Due giovani bene in una Roma male si siedono con impudenza al tavolo dove si gioca la grande partita dello spaccio. Sono ricchi, uno tormentato, l’altro meno ma insomma, cercano una sfida, troveranno tempesta. “Enea”, scritto, diretto e interpretato dal trentaduenne Pietro Castellitto, seconda prova dopo “I predatori” del 2020, è un oggetto-film composito e furbetto con diversi motivi di interesse, a partire dal piglio surreal-grottesco, e qualche debolezza. Enea (Castellitto, ovviamente) ha begli occhioni e tanti bigliettoni in saccoccia, frutto della gestione di un ristorante di sushi provvisto di chef che indulge a pratiche erotiche con un salmone. Ammirato dalle ragazze, fluttua con garbo e superiority complex nelle notti capitoline, tra locali adibiti all’esagerazione alcolico-stupefacente e feste con cubiste e generone romano danzante in mood barocco-decadence cui si può assegnare fin d’ora il gran premio Déjà Vu, risultando il calco sorrentiniano così smaccato da risultare trash.
Enea è figlio di Celeste (Sergio Castellitto, padre di Pietro), uno psicologo dell’età evolutiva interiormente frantumato e uso frequentare una rage room, ossia stanza della rabbia superlussuosa, dove a pagamento si sfoga su mobili e lampadari a colpi di mazza da baseball. La madre Marina (Chiara Noschese) presenta libri in tivù ed è disgustata dal suo lavoro. Completa la benestante e serena famigliola Brenno (Cesare Castellitto, diciottenne fratello minore di Pietro, e siamo a tre, ma c’è una Maria Castellitto - la sorella? - nei titoli di coda), studente in un istituto esclusivo, un tipo piuttosto lesso. Miglior amico di Enea è Valentino (il rapper Giorgio Quarzo Guarascio), fresco di brevetto da pilota civile con madre depressa reduce da un tentativo di suicidio. Ha un che di luciferino negli occhi, serba qualche cicatrice di troppo nell’anima e, si vedrà nel corso degli eventi, è dipendente dalla cocaina, stupefacente al centro del grosso business proposto a Enea e Valentino da Gabriel (Matteo Branciamore), capoccia di una discotecona molto ambita nella fascia venti-trent’anni (“da questo momento nun entra più nessuno, manco la fregna!”), all’insegna della deboscia tardo-imperiale.
Sono in ballo venti milioni e trenta chili di “roba”, da distribuire alla fedele clientela d’altissimo bordo per posta aerea. Bingo! finché ai volenterosi ragazzi non viene in mente di fottersi chi dà le carte nel gioco criminale: due i croupier, uno è un malvivente classico, Giordano (Adamo Dionisi), l’altro è l’insospettabile Oreste Dicembre (Giorgio Montanini), un gran fijo de ‘na mignotta, per usare un lessico rispettosamente adeguato. A Pietro Castellitto, cineasta emergentissimo, non si rifiuta mai un microfono e così è andata agli atti questa sua dichiarazione: ““Enea è un film di gangster senza la parte gangster, una storia di genere senza il genere”. Oddio, Enea e Valentino sono pesciolini fuor d’acqua nel giro brutto, ma, se non abbiamo contato male e senza voler spoilerare, i morti ammazzati alla fine risulteranno ben sei, per non dire di certi effetti alla 11 Settembre. Finale tutto dedicato alla consacrazione dell’amore tra il protagonista ed Eva (Benedetta Porcaroli) per il sollucchero di mami e papi, cui sembra di volare. Durerà?
A partire dal Tevere Country Club (questa è facile, si rifà al Circolo Canottieri Roma), il contesto del film è chiaro, peggio: risaputo. Una Capitale di élites affacciate sul vuoto, quasi macchine in folle (a ogni modo molto accessoriate da filippini serventi - uno piovuto nella storia direttamente dal delitto dell’Olgiata - e tripli saloni), con un “mondo di mezzo” pronto a fornire passatempi. Portafogli gonfi, futuro zero. Tanto narcisismo giovanile condito di irresponsabilità, Enea e Valentino a fungere da dolenti fantasmi. Un contesto così descritto da Pietro Castellitto in una discussa intervista a “Sette” di un paio d’anni fa: “Non credo esista un posto più feroce. Chi è cresciuto a Roma Nord, ha fatto il Vietnam. Ma è un mondo anche tremendamente delicato e crepuscolare. Un mondo dove i valori basilari dell’esistenza – voglia di potenza, di bellezza, di soldi e successo – sono ancora in voga. Dinamiche indicate come negative dal mio mondo di provenienza e da buona parte della società civile”. Celeste-Sergio Castellitto consiglia ai giovani pazienti di dividere in due un foglio e scrivere separatamente quelle che ritengono cose belle e cose brutte. Replichiamo il giochino con dei “sì” e dei “no”.
Sì: Castellitto è bravo nel tradurre le suggestioni in immagini, sa trastullare lo sguardo e compiacere con invenzioni “wow” anche lo spettatore già allenato, per via di film e di serie tv, a tutte le variazioni del melting pot sempre più marcetto di Roma capoccia. A trentadue anni non è da tutti un uso così eclettico (fin troppo) della macchina da presa, con inquadrature droneggianti dall’alto a piovere in scena e giochi di riflessi, soprattutto nella prima parte del film che poi prende una cadenza più piana. Il finale offre un campo lungo molto funzionale ed emozionante. Altrettanto azzeccata la prima inquadratura statica in piano medio del film: Valentino e la madre di Enea confessano disagio davanti a tempi inariditi, con dolcezza, il più bel momento di cinema nei 115 minuti totali.
No: nella prima ora, “Enea” infila una dopo l’altra le scene come quadri separati, quasi con la preoccupazione di non riuscire a travasare tutte le intuizioni affioranti. Una spezzettatura che non giova e sottolinea l’autocentratura del giovane regista. Molta critica lo aspetta al terzo film: attraverserà come Alice lo specchio? Già “I predatori” del 2020, esordio applaudito (premio come migliore sceneggiatura a Venezia Orizzonti e come regista esordiente ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento), attraversava la Roma-giungla con due famiglie politicamente e socialmente agli antipodi, ma solo in apparenza, con un Pietro Castellitto venticinquenne innamorato di Nietzsche e percorso da pulsioni anarchiche. Un'opera prima di freschezza indubbia.“Enea” è una sorta di fastoso bis, è arrivato il momento di andare oltre o dietro, insomma, di giocare un po’ in trasferta.
Sì: Sergio Castellitto suggella un’ottima prova leggendo commosso la lettera di un ex paziente: applausi. Non è da meno Chiara Noschese, attrattivo per lo sguardo il debuttante Giorgio Quarzo Guarascio, sottoutilizzata Benedetta Porcaroli. Un “più” convinto al Giordano di Adamo Dionisi. E se gli attori girano a dovere il merito è anche del regista.
No: Pietro Castellitto a forza di sottrarre sforna una esangue prestazione (se era voluta, è mal riuscita), non è ancora un Jean Gabin che parla coi silenzi. In altre occasioni, da “I predatori” a “Freaks out” di Gabriele Mainetti, aveva saputo sfruttare bene la sua fisicità dinoccolata e un talento sornione.
Sì: buona la sceneggiatura quando non è sentenziosa, vedi il dialogo tra Enea e l’eminenza grigia Oreste Dicembre su potenza (il superomismo sfidante di Enea) e potere. Suggestivo: “Io sento che c’è come una grande bocca sopra ‘sta città, pronta a mangiarci tutti”. Viva la sincerità: “Le alternative per me sono due: o il percorso individuale o il percorso clanico. Se la famiglia ha un clan allora ha senso, noi siamo un clan, mamma?”
No: alla sentenziosità ultimativa: “Io divido gli uomini in due categorie: quelli che vogliono restare nella fica e quelli che vogliono uscire dalla fica”. Prego?
Sì: da “Bandiera gialla” a “Maledetta primavera” musiche ruffianeggianti (e già molto spremuta al cinema la seconda), ma, sparate a palla, smuovono emozioni. Ci sta pure dentro “Spiagge” di Renato Zero cantata da Valentino, testo rivisto ad hoc: “Spiagge immense ed assolate, spiagge già pippate, amate e poi perdute in questa azzurrità, fra le conchiglie e il sale quanta la gente che ci ha già lasciato il culo”.
“Enea” è prodotto da Lorenzo Mieli e Luca Guadagnino con Vision Distribution (Sky e Comcast) che ha diffuso in oltre 300 sale. Il budget era di 8 milioni di euro, analogo a quello di “C’è ancora domani”. Sotto le attese il botteghino.