Piccole radici
nella grande Storia
La casa dell'uva fragola
di Pier Vittorio Buffa
Una recensione di
ROBERTO ROSCANI
Una famiglia in un piccolo centro del Varesotto tra la città e il lago Maggiore, Cabiaglio, poi divenuto Castello Cabiaglio; una radice familiare solida anche se nel tempo cambiano i cognomi per l'alternarsi dei ceppi familiari; una casa attorno a cui tutto ruota. Meglio ancora, una pianta di vite di uva fragola piantata dalla "matriarca", la nonna Ernesta, in un angolo del giardino che, col tempo, invade la facciata e trasforma quel posto in un luogo speciale: la casa dell'uva fragola, appunto.
Pier Vittorio Buffa con questo libro racconta la storia della sua famiglia (non la sua personale, tutto si ferma molto prima della sua nascita). Anche in questo caso è tutto un problema di radici fortissime, di memorie tramandate di un tempo lontano e per nulla quieto. Si comincia all'inizio del Novecento (con qualche accenno al secolo precedente negli anni in cui nasce l'Italia, e vi fa la sua comparsa persino Garibaldi che da questo paese passò davvero coi Cacciatori delle Alpi) e poi tutto si accende intorno alla Prima guerra Mondiale. Quel conflitto - il primo davvero moderno e planetario - coinvolge i ragazzi della famiglia e con loro i giovani di tutto il paese. Alpini (perché la leva allora era così, se nascevi in montagna finivi con una penna nera sul cappello) mandati a combattere e spesso a morire sulle montagne o a farsi travolgere a Caporetto.
Nel libro - come avveniva nella realtà per le famiglie italiane - tutto arriva con le lettere dei soldati così piene di preoccupazioni o di vere e proprie pause, così scarne di informazioni reali. Chi era a casa non poteva fare altro che aspettare le cartoline militari o al meglio le lettere che quei soldati riuscivano a scrivere. Qualche rara licenza portava una idea più precisa e più drammatica della guerra: trapelano le notizie di una disciplina ossessiva che si spinge anche alle fucilazioni di innocenti fanti per "dare un segno di fermezza" alla truppa.
Il racconto di Buffa, che nasce da una sorta di tradizione orale tramandata in famiglia da sempre, probabilmente per via matrilineare o per voce delle zie rimaste zitelle, ha un tono piano. Proprio perché è il "racconto di un racconto" contiene pochissimi dialoghi, è spesso senza l'esigenza di disegnare i "caratteri" perché questi raccontati non sono personaggi, ma persone vissute e morte in un tempo lontano, ma sono soprattutto le radici di chi scrive.
"La casa dell'uva fragola"
Pier Vittorio Buffa
Piemme edizioni
euro 17,95
Dopo la guerra e i suoi morti lontani arriva un'altra guerra, stavolta dentro casa: la spagnola, che farà un numero di vittime pari a quelle del conflitto, stavolta tutte colte tra gli anziani e le donne o i ragazzini. Come se chi fosse rimasto a casa non avesse diritto alla pace senza pagare un prezzo crudelissimo. In questa storia prima si affaccia il fascismo, quindi lentamente anche l'antifascismo che è quasi un sentimento di dignità e di difesa della comunità (contro i manganellatori e le loro soverchierie, la tracotanza dei vincitori) più che una scelta politica, ma che diventerà forte quando la guerra, la seconda, mostrerà il volto di nuove atrocità e di nuovi lutti.
Questo "La casa dell'uva fragola" (edizioni Piemme) è un libro "strano". Non è un romanzo, nel senso che le vicende di fantasia hanno qui un ruolo minore, così come i personaggi inventati. Contano di più le vecchie nonne, i postini del paese che decidono di passare ogni giorno in tutte le famiglie anche solo per dire che non c'è nessuna lettera dal figlio soldato, gli amori castissimi e talvolta solo immaginati delle zie. È il libro di una memoria lunghissima che potrebbe aprire una stagione letteraria diversa: la costruzione di un racconto delle piccole cose, non quelle di gozzaniana memoria bensì le cose importanti per ciascuno di noi. L'immagine della pianta di uva fragola fa subito venire in mente la solidità (e insieme la fragilità) delle radici, che vanno coltivate per non essere divelte dalla trascuratezza e dalla dimenticanza.
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