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Piramide
Toscana

Quando il cibo è gusto e salute

Una recensione di
FABIO ZANCHI

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Mangiare bene, mangiare sano. Si può, se ben guidati, senza rinunciare ai piaceri del palato. Una dimostrazione viene da una pubblicazione promossa dalla Regione Toscana, edita da Giunti. Il titolo già spiega tutto: “Cucina toscana, ricette e salute”. In quattrocento pagine sono raccontate più di trecento ricette della tradizione toscana, raggruppate per provincia. Al ricettario, di per sé ricco, si accompagna una densa appendice che allinea capitoli dedicati alle preparazioni di base dei prodotti agro-alimentari, alle tecniche per la lavorazione e cottura, agli utensili da cucina, ai nutrienti e al fabbisogno energetico.



(foto dal ristorante 'Alla piazza di sopra')


Alla base di questo, che è un libro di cucina vero e proprio, c’è un lavoro di équipe con solide basi scientifiche, che lo rende un unicum nella pubblicistica dedicata al mangiare. Il grande patrimonio della cucina toscana, su iniziativa dell’Agenzia regionale di sanità, è stato passato al vaglio di un gruppo di esperti di nutrizione. Punto di riferimento per tutte le ricette, la Piramide alimentare toscana Toscana®, ossia una griglia molto severa, che intende mettere d’accordo il “mangiare sano, buono, toscano”.

Detta così, può sembrare noiosa e macchinosa. Però conviene ripercorrere il cammino che è stato fatto. Stabilito che si può stare a tavola senza pregiudicare gusto e salute, la PAT®, – come si legge nell’introduzione – suggerisce che per stare bene si può “consumare tutti gli alimenti – tutti, nessuno escluso – ma con una frequenza diversificata; consumare più spesso i cibi posti in basso nella piramide, come frutta e verdura, e più raramente quelli in alto, come carne, salumi e dolci; alla base di tutto: molta acqua per bere, vino solo ai pasti e con moderazione, attività fisica a volontà”.


Cucina toscana
Ricette e salute

Giunti editore
euro 33,25

Per farla breve: la Piramide toscana ci mette di fronte a scelte nette, ma non impossibili da seguire. Naturalmente, al suo vertice, al sesto grado, troviamo tutte le cose più succulente e appetitose. Ma scalando verso il basso troviamo davvero tutti i cibi possibili e immaginabili. La buona notizia è che nessun cibo è proibito. Basta un po’ di avvedutezza, di morigeratezza e ci potremo concedere di tutto. In fondo, è quello che si faceva un tempo, quando la carne si mangiava una o due volte la settimana e il dolce compariva soltanto nei giorni di festa. Un’occhiata alla Piramide conferma, in sostanza, la ricchezza delle scelte che abbiamo a disposizione. Soprattutto se ci si inoltra nella lettura delle ricette proposte, che sono – ripetiamo – più di trecento.

Lo schema di questo libro di cucina è davvero interessante. Ogni ricetta, come si deve, è presentata con l’elenco degli ingredienti, il numero delle persone cui si riferiscono le dosi, la descrizione del procedimento di preparazione del piatto. In aggiunta, e qui sta la novità che dà il senso a tutto, ci sono le “note di salute” e un grafico che mostra il carico in energia, grassi zuccheri, fibre, proteine rispetto al fabbisogno giornaliero. Ogni singolo piatto viene posizionato su uno dei sei gradi della PAT®.



(foto dal ristorante 'Boccanegra)'


È ovvio che i piatti più succulenti della cucina toscana occupano saldamente il vertice. Ma qui soccorrono le note di salute elaborate dalla dietista Simonetta Salvini, un’autorità in materia di analisi nutrizionale (www.simonettasalvini.it). Per esempio, prendiamo il piatto di “salsicce e fagioli” offerto dalla cucina fiorentina. Una bomba, per eccesso di acidi grassi saturi e di sale. Dunque dovremmo rinunciare? Manco per idea. “Per completare il pasto – suggeriscono le note - si possono abbinare pane e verdure: volendo rimanere nell’ambito della cucina toscana, potrebbero completare egregiamente il pasto dei crostoni con il cavolo nero e un pinzimonio, con poco olio”.

Con la “ribollita”, invece, andiamo benissimo. Posta al secondo gradino della Piramide, dicono le note: “Questa minestra è una fonte preziosa di minerali e vitamine. Una porzione fornisce circa un quinto dell’energia e dei carboidrati della giornata, un terzo delle proteine e dei grassi… copre quasi l’intero fabbisogno quotidiano di vitamina A, C… Un vero toccasana per chi cerca un concentrato di nutrienti, senza ricorrere ad alimenti di origine animale”.



(foto dal ristorante 'La bottega toscana')


L’ingente lavoro, promosso e realizzato con grande merito dalla Regione Toscana, ha qualche piccola pecca. Per esempio, non tutti i piatti vengono mostrati con immagini, mentre sono privilegiate fotografie turistiche dei luoghi d’origine. Questo ha un senso, dal punto di vista istituzionale, per la promozione anche turistica dei territori. Ma dato che non tutti i lettori sono toscani, una foto di piatti come la scottiglia (carni e ortaggi su fette di pane), oppure la zuppa con la piattella pisana (fagioli), o i mirolin (pasta fritta), avrebbe aiutato.

A proposito di lingua. Certo i toscani vantano da secoli il merito di aver diffuso l’italiano. Tuttavia hanno conservato termini inaccessibili ai più. Poi bisogna fare i conti con il linguaggio locale, soprattutto quando si parla di cibo. Le pagine dedicate ai prodotti agroalimentari, nella parte finale del libro, aiutano. Ma non bastano. Soprattutto per una pubblicazione così incentrata sulla cultura del territorio. Perché le varianti, in tema, sono numerosissime. La coppa, per esempio, qui in Toscana viene chiamata scamerita. Lo stesso biroldo, un insaccato povero, fatto con i resti della lavorazione nobile del maiale, con l’aggiunta di un poco di sangue, a Firenze e Siena vien chiamato buristo, o anche burischio; a Lucca prende il nome di mallegato; a Carrara invece lo chiamano marlegato. Il salame si chiama mortadella in tutta la Versilia, in Garfagnana e Lunigiana. Poi c’è la mortadella di Prato, ma quello è un salume cotto, nel quale si usa addirittura l’alkermes: tutta un’altra cosa. E la mortadella di Bologna? Prende il nome di mondiola, almeno dalle parti di Montignoso e di Massa.



(foto dal ristorante 'La taverna dell'ozio')


Lo stesso piatto dà luogo a una ricca serie di denominazioni. È il caso della polenta cotta con il brodo di fagioli, cavolo nero ed erbette varie: a Montignoso si chiama manifati, a Massa polenta ficca, a Carrara polenta incatenata, in Versilia intruglia. Informazioni preziose, raccolte grazie a Massimo Bacci, che a Montignoso confeziona salumi da sballo, senza l’uso di zuccheri e senza conservanti. Unico ingrediente segreto: il tempo. Come usava suo nonno Antonio, norcino libero professionista che nel 1925 aprì la macelleria in cui lavorano Massimo e il babbo Vinicio (classe 1931).




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