci vanno per socializzare, sonnecchiare e crogiolarsi al sole. Onde permettendo, in acqua ci giocano i piccoletti e dei fustaccioni con surplus di testosterone a cavallo di fastidiose moto d'acqua.
Per un beach bar che non faccia parte di un resort - dove spiaggia e lettini sono preclusi ai non ospiti - c'è solo l'imbarazzo della scelta; il costo di un sunbed con allegata piscina, corredato di telo, si aggira sui 500 bath, che garantiscono musica a palla, drink a scelta e la possibilità di un massaggio a tutte le ore.
A Chaweng ci siamo ritagliati un tranquillo posticino più a nostra immagine e somiglianza: il Kings Garden è un gradevole complesso circondato da un molto ben curato giardino tropicale dove si possono affittare bungalow a prezzi ragionevolmente pre Covid, con un arenile sempre pulito, perché un omino rassegnato ha l'ingrato compito di raccogliere le foglie di ficus che il vento fa perennemente cadere.
Scopare il mare gli darebbe più soddisfazione.
A proposito di pulizia, diciamo che è a macchia di leopardo, lasciata al buon cuore e alla buona volontà del resort o del beach club. Nessuno brilla per dedizione. Nemmeno gli hotel dai nomi altisonanti.
Non mancano i tipi da spiaggia. Uno, un ottanduenne bronzo di Riace nel fisico e nel colore, ha abbordato il beneamato per via di quel suo cappellino tricolore marchiato Carpano che lo ha fatto immediamente riconoscere come ciclista della domenica. Il Bronzo, subito identicatosi come imprenditore del nord est, lo ha accolto con l'entusiasmo di un compagno di avventure, poi scoraggiato dalle risposte a monosillabo del beneamato, che ahimè in bici ormai ci va poco, ne soffre, e perciò, oltre all'abituale riserbo, preferisce non parlarne.
Riserbo che certo difettava al Bronzo, il quale, stando in piedi, così su due piedi, ci ha raccontato tutto di sé: che sta con una tedesca, che si sente circontato dai suoi compatrioti - effettivamente al Kings abbondano - che viene qui da 13 anni. Mi sorprende sempre chi va nello stesso posto, anno dopo anno. Ragazzi, c'è il mondo!
Ha poi aggiunto, con malcelato orgoglio, di essere l' l'amministratore delegato della sua azienda, con la quale fornisce squadre di pulizia ai più prestigiosi alberghi della Costa Smeralda. L'Adriatico invece l'ha abbandonato. Troppo cheap.
Causa Covid e soprattutto causa Reddito di Cittadinanza, si è trovato sguarnito di forza lavoro; ma per fortuna, ci ha rassicurato, sono arrivate le Ucraine - quelle povere disperate in fuga dalla guerra - e quindi i soldoni sono ripresi a fioccare. Il beneamato ora ha un motivo in più per evitarlo.
Le nostre giornate a Chaweng finora sono state contrassegnate da bandiera rossa, con cavalloni oltre il metro, che ho affrontato con baldanza benché senza noncuranza, cosa di cui sono orgogliosa, nonostante mi abbiano sbatacchiato a dovere.
Con la speranza di saperne di più avevamo contrattato con Mr. Ja di fare il giro dell'isola, per conoscere cosa ci stavamo perdendo. Un ring road del perimetro di 65 km, che si farebbe in un'ora. Noi abbiamo voluto mettercene sei.
Prima tappa la decantata Crystal Bay contigua a Silver Beach, se ho capito bene, ma non è detto. Carina è carina, anzi molto, altrettanto è piccina, con un certo non so che ricorda le Seychelles, per via di quelle rocce simili. Ci siamo fatti un bagnetto, ma il tempo stringeva; avevamo un appuntamento.
Così abbiamo giusto messo il naso a Lamai, che è la Pepsi in fatto di spiagge. Forse con più calma avrei più cose da dire, ma come prima impressione cmi è sembrata la versione nazional popolare di Chaweng.
Qualche fascinoso chilometro tra piantagioni di palme di cocco, solo un imprecisato numero di villaggetti e una serie di Yoga Retreat, che qui ci stanno proprio bene, ed eccoci a Thong Krut, porticciolo da dove partono le long boat, o le speed boat se si preferisce, per Koh Madsun detta Pig Island, per chi fosse interessato a fare una coccola alle amichevoli creature, sovrappeso per natura, qui particolarmente oversize causa le attenzioni dei turisti.
La fantastica ottuagenaria, amica e compagna di elementari di due amiche, anche loro sudafricane, trapiantate a Londra, l'appuntamento me l'aveva dato all'Elixir, uno di quei localini ancora genuini, con una coté salutista, di cui ci si innamora subito. Il menù solo a guardarlo ti faceva star meglio, ricette "garantite" - d'accordo non me le bevo tutte, non sono così ingenua, ma mi piace l'idea - a rimettere in salute la fauna batterica.
La bionda, in splendida forma, si era presentata a cavallo del suo motorino adobbato con decorazioni natalizie, "per ritrovarlo facilmente" tra la miriade in circolazione. Dopo un paio di bicchieri di rosso, ormai amicone, ero venuta a sapere che abitava, da sola, in una casa tradizionale thai, di legno, su palafitte, senza finestre, con le sole persiane a proteggerla dai monsoni, con una doccia nella quale si lavava a pezzi e un wc che, se ho ben capito, doveva svuotare manualmente. Spero non letteralmente. Dopo dodici anni di questa vita, ora si era stufata e sarebbe tornata a Cape Town, presso uno dei figli, avuto da non so quale dei mariti; di certo non il Norvegese, perché con quello ha rotto i ponti, anche se le piaceva un sacco fare pupazzi di neve davanti a casa. Capito la tipa?
Avrete anche capito che l'isola induce alle confidenze e che qui al sud ci ho lasciato il cuore. Onestamente, consci dei nostri limiti, dubito che potremmo passarci più di un paio di paciose settimane. Ci manca però il lato nord ovest.
Mae Nam e Bantai, così en passant in macchina, sembrano offrire spunti interessanti e piacevoli, anche se a detta di alcuni controverse, realtà. C'è chi ne parla come di un piccolo paradiso con punte di diamante come il Mimosa Beach Club e chi come una spiaggia discarica per via dei bungalow a misura di backpacker squattrinati inclini al trash. Cercheremo di scoprirlo.