10 marzo 2023
Koh Tao o, come l'hanno soprannominata i tabloid inglesi: Murder Island. La vicenda è complessa e controversa per cui sarò, per forza di cose, sommaria. Capodanno del 2014; c'era stata una prima morte, liquidata come annegamento, del 25nne inglese Nick Pearson, in vacanza con la famiglia. Per i parenti, alcune escoriazioni sospette facevano invece sospettare un "foul play". Ma il caso che avrebbe fatto scalpore con risonanza e mobilitazione internazionale, era stato il ritrovamento, nel settembre dello stesso anno, dei corpi di Hannah Witheridge e David Miller, due giovani inglesi, rinvenuti sulla spiaggia di Saree, dove si erano appartati; semisommerso quello di lui; sul bagnasciuga, dopo essere stata violentata, quello di lei. Ambedue morti per le percosse con una specie di zappa.
Le indagini, in una scena del crimine contaminata, a fronte di dubbi test del Dna e di confessioni pare estorte e poi ritrattate, avevano attribuito la colpa ad un paio di immigrati illegali dalla vicina Myanmar. Altre voci, messe a tacere dalle autorità, sembravano piuttosto indirizzare i sospetti verso il rampollo della più importante famiglia dell'isola. Da cui, sempre pare, la fretta a trovare i colpevoli in quel paio di disgraziati. Condannati a morte con un processo, a detta di Amnesty International, molto sommario, nel 2020 la sentenza era stata commutata in ergastolo per "magnanima" volontà del Re, in occasione di un suo compleanno.
A rafforzarne l'inquietante nomea, c'è poi quanto scritto sul blog "Strange Outdoors Mysterious Stories" (www.strangeoutdoors.com) che, con tanto di foto, elenca e documenta le morti di altre otto vittime, tutti stranieri, sia maschi che femmine: i sospetti suicidi, gli improbabili annegamenti, i discutibili referti.
Nonostante quanto sopra, l'escursione per fare snorkeling a Koh Tao l'avevo pregustata e di volta in volta rimandata per essere certa di avere il meteo dalla nostra. Ora, o Nettuno e Eolo ce l'hanno giurata, oppure devo scoprire chi ci ha fatto la macumba. Un laconico messaggio :"Per avverse condizioni meteo, il catamarano partirà dal porto di Nathon e non dal pier di MaeNam" ci aveva messo in allarme.
Da che lo conosco, il mare mosso ha sempre rappresentato un problema per il beneamato. Vero che lo affronta con stoica ompostezza, vero che soffre dignitosamente in silenzio, ma lo vive malissimo. Andando sulla fiducia, ci eravamo muniti della variante thai della Xamamina; pillolina che, per quanto l'avessi sollecitato, si era però ben guardato dall'ingoiare. Quel "per favore non vomitate nel lavandino" documentato sullo scalcinato traghetto della SeaTran per Surat Thani, data la presente situazione, non sarebbe stato fuori luogo nemmeno su questo della più moderna Lomprayah, compagnia con velleità d'immagine.
Una decina di minuti in mare aperto avevano fatto le prime vittime. A soccombere allo sbatacchiamento ondulatorio e sussultorio erano stati i più giovani; non tanto i piccoletti, che o piangevano accorati o si erano già addormentati, quanto qualche bella ragazza, esangue sotto l'abbronzatura, rannicchiata in posizione fetale nella sua poltroncina di dolore e parecchi dei giovanottoni palestrati e iper tatuati a mo' di Maori. Sul volto, pallido e provato, la speranza di arrivare in tempo al WC.
Con il beneamato che soffriva in silenzio, la conversazione languiva e avevo pensato bene di sfruttare lo scalo a Koh Phangam per andarmi a godere le onde sul ponte superiore. Il mare in tempesta non è mai stato un problema. Anzi. Credo che potrei doppiare persino Capo Horn.
Scelta forse discutibile, quella di abbandonarlo sottocoperta. Scelta rivelatasi, da subito, irreversibile. Il senso di colpa era forte, ma non abbastanza da rischiare la rottura del femore, garantita se avessi provato a ricongiungermi tra i sobbalzi. Ero certa che il mio compagno di vita e di avventure sarebbe sopravvissuto con dignità. Nel comune sollievo avevamo attraccato a Koh Tao, dopo tre ore sembrate un'infinità. Al ritorno, il tempo dimezzato ci ha dato la misura di quanto male si era viaggiato.
La bolgia sul molo - l'incontro tra quei due flussi di folla, una parte, quella provata, che si accalcava per sbarcare e l'altra, quella accaldata, ansiosa di partire - lo faceva sembrare il vortice di un girone dantesco. Un'impressionante moltitudine di gente di varie etnie e tutte le età, accampata tra zaini, valigie e bagagli, nella sporcizia, tra resti di lattine, cartacce e pacchetti di patatine... Sfatiamo pure la credenza che i backpackers viaggino leggeri; dalle dimensioni di certi zaini, alcuni sembrava stessero traslocando.
Ringalluzziti dalla terraferma, avevamo rifiutato sdegnati il tassista arrogante che chiedeva l'equivalente di € 9 per portarci all'hotel, distante meno di cinquecento metri. Peccato che il tracciato di Google Maps non indicasse la salita a cremagliera, né che la glabra stradina fosse sotto un sole rovente. Un breve riposino ci aveva rimesso in pista, pronti ad esplorare l'adiacente Saree Beach; la più ampia, la più lunga, la più fascinosa ansa dell'isola, concentrato di tutto, dove si passeggia, si socializza, si fanno acquisti, dove bere un cocktail, cenare o fare un semplice spuntino.
Saree ci aveva accolto con il frastuono forte, improvviso, in sincrono, delle cicale e la luce dorata del tramonto.
Brevi scorci che si aprivano, discreti e attraenti tra un ristorantino e un beach bar, ci rivelavano amache allungate tra palme ricurve, piccoli gazebo con coppiette abbracciate sui cuscini, a godersi quel mare piatto come uno specchio, punteggiato da sfilze di smilze long boat dai colori vivaci, affiancate a decine di barconi a due piani, più al largo, ormeggiati in rada. Un panorama placido, sereno. A dispetto del mio preambolo da cronaca nera.
Ci torneremo a Koh Tao? Lo speriamo. Ci saremmo fermati di più? ci abbiamo provato, ma gli hotel nei paraggi davano il tutto esaurito. Comprensibile. Si respira gioventù, oltre che una bella arietta balsamica; si vive un ritmo rilassato, si cena, come abbiamo fatto noi, a lume di candela, sulla sabbia. A Tao abbiamo trovato quella pigra atmosfera tropicale che ci è mancata a Samui, se non in quel Sud e quell'Ovest ancora addormentati.
Anche qui durerà poco. KohTao non è già più la verginella di una volta. Lungo la costa, sopra certe anse, palme e bungalow di legno hanno lasciato il posto a condomini di cemento e mega ville, aggrappate sui massi rocciosi. Spiccava un ecomostro, Pinnacle si chiama, invasivo, dominante, fuori luogo; un pugno in un occhio, fin dal traghetto.
Per fare un confronto con i parametri nazionali, l'isola è grande appena un km quadrato in più di Lampedusa, 21 contro 20. Sul numero di abitanti le cifre variano; nel 2006 non arrivavano a duemila, ma calcolando lo scorrere degli anni, il proliferare degli affari e la non documentata, per lo più infiltrata, manodopera birmana, saranno almeno raddoppiati. In quanto ai turisti, a seconda delle fonti i numeri variano, ma a spanna, da testimone oculare, direi che sono tanti. Perché tante sono le scuole da sub, perché a Tao ci si viene soprattutto per questo, perché queste, per concentrazione e affluenza, sono seconde solo a quelle della Barriera Corallina Australiana; con la differenza che qui un patentino certificato PADI, valido in tutto il mondo, si prende in tre giorni e costa dai 300 ai 400 euro.
Ovvio che la cosa, agli Australiani, rughi parecchio. Personalmente lo trovo da incoscienti, ma sono fuori target. Parlo da anziana provata da un' unica brutta esperienza. La battaglia della concorrenza si combatte sui centesimi, sul passaparola, persino sugli orari acchiappa dormiglioni, sui siti d'immersione meno battuti, sulle recensioni e sulle proposte all inclusive, comprese di una spartana accomodation e la gregaria garanzia di compagnia. Tra le offerte i "try dive" di mezza giornata - per i più pavidi c'è la piscina - molto frequentati da gruppi di Cinesi, con poco tempo da perdere.
Chi se lo può permettere può optare per programmi su misura con modalità e orari personalizzati. La maggior parte non ha necessità così sofisticate e si accontenta del prezzo. Mi viene l'ansia solo a scrivere i nomi dei più famosi siti per le immersioni, a leggere le descrizioni dei fondali, delle profondità, degli incontri ittici: il Pinnacolo di Chumphon, quello di Southwest, Sail Rock e Green Rock, che qualcuno ha voluto definire "divertente". Sempre che vi diverta incontrare un serpente marino a bande larghe (banded sea snake). C'è anche Shark Island, un piccolo scoglio davanti al quale è stato documentato un unico attacco. Da non confondere con Shark Bay, nome evocativo ma non rappresentativo, dove abbiamo fatto snorkeling anche noi, e dove nessuno ha avvistato nemmeno un gianchetto.
Già, parliamo della nostra agognata escursione. Non per fare ancora la vittima, ma il mare grosso aveva permesso di costeggiare solo il lato ovest e i nostri, come gli altri, organizzatori ci avevano fatto saltare tre delle cinque tappe previste, ma se l'erano cavata facendo gli gnorri e con una buona dose d'intelligente improvvisazione.
Punto forte della giornata l'isolotto di Koh Nang Yuan, come tale preso d'assalto da una miriade di altre barche. L'essere arrivati tra i primi non ci aveva impedito di incrociare la fila dei tanti stakanovisti, come noi determinati a scalare l'impervia collinetta, che ci avrebbe, condizionale d'obbligo, dovuto garantire la scenografica vista di quel budello di sabbia e delle due speculari anse di acque turchesi. Peccato che una chiamiamola influencer avesse requisito il bitorzoluto roccione per suo fotografico uso e consumo personale; la cosa aveva creato un ingorgo di gente in salita, costretto all'attesa chi ce l'aveva fatta e predisposto alla discesa gli impazienti come noi che, raggiunta a fatica la meta, la vedevano a lungo preclusa per i comodi della signorina.
Ciò nonostante, pur consapevoli che i nostri quadricipiti l'indomani ce l'avrebbero fatta pagare, ci siamo dati un bel "cinque" di reciproca soddisfazione, anche se confesso di aver rischiato il mio solito colpo apoplettico, causa calore. Quel primo bagnetto, però, era stato deludente. Saggiamente, il beneamato mi aveva sconsigliato anche solo di provare a fare snorkeling: "Fatica sprecata; non ci sarà un pescetto a pagarlo. Guarda l'ammucchiata di sub una tantum, in piedi su quella massa di coralli defunti..." Effettivamente era più divertente osservare le cinesine stramazzare sotto il peso delle bombole, sorseggiando un cocco fresco.
Ci sono gli squali a Koh Tao? Potete giurarci. Anzi, direi che fanno parte dell'appeal. A partire da quel pacioso bestione vegetariano che è lo squalo balena, passando attraverso le diverse taglie e varietà. Sono pericolosi? Stando alle due toste tedescone tatuate nostre compagne di snorkeling, dopo l' inaspettato incontro ravvicinato con uno small e due medium, nemmeno tanto. Per quanto. Nonostante cercassero di non darlo a vedere, mi erano sembrate un po' scosse.
In quanto a noi, la giornata mi aveva regalato, in ordine di apparizione: un anemico simil sogliola color sabbia, un micro esserino grande come un'unghia ma di un fantastico color turchese, due creature zebrate giallo/nere taglia piattino da dessert. E questo è stato quanto. Manco la tartaruga siamo riusciti a vedere. E con lei si andava sul sicuro, essendo stanziale; difatti ad alcuni nostri compagni, bontà sua, si era concessa. Ci siamo consolati, il beneamato ed io, pensando che dopo il Mar Rosso e la Barriera Corallina il meglio l'avevamo già visto.
È arrivato il momento di fare una confessione inter nos. Dopo la mia prima, nonché unica, abortita lezione da sub a Nosy Bè in Madagascar, dove una sciagurata istruttrice che suppongo neofita mi aveva zavorrato al punto da immobilizzarmi, appiattita sul fondo di nemmeno un paio di metri, dopo che mi aveva compresso dolorosamente il torace per farmi risalire come un pallone aerostatico, ebbene da allora il mio rapporto con maschere e boccaglio non è più quello di una volta. Ho scoperto di essere diventata claustrofobica. Dopodiché mi sono detta: beh, se Dio voleva farmi andare sott'acqua mi avrebbe fatto le branchie. Amen.