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Donne
la lunghissima marcia

Dalla libertà allo svago
conquistarsi ogni diritto

Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS
(immagini da Pixabay)

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Può un libro dal titolo impegnativo come “Una storia dei diritti delle donne” essere letto come un libro giallo? Facciamo spoiler, il colpevole si ritrova facilmente nelle ultime 7 pagine e un po’: fitte fitte di titoli di leggi a favore delle donne approvate tra il 1919 e il 2022. Ma se serviva tanto spazio per raccontare le “conquiste” femminili di un secolo, quante conquiste mancano ancora perché i diritti degli uomini e delle donne siano pari? Chiamatelo patriarcato o come vi pare, il colpevole è il potere coi baffi.

“Una storia dei diritti delle donne”, di Alessandra Facchi e Orsetta Giolo (Il Mulino, euro 16), è un lavoro che sa di dover mettere talmente tanta carne al fuoco, e dell’impossibilità di mettere tutto a fuoco (un’enciclopedia?), che fin dall’inizio avvisa che per scriverlo le autrici si sono consumate in discussioni (questo sì, questo no), e hanno scelto di fare “una storia”, non “la storia”: perché le donne, quando analizzano se stesse, non si arrendono neppure all’idea di dover esaminare solo le caucasiche dalla pelle chiara, perché le battaglie femministe sono transnazionali, e altrettanto sono i diritti traditi alle donne, da una cultura all’altra. “Abbiamo cercato di individuare una traccia di lettura - spiegano -, tenendo insieme diversi piani: teorie, fatti, movimenti sociali e norme”.


"Una storia dei diritti delle donne"
Alessandra Facchi
e Orsetta Giolo
Il Mulino editore
euro 16

Per chi non è avvezzo a frequentare le leggi, ma ne ricorda tappe fondamentali come il “contratto sociale”, fa sobbalzare l’idea: ma contratto tra chi? E i diritti naturali, in quanto tali giusti e universali: ma naturali per chi? Solo e sempre roba da uomini. Le due studiose (l’una insegna teoria del diritto a scienze politiche, a Milano, l’altra teoria del diritto a giurisprudenza, a Ferrara) cominciano da quel Medio Evo in cui si disegna un’idea della donna che è ancora in voga: figlia, moglie e madre. Regine della casa, ma sotto tutela maschile. “La parola delle donne deve essere riservata al privato, ma è diffusa un’immagine caricaturale della donna chiacchierona e pettegola”. È dal XV secolo che questo stereotipo perseguita le donne…

E gli uomini? Vita, libertà e proprietà, eccoli i valori fondamentali teorizzati come diritti naturali. Ad esclusivo uso maschile.

“Fragilitas sexus, infirmitas sexus, sexus infirmus, imbecillitas sexus”, non serve essere latinisti per capire cosa intendessero nei tribunali quando in età medievale parlavano di donne: sono le norme citate da Tommaso D’Aquino, quelle che le escludevano dal potere di governo, quando persino le regine d’Inghilterra (Maria Tudor, Maria Stuart, Elisabetta I) dovevano vedersela con l’ostilità di costituzioni scritte dagli uomini.





Non è che le donne se ne stessero davvero zitte, ma la loro voce è arrivata a noi sfuocata o addirittura soffocata: eppure già a metà del Seicento c’erano le “petitioners” che pretendevano riconoscimento del ruolo delle donne nella società, criticavano Hobbes e Locke, svelavano le mistificazioni, i pregiudizi, gli abusi di potere coperti dalla categoria di “naturale”. Il problema è che nei licei noi studiamo Hobbes e Locke, le critiche delle (poche) intellettuali del tempo – Elisabet Brenner, Margaret Cavendish, Mary Astell - si rintracciano si e no nei testi femministi.

La domanda della lettrice (o del lettore) resta: ma nei licei si spiega che quel contratto sociale, la conquista dei diritti naturali (la vita…), non erano per tutti? O si illudono le studentesse di oggi che la società abbia fatto tutta intera passi avanti, che in fondo quegli articoli della nostra Costituzione che pretendono parità siano ridondanti? Qualcuno spiega che i diritti a cui tendono uomini e donne non sono necessariamente gli stessi?





“Una storia dei diritti delle donne” ci accompagna attraverso i secoli. Settecento e Ottocento sono i momenti in cui crescono e si organizzano le battaglie femminili, dalla seconda metà del Novecento l’accesso delle donne all’eguaglianza giuridica, infine il processo di internazionalizzazione delle donne, che non si accontentano più di barriere create dai confini. Si parla di temi caldissimi, come la gestazione per altri e la mercificazione del corpo.

Ma se è del 2021, nel nostro Paese, la ratifica della Convenzione OIL (organizzazione internazionale del lavoro) contro le molestie sul luogo di lavoro, se è del 2019 la legge “Codice rosso” contro la violenza alle donne, a che punto siamo davvero, con i diritti? Nel “diritto naturale”, mezzo millennio fa, il diritto alla vita era un caposaldo per gli uomini, per le donne una strada che comincia oggi…





Ma c’è un diritto nuovo che si affaccia prepotente: quello allo svago e al riposo. “Il tempo libero – scrivono Facchi e Giolo – fino a qualche decennio fa poteva addirittura essere considerato disdicevole per le donne: la mistica della femminilità ha sempre sostenuto la rappresentazione delle donne come soggetti totalmente dediti ai compiti di cura, al lavoro dentro e fuori casa. Il tempo delle donne è sempre stato inteso come un tempo da dedicare solamente ad altri, senza avere la possibilità a manifestare la fatica”. Sarà tempo di cambiare prospettiva?

Le donne non hanno conquistato parità di potere sociale e di governo, non hanno sconfitto (scalfito?) il soffitto di cristallo della disparità economica sul lavoro, non hanno conquistato parità familiare e sollievo pubblico dal lavoro di cura, ma per questo lottano e intanto sanno guardare avanti: il “diritto naturale” parlava di libertà, ora c’è da conquistare anche la libertà del divertimento e dell’ozio.




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