L'orrido
Polifemo
Quando l'empatia finisce in una grotta
Una recensione di
ANGELO MASCOLO
Il fulmine di Zeus non mi spaventa, straniero, e non so in cosa Zeus sia un dio più potente di me [---] Sta a sentire perché: quando lui dal cielo rovescia la pioggia, in questa grotta io sono al riparo, mi mangio un vitello arrosto o qualche animale selvatico, sto con la pancia all’aria e me la bagno per bene bevendomi tutta un’anfora di latte, percuoto il peplo con i peti, e con i miei rumori sfido i tuoni di Zeus».
Omero - Il libro dell'orrido Polifemo
di Luigi Spina
Il Mulino editore
14 euro
Ultima decade del V sec. a.C. Presumibilmente ad Atene, a ridosso dell’autunno.
Se anche noi fossimo stati in mezzo al folto pubblico ateniese, all’udire quest’ultima battuta, avremmo trattenuto a stento fragorose risate. D’altronde non si può non ridere nel vedere Polifemo, protagonista del "Ciclope" di Euripide, rivolgersi ad Odisseo e farsi vanto dei suoi rumorosi venti. E per un attimo, appena ripresi dai singulti, ci saremmo fermati a riflettere. Vanno in scena le Grandi Dionisie, le feste in onore di Dioniso, dio dell’ebbrezza e del teatro; i maggiori drammaturghi si spremono le meningi per mantenere intatta l’inviolabilità del mito e questi ateniesi si mettono a ridere?
Com’è possibile?, ci saremmo chiesti straniti.
Poco noto, ma il teatro greco in antichità non è stato solo tragedia. È esistito un genere, noto con l’etichetta di "dramma satiresco", che serviva a spezzare la tensione indotta nel pubblico dalla catena di lutti e ammazzamenti che il repertorio tragico proponeva.
Così, come un fulmine a ciel sereno, dal proscenio via eroi ed eroine, spade grondanti di sangue e libagioni ad anime defunte; dentro schiere di satiri e creature animalesche; via i palazzi micenei e i fondali cupi; dentro boschi, natura incontaminata e rigogliosa, antri e caverne. All’apparire di tutto ciò, sempre se avessimo mantenuto il nostro posto tra il pubblico, un boato di sollievo ci avrebbe colto. E poi un chiacchiericcio discreto fino a trasformarsi in un’allegria dirompente e contagiosa.
Il 'Ciclope' è l’unico dei drammi satireschi arrivato interamente ai nostri giorni. Ed è un primo, innovativo, tentativo di dialogare, in modo certosino e "filologico", con la tradizione mitica, alleggerendola. Ed è soprattutto il divertissement del genio di Euripide, al massimo della sua vena realizzativa e sperimentale, che tenta di strappare dalla faccia monoftalmica del Ciclope la maschera orrenda e mostruosa cucitagli addosso da Omero. Nonostante l’eccezione euripidea ed alcune "licenze" al mito di Polifemo che pure hanno provato a insinuarsi nella tradizione e che lo vedono indossare le vesti dell’innamorato non corrisposto della ninfa Galatea, la scorza maligna e tremebonda del gigante dall’occhio solo è rimasta pressoché intatta nei secoli.
Un’altra lettura di questo mito è però possibile?
Da questo interrogativo parte l’ultimo lavoro del filologo Luigi Spina, "Omero, il libro dell’orrido Polifemo" (Il Mulino, euro 14). Il punto di partenza, come nelle opere precedenti dello stesso autore, è il neologismo, coniato dallo stesso Spina, "diacultura". Ovvero la necessità, così stringente per il nostro malato presente, di un dialogo serrato e senza sosta col passato allo scopo non di cristallizzarlo ma di renderlo attuale, materia viva. Ed ecco che in quest’ottica Polifemo non è più solo un mostro ma l'epicentro di una riflessione filologica e soprattutto etica. Polifemo come banalità del male, verrebbe da dire. Un male così banale da renderlo vuoto, e per questo goffamente e scioccamente comico. Una sorta di re messo a nudo, e una nudità che rivela l’esistenza di una violenza implosa in se stessa, incapace di riconoscere la diversità nell’altro, sia esso lo straniero o l’ospite.
Polifemo non è solo l’orrore di una creatura deforme. È la cartina di tornasole del nostro tempo, con valori capovolti e non più rintracciabili nell’alveo di una morale collettiva. Polifemo è soprattutto vittima del sistema di valori da lui stesso creato. Un sistema fondato sull’indolenza, la pigrizia, sull’assenza di una qualsiasi forma di empatia. Prova ne è l’inganno perpetuato ai suoi danni con lo stratagemma della parola "nessuno" da Odisseo. Furibondo per l’accecamento, il gigante non trova nessuno, nemmeno tra gli altri fratelli ciclopi, che gli crede e che possa prestargli soccorso.
Il testo di Spina è diventato anche uno spettacolo teatrale, intitolato "Nessuno sfugge al Ciclope", scritto dall'autore. Una pièce autoprodotta, portata sulle tavole del palcoscenico dalla compagnia 'Ars Nova Società Cooperativa', che sarà di scena il prossimo 29 settembre al Teatro Nuovo di Salerno dopo il successo agostano di Ascea.
Quella di Spina non è una semplice rilettura del mito Polifemo. È l’esercizio, infaticabile, di interrogare il passato alla ricerca di un patrimonio di idee e valori che l’uomo moderno ha relegato in un antro ben più inquietante e spaventoso di quello appartenuto al ciclope Polifemo.
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