“Povere creature!”, “Poor things”, nel titolo originale. E soprattutto poveri maschi, dal seduttore piacione al marito carceriere, messi in riga a puntino da Bella, anima candida col corpo diciamo così “rielaborato” da un chirurgo sperimentatore d’epoca vittoriana. Giovane donna incinta suicida con tuffo nel Tamigi, l’ha ripescata il dottor Dogwin Baxter, seguace di un’idea del progresso scientifico molto disinibita. Questo Elon Musk ante litteram le ha trapiantato infatti il cervello del feto che portava in pancia e l’ha offerta come una sfida al mondo: rinata, adulta ma mentalmente una tabula rasa, preda di capriccio e istinto e, crescendo, robusto appetito sessuale placato - parole di Bella - con “furiosi sobbalzi” in compagnia maschile.
Una specie di nuda bomba atomica nel regime sociale puritano per eccellenza, benedetto dai crismi dell’ipocrisia assoluta. Yorgos Lanthymos sfodera col suo ottavo lungometraggio un’altra storia dura, struggente e felicemente straniante, affondata nelle splendide miserie della corporeità umana e giocata nei territori della fantascienza e del grottesco, munito della sceneggiatura di Tony McManara tratta dal romanzo omonimo dello scozzese Alasdair Gray (1934-2019). Un artista crossover tra scrittura e disegno, “compagno di strada" ideale per il regista greco, talento visionario qui in vena di lussureggianti sfrenatezze scenografiche talvolta di sapore felliniano e molto altro ancora, comprese rivisitazioni liberty-lisergiche color confetto di Londra, Lisbona e Parigi.
Una pura creatura desiderante all’attrito con un mondo in sclerosi morale, dialoghi ultimativi su speranza e realismo serviti con e senza abiti. “Povere creature!” è il film dell’anno? Di certo va annoverato tra i più stimolanti, benché lontano dalle prime eversive prove di Lanthymos, che con questo film ha accettato la (piacevole) sfida dell’alto budget, 35 milioni di dollari, e conseguente cast pregiato. Svetta Emma Stone, è una Bella di mille trasformazioni, Mark Ruffalo nei panni del vanaglorioso tombeur de femmes Duncan Wedderburn e vittima principe di Bella tiene istrionicamente botta, Willem Dafoe è un Godwin Baxter dolente spinto a oltrepassare qualsiasi limite medico e con un lampante nomen-omen: William Godwin era il padre di Mary Shelley, l’autrice di “Frankenstein”. Il trio è potente, Stone e Ruffalo sono in corsa per l’Oscar non a caso.
Bella ri-nata è ingorda, capricciosa, “creata” dall’uomo come Barbie e altrettanto in difficoltà nel camminare, però a differenza della bambolotta in rosa del film di Greta Gerwig è sessodotata e impara presto a giovarsene, fosse anche con una mela, frutto simbolicamente peccaminoso. Il dottor Baxter - il padre suo lo usava come cavia per chirurgie mengeliane e si ritrova un volto arato dalle cicatrici e uno stomaco da umanoide - prova per Bella un trasporto genitoriale e la affida protettivamente al suo assistente Max McCandless (Ramy Youssef), bravo giovanotto presto innamorato della esuberante e pura donna “risorta”. Bella viene attratta dal seduttivo Wedderburn, ci sa fare a letto e si crede er mejo, ma non ha fatto i conti con Bella, che lo mette sessualmente al tappeto e, mentre sono in navigazione su una specie di lussuoso Nautilus da crociera, regala tutti i soldi vinti al tavolo di gioco da Duncan ai bambini poveri. Vede il dolore, non può/riesce a tacitarlo, è umana predisposizione dell’animale sociale non ancora anestetizzato.
Il Ganimede è in stordimento totale, perde la testa per Bella e la vede sempre più lontana, si fa possessivo, padrone. Non farà molta strada, dopo Lisbona tappa a Parigi e la donna ri-nata, mandato a ramengo il querulo Duncan, si accasa in un bordello diretto da Swiney (Kathryn Hunter) maîtresse saggia e sadica, dove impatta con omuncoli deboli e viziosi e, per buona sorte, con Toinette (Suzi Bemba) collega nera e dolce, amica e amante. Ormai ha elaborato un suo pensiero sul mondo, vive di una logica semplice alimentata da empatia e curiosità verso gli umani, non ha sovrastrutture o un Super-io castrante e questo spiazza gli uomini attirati e poi frastornati dalla sua personalità femminile totale, uomini con favoriti e marsina che Lanthymos ci serve secondo canoni fin troppo stereotipati, senza un pizzichino di ambiguità.
Il dottor Dexter è in fin di vita e Bella torna a Londra. Max, l’unico essere maschile insieme al padre putativo a salvarsi con dignità, è pronto a sposarla, però ricompare - causa una meschinità di Duncan - l'antico marito. Trattasi di un militare di carriera, Sir Aubrey de la Pole Blessington (Christopher Abbot) che - come il brutale sceriffo trumpiano Roy Tillman (Jon Hamm) della quinta stagione di “Fargo” - vuol prendersi ciò che ritiene suo, manco l’ex moglie fosse un manzo scappato dalla stalla. Seguono fattacci, ma il film, decollato da diverse scene in bianco e nero con fisheye dedicate alla seconda infanzia di Bella con macchina da presa al posto del microscopio, si chiude su un giardino da Alice nel Paese delle Meraviglie, tutto colori saturi e strani animaletti scorrazzanti, tipo porcelli dal corpo di pollo, “Freaks” alla Tod Browning con zampe e piume, frutto degli esperimenti dell’ormai trapassato Dexter. Happy End e solenne demolizione del côté sessista di Charles Darwin.
C’è chi non ha apprezzato la visionarietà pop di Lanthymos, troppo facile e improntata a uno steampunk vittoriano già molto visto, con tanto di macchine volanti e macchinismi vari al gusto Méliès ma anche sublimi giochi con le architetture urbane, tanta Art Nouveau e profumi di Gaudì con speziature di gotico disneyano (tra parentesi: la Ditta di Burbank è tra i produttori e distribuisce da noi “Povere creature!”) e orizzonti dipinti rosa-cilestrini meravigliosamente falsi. Applausi convinti alla scenografia di James Price, Shona Heath, Zsuzsa Mihalek e pure ai costumi di Holly Waddington che propongono una Bella Baxter con spalline e maniche sbuffanti e colli oversize, alla colonna sonora di Jerskin Fendrix, emergente della nuova scena musicale inglese e al trucco di Nadia Stacey, Mark Coullier e Josh Weston, un bel plotone di genietti tutti candidati agli Oscar, che verranno assegnati a marzo (il film ha ottenuto undici nominations).
Non c’è molto da discutere per contro sulla centralità di Lanthymos nel cinema non ingessabile in catalogazioni di genere che negli ultimi vent’anni ha esplorato altri sentieri narrativi, mescolato generi e strumenti, si è fuso con la musica, appropriandosi di pittura e animazione. Tra i “consanguinei” di Yorgos l’Ari Aster di “Beau ha paura”, la cifra grottesco-demolente di Ruben Östlund, il gotico di Tim Burton, la poetica trans-umana e fiabesco-horror di Guillermo Del Toro. Ci aggiungiamo a far buon peso Almodóvar e non solo per le accensioni coloristiche, ma per un film in particolare, “La pelle che abito”: un chirurgo plastico inventa una pelle resistente e sceglie come cavia il ragazzo che ha tentato di stuprargli la figlia, un violento incauto condannato a uno scioccante risveglio con corpo di donna (interamente donna e ci siamo capiti).
Era meglio il Lanthymos disturbante con le identità surrogate per denaro di “Alps”? O con i genitori segreganti di “Dogtooth” (quasi un “Truman show” psichiatrico moltiplicato)? Con la distopia di“The Lobster”? Già con lo storico “La favorita” la radicalità delle prime prove si era giocoforza sbiadita, senza che però la sua poetica si snaturasse. I 141 minuti di “Povere creature!” vengono a confermare e così salutiamo un film mainstream intelligente. Il percorso del regista greco assomiglia un po’ a quello di Greta Gerwig, regista indie passata tramite “Barbie” a una scala produttiva nettamente superiore con un risultato cinematograficamente opulento, qualche debolezza/ovvietà e un forte impatto nel discorso pubblico. Non di che lamentarsi, alle somme.
Entrambi i film impongono due presenze attoriali eccellenti, quel che conta perfino di più è l’impegno sia di Margot Robbie che di Emma Stone nella produzione, rispettivamente con la Lucky Chap Entertainment e la Fruit Tree. I tempi stanno cambiando. La trentacinquenne Emma è figura in decisa ascesa, già ha incamerato un Oscar per “La La Land” di Damien Chazelle e un Golden Globe per “Povere creature!”. Lanthymos porta bene alle sue attrici, grazie a “La favorita”, Olivia Colman ha conquistato l’Oscar ed Emma Stone si è messa in gran evidenza nel ruolo di Abigail Masham, impegnata a rivaleggiare con Sarah Churchill (Rachel Weisz) per conquistare i favori, appunto, della regina Anna d’Inghilterra, Scozia e Irlanda. La sua interpretazione trasformistica e generosa di Bella Dexter potrebbe valerle un bis dell’Academy. La concorrenza della nativa americana Lily Gladstone (“Killers of the Flowers moon”) e della tedesca Sandra Hüller per “Anatomia di una caduta” è tosta.