di
ANDREA ALOI
“Ancora un’estate” segna il ritorno sugli schermi dopo una decade della francese Catherine Breillat, settantaquattrenne scrittrice e regista di sguardo acuto e libero sull’universo della sessualità-sensibilità e della corporeità femminile. Un’artista abituata a scandalizzate reazioni, discussa da critica e pubblico. Chi si aspettava dal suo ultimo lavoro scene ad alto gradiente erotico con relativa esibizione di epidermide (cfr “Romance” con la “generosa” partecipazione di Rocco Siffredi) resterà comunque deluso. Chi, con la scusa del film d’autore, volesse ammirare nudi corpi femminili impegnati in battaglie d’amore si riveda piuttosto “La vita di Adele” di Abdellatif Kechiche con Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos. In “Ancora un’estate”, storia di calda accensione carnale tra un ragazzo e la sua matrigna, parlano i volti, i primi piani, la beatitudine di una fusione paradisiaca. Parla non l’erotismo, ma l’Eros, ingovernabile, capriccioso, portatore di gioie e dolori.
Anne (Léa Drucker, magnifica) è un’avvocata di mezza età impegnata a tutelare giovani donne vittime di violenza, una classica bon chic bon genre di gentile aspetto che vive negli agi di una bella casa in campagna con l’innamoratissimo marito Pierre (Olivier Rabourdin), superimpegnato uomo d’affari molto redditizi. Vivono con due bimbe adottive, Pierre ha un figlio diciassettenne nato da un precedente matrimonio, Théo (Samuel Kircher). Ha temperamento riottoso e insopportabile, come dimostrerà in casa del padre, è stato cacciato da scuola e la madre lo ha spedito da Pierre nella speranza che cambi registro. Biondo, occhi ora insolenti ora torbidi, ha patito la rottura tra i genitori, tempo pochi giorni e sarà un perfetto oggetto del desiderio per Anne, memore di epoche giovanili sessualmente molto più gratificanti. Perché non rivivere “Ancora un’estate”? A minuscoli, inesorabili passi si avvicineranno, fino a bruciarsi di passione. E prima c’erano stati sguardi, un certo linguaggio dei corpi. E poi, da parte di Anne, un senso di colpa, fino al rifiuto di continuare la relazione, scoperta casualmente durante un compleanno in giardino dalla sorella-confidente Mina (Clotilde Courau), che vede i due strofinarsi in legnaia e però terrà la bocca chiusa.
Non altrettanto farà Théo, offeso da Anne e non così maturo da accettare la sua decisione, del resto s’incrociano ogni giorno maschi adulti narcisi incapaci di farlo e capaci del peggio. Théo svela a Pierre la relazione, riuscendo in un colpo solo a vendicarsi di Anne e a ferire/scuotere il padre, un anaffettivo mai in grado di “leggere” e governare gli anni difficili del figlio. Per Pierre incredulità e crollo, Anne nega, fredda, avvocata di se stessa. Pierre non conosce la verità, lo spettatore sì e viene coinvolto sempre più, sino allo scioglimento-congelamento del dramma in una ritrovata, borghesissima quiete. Solo apparente. Chi vincerà davvero tra la donna d’esperienza e il biondo incantatore, efebico e però amatore attento e lesto a imparare? Tutti e due convivono con debolezze, lei nostalgica, lui irrequieto, sentimentalmente un legno verde, insicuro e debordante. Entrambi innamorati dell’amore, con Anne contagiata da Théo, resuscitatore di tempi discretamente lontani. “Non è la vertigine che mi fa paura, ma il desiderio che posso avere di provarla” confessa Anne a Mina.
Léa Drucker - la ricordiamo splendida protagonista nel recente drammatico “L’affido-Una storia di violenza” di Xavier Legrand con Denis Ménochet, perfetto ritratto di uomo ossessivo e violento - si dona con l’intensa femminilità di una donna della douce France nell’età dell’oro, aderendo a un personaggio che sviluppa nel corso della storia tutte le ambiguità possibili e immaginabili di avvocata-moglie di benestante-ribelle. Pronta a passare da gelida bugiarda a vittima dell’amour fou e donna appagata dal sesso: non per scomodare Bresson o Dreyer, ma i due prolungati primissimi piani di Anne a occhi semichiusi dopo l’amore sono schegge di puro cinema trascendentale. E nessuno arriverà alla fine senza qualche ferita/mutamento, non il marito troppo legato ad Anne per immaginarsi qualsiasi rottura, non Théo, tormentato e tormentante adolescente trasformato in innamorato perso, vendicativo, piangente: il debuttante Samuel Kircher è un biondino con sostanza, c’è da augurargli di far strada e questo film può farlo svoltare, come è capitato a Félix Lefebvre, oggi lanciatissimo e impostosi ventenne con “Estate ’85 “di Ozon.
Sceneggiato dalla stessa regista insieme a Pascal Bonitzer, “Ancora un’estate” è un film ben ritmato, pienamente riuscito, perfino sorprendente. Catherine Breillat ha puntato sempre senza deflettere a rimodellare i canoni della rappresentazione del sesso nel cinema, dalla Marie (Caroline Ducey) di “Romance”, tra sado, maso, maternità e vittoria sull’irresolutezza alla storia tormentata di inganni, verginità perdute e violenza di “A mia sorella!”, e prima di questo lavoro che focalizza un “luogo” classico (la “Fedra” di Euripide che si perde per il figliastro Ippolito), aveva narrato l’amore senza barriere d’età tra la quattordicenne Lili e un playboy quarantenne in “Vergine taglia 36”.
“Ancora un’estate” è il remake di “Dronningen” (“Queen of Hearts”) della danese di origini egiziane May el-Thoukhy, ed ha un nobile antecedente in “Soffio al cuore” di Louis Malle, anno 1971, con la tenera e conturbante liaison tra il quindicenne Laurent (Benoît Ferreux) e la madre Clara (Lea Massari): un incesto con tutti i crismi, benché terapeutico per le turbe emotive del giovanotto. Più thánatos che eros avvolgeva invece il sessantottino “Grazie zia” con lo specializzato in ruoli tenebrosi Lou Castel e Lisa Gastoni, regista l’esordiente Salvatore Samperi, pochi anni dopo tornato sul tema sesso/donna/adolescente coi toni della commedia in “Malizia”, starring una Laura Antonelli in pieno tripudio fisico.
“Ancora un’estate” (104 minuti, distribuisce Teodora) si appoggia alla musica con intelligenza e non succede così di frequente. A metà film il travolgente “Dirty Boots” dei Sonic Youth dischiude il passaggio verso il cuore della storia, con Anne e Théo felici su una Mercedes decappottabile, ai titoli di coda è il momento di “Vingt Ans” del grande Léo Ferré: “Dicono che chi si ama non ha età, e cercando il nostro cuore bambino, pensiamo di avere sempre vent’anni”. Ultima notazione tra la curiosità e il più classico echissenefrega: Clotilde Courau, brava attrice di lungo corso, è la consorte di Emanuele Filiberto di Savoia.
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