Avere appetito
a Parigi
Liebling e la Ville Lumière
l'arte del mangiare
Una recensione di
FABIO ZANCHI
(foto da Pixabay)
La copertina del libro - "Tra i pasti - Un appetito per Parigi - è dello stesso colore della senape di Dijon. In 154 pagine Abbott Joseph Liebling racconta la sua Ville Lumière. Tutta da gustare. E dato che la Parigi raccontata è soprattutto quella degli Anni Venti, quando il padre di Liebling gli regalò un anno di studi alla Sorbona, di gusto ce n’è parecchio. Dotato di un notevole appetito, il giovane si applicò con passione: “Ero uno studente – scrive – in senso molto generale, e sfruttavo ogni opportunità di apprendere. Mangiare divenne presto una delle mie materie principali”.
Parigi, ville gastronomique per eccellenza, lo conquistò immediatamente. Sottratto per sua fortuna alle tristezze culinarie del resto del mondo, Germania e Stati Uniti i suoi Paesi d’adozione, si costruì una fama di buon mangiatore. Tanto solida da farlo diventare autorevole commentatore di vini e di cibo.
Come la descrive lui, quella parigina fu una piacevolissima gavetta. Resa tale dal combinato disposto tra i piaceri della tavola e quelli del cuore. Rigorosa, nella scelta dei ristoranti da frequentare, la linea ispiratrice. Requisito principale “per scrivere bene di cibo è un buon appetito”. E questo non gli è mai mancato. Secondo requisito: “Fare l’apprendistato di mangiatore quando si hanno abbastanza soldi per pagare il conto, ma non abbastanza da restare indifferenti di fronte al totale”. Certo, “essenziale è trovarsi in Francia”, ça va sans dire. La ragione è semplice: “La cuisine française non è una sola, bensì una ventina di cucine di origini regionali, che sfumano una nell’altra ai loro confini e si riuniscono a Parigi”.
Come orientarsi, in tanta ricchezza, è presto detto. Non certo seguendo la Guida Michelin, al tempo appena nata, che – sentenzia Liebling – “è organo di un produttore di pneumatici, esempio deprimente della subordinazione dell’arte agli affari”.
Tra i pasti.
Un appetito per Parigi
di Abbott Joseph Liebling
Settecolori editore
euro 20
L’arte sta invece là dove si trova un bancone di zinco e tovaglie di carta. Parigi, quella degli indimenticabili Anni Venti, ma ancora dopo la Seconda Guerra mondiale, era ricca di locali capaci di offrire menu straordinari. Certo, il bancone di zinco non era garanzia sufficiente, ma era già un buon indicatore. Però, se si aveva fortuna, e Liebling ne ha avuta tanta, dietro una facciata “cupa, quasi lugubre” di Maillabuau in rue Sainte-Anne, vicino al Théâtre Français, si potevano trovare “un’entrecôte con meriti singolari, un pâté di cervo ineguagliabile, i Borgogna dell’annata perfetta. Solo qui, in tutta Parigi, si preparano le galline faraone grasse e unte di tutti i profumi del Midi”.
A proposito di grassi. L’autore, nel corso della sua carriera, ha accumulato un fisico di tutto rispetto. Del resto, la sua filosofia è cresciuta su salde basi. Prima di tutto, lotta senza quartiere a coloro che hanno stroncato il binomio appetito ineccepibile/buonumore immancabile: i medici, che hanno fatto diventare “il fegato il fulcro della mentalità da linea Maginot. Da allora la vita dei francesi è andata sempre più ruotando intorno a questo organo, e una cautela assillante ha sostituito l’antica temerarietà”.
La summa del suo stile di vita, fortemente raccomandato a chiunque altro, è: “Mens sana in corpore sano è una contraddizione in termini. Nessuna persona sana di mente può permettersi di rinunciare a piaceri debilitanti: nessun asceta può essere considerato attendibilmente sano di mente. Hitler era l’archetipo dell’astemio. Quando gli altri crucchi lo videro bere acqua in birreria avrebbero dovuto capire che c’era poco da fidarsi”. Ineccepibile.
I racconti, molti dei quali apparvero originariamente sul New Yorker, dove Liebling lavorò dai trent’anni fino alla morte, nel 1963, sono densi di aneddoti e menu formidabili. Dipingono una Parigi vista dal marciapiede, come ci si aspetta da un ottimo cronista. C’è un’adesione totale a uno stile di vita improntato a un sano epicureismo. Una Parigi che Liebling ricorda con la stessa nostalgia che prova per “gli occhi grandi con le pupille nere su campo azzurro chiaro e la bocca generosa di Angèle”, la ragazza che lo conquistò dicendogli: “Tu n’es pas beau, mais t’es passable”.
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