Donne del vino
quei successi
in ombra
Storie di enoviticoltura
e del coraggio di cambiare
Una recensione di
SILVIA GARAMBOIS
Etichette disegnate da Altan o da Tonino Guerra. Una storia personale iniziata come maestre, docenti di matematica, vulcanologhe. Le mani strofinate col limone ogni sera, “perché avere le mani sporcate dal lavoro col vino può anche andare bene”, ma in pubblico ci si presenta con l’aspetto curato. E poi il vino di casa, quello poco considerato, il Pignoletto, la Termarina, con le vigne che invecchiano sempre più nodose e solitarie. E l’eccellenza, quella che si misura a bicchieri e non a grandi distribuzioni, che tutto trasforma. E l’avventura di una vita, che ha i ritmi lenti delle donne che sanno i tempi lunghi del crescere i figli. L’altra storia del vino, quella femminile, quella che nessuno scrive(va).
GenerAzioni in campo
di Eva Panitteri
e Maurizio Saggion
All Around editore
euro 16
“GenerAzioni in campo. Radici e percorsi del Vino al Femminile”, di Eva Panitteri e Maurizio Saggion (ed. All Around, euro 16,00) è questo: una avventura che riscopre il valore di donne antiche, che va a caccia delle nuove produttrici, che guarda alla generazione che sta crescendo, ognuna con in testa la voglia di provare, sperimentare, rigenerare, cambiare, sulla propria pelle.
Per le lettrici (e i lettori) che a malapena condividono un bicchiere in una tavolata di amici, o che nell’immaginario infantile ricordano a malapena le donne con i bambini a piedi nudi a pestar l’uva nei tini, è il viaggio in un altro mondo, che onestamente inebria.
Attraverso quattordici interviste Panitteri e Saggion ci portano nelle fattorie, negli uffici, di donne che hanno senz’altro una marcia in più – qualcuna ha avuto rilevanti ruoli sociali, altre non si allontanano dalla vigna – ma che raccontano molto di un mondo oggettivamente misconosciuto: quello delle donne del vino. La prima parola d’ordine, che le accomuna? “Pulizia”: c’è un mondo, se si ripensa alle vecchie cantine polverose dei nostri paesi. E poi il lavoro del vino che è arrivato quasi per caso, spesso di famiglia con nonni e padri riottosi, al quale non erano predestinate ma che è diventato una scelta di vita, una passione coinvolgente, con i vitigni, le “barbatelle” che sembrano prender vita, nomi sconosciuti che hanno il sapore del lessico familiare.
L’Imperatrice Maria Teresa d’Austria – vedi un po’ chi andiamo a scomodare - non è nota per esser stata vignaiola, ma è stata lei la prima a classificare nel 1787 i “Cru” (vigneti d’eccellenza) del Nord est dell’Italia e della Slovenia: il primo catasto di quei vini. Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, Duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla, separata e poi vedova di Napoleone Bonaparte, fece importare dalla Francia nel 1816 le barbatelle di Chardonnay, Pinot, Merlot e Cabernet, che si trovarono benissimo in Emilia-Romagna. La francese Giulia Vittorina Colbert de Maulévrier, amica di Camillo Benso conte di Cavour, sposò un piemontese, il marchese Falletti di Barolo, e alla sua morte nel 1838 si dedicò al vino e alle cantine per valorizzare le uve del Nebbiolo.
In Toscana l’avignonese Marie de La Brugiére arriva a Firenze per sposare il marchese Gondi nel 1865: in quattro anni e quattro figli resta vedova e si trasferisce a Pontassieve, dove si trasforma in donna del vino, porta i primi tini in cemento, sperimenta un più lungo affinamento in botte. La storia c’è, ed è lunga, di donne che sapevano valutare gli acini d’uva, senza scordare l’eco che arriva dalla Francia della veuve Clicquot, di Louise Pommery, Lily Bollinger…
E oggi? I dati ufficiali sono carenti o carentissimi. Spiega Donatella Cinelli Colombini, già presidente dell’associazione Donne del Vino: “Un terzo della titolarità delle imprese è femminile, e anche se nei Consorzi e nei Cda non si arriva a occupare più del 10% delle cariche, le donne dirigono imprese che coprono il 21% della superficie utilizzabile: ma questa produce il 28% del Pil agricolo, quindi hanno performance migliori degli uomini”.
Quel che si sa, da una invecchiata ricerca del 2017 del Cribis-Crif sulle performance del vino, è che gli ambiti più “virtuosi” per le donne sono la viticultura, con il 28% di presenze femminili e il commercio al dettaglio (24,8%), mentre commercio e produzione vinicola superano a stento il 12%.
“Le donne sono curiose, non hanno paura di cambiare, di innovare, sono meno conservatrici, forse perché hanno pagato sulla propria pelle una cultura maschile che le ha inchiodate a ruoli e comportamenti subordinati e asfissianti – dice Ruenza Santandrea, prima donna presidente del Consorzio Vini di Romagna -. Le donne prestano grande attenzione alla sostenibilità, al green, al futuro, alle nuove generazioni, a chi dà vita”.
C’è una dedica tra le righe del libro, una citazione di Irene Giacobbe, giornalista e femminista storica romana: “Le donne vedono il mondo in un altro modo, vedono quello che manca”.
Irene Giacobbe era la mamma di Eva Panitteri, giovane autrice che – anche lei da giornalista - ha scelto il vino (e l’olio). Ma la barbatella di Irene è sempre tra le sue radici.
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