Solo a sentirlo nominare, è parola che evoca contrapposte e nel contempo mirabili sensazioni: la suadenza della stringata pronuncia (poche lettere) libera la sintesi di memorabili narrazioni, storie di mare, di bracconieri, di scapestrati marinai, la magia dei pirati e altrettante avventure per certi versi proibitive. Sensazioni soffuse, per un bere che ritma il rumore di ciurme, chiassose sonorità di gioviali bevute tra amici. Ecco è forse anche per questo che il rum - scritto in vari modi, la lettera ‘acca’ inserita quasi a piacere - è un distillato di piacevolezze che sedimentano sopiti rum… ori, rilanciando leggendari pensieri.
Rum, il mito e il rito, tra sogno e nuove realtà. Talmente evocativo quanto altrettanto stimolante. Senza confini sensoriali. Così la fantomatica ‘isola che non c’è’ prende forma addirittura in montagna. Proprio così: il rum adesso nasce anche tra le Dolomiti - ovviamente dalla tradizionale quanto indispensabile distillazione della canna da zucchero - negli alambicchi di Bruno Pilzer, Mastro distillatore trentino in quel di Faver, nel cuore porfirico della Val di Cembra. Una sfida e nel contempo l’omaggio al distillato che ha scandito la storia dell’uomo, tra contrasti etnici, migrazioni, lotte alla povertà, per un capillare, avventuroso, talvolta contraddittorio sollievo alchemico di popolazioni spesso prive di speranze.
Ma cosa significa impegnarsi nella cultura del bere rum? È entrare in un percorso per certi versi visionario, fantasioso, libero, emozionante. Nasce anche da queste considerazioni la nuova sfida distillatoria di Bruno Pilzer. Lui conosce l’arte degli spiriti alcolici come pochi: è insita nel DNA suo e dei suoi avi, protagonisti ‘da sempre’ nel ‘lambicàr’, le vinacce delle uve che negli alambicchi rinascono generando grappe, essenze pregne di carattere, acquaviti di rara suggestione.
Ingegno, maestrìa, ricerca scientifica e costanti scambi di tecniche distillatorie anzitutto con Ivano, fratello di Bruno, altrettanto indomito quanto competente nella preparazione delle ‘cotte’, vale a dire delle materie destinate alle possenti caldaie in rame degli alambicchi.
Ma perché i Pilzer hanno deciso di cimentarsi con una materia prima proveniente da così lontano, assolutamente distante dall’orizzonte dolomitico? Forse proprio - e solo - per la mitica filosofia del rum.
Così la maestria - e uno spirito libertario, è il caso di dire - ha spinto i Pilzer a cimentarsi pure con la melassa di canna da zucchero e non solo con le vinacce, le altrettante meticolose procedure dedicate al brandy - altra assoluta loro specialità distintiva. Il motivo? Non ha una risposta precisa, ma il suo intuito lo ha premiato. Proponendo un rum decisamente d’altura, intesa però come denominazione dolomitica.
Per produrlo ha vagliato ogni elemento, a partire dalla cernita della materia prima. Selezionando personalmente la melassa, ispezionando varie zone della coltivazione - dal Sud Africa alle isole caraibiche, Martinica, Cuba, Venezuela e altre piantagioni orientali - confrontandosi con tecniche e metodi, carpendo significativi segreti procedurali e liberando altrettanti canoni di elaborazione.
Iter meditativo, senza concedere nulla alla fretta, il tempo al servizio dei modi e del rito, per un rum autorevole, in tutto.
Rum è un distillato legato al concetto ‘il facile difficile da farsi’. Specialmente quando l’elaborazione è attuata in montagna, in una valle generosa di acqua cristallina, tra arditi filari di viti e il rito (a suo tempo proibito) della distillazione di vinaccia. Il rum ha bisogno di attenzioni precise.
Altrettanto decisivi il ruolo e i tempi riservati all’affinamento, dal meditato riposo in piccole botti di legno, quelle in uso per stagionare la grappa o elevare il tenore gustativo del brandy, lo ‘spirito del vino’. Per questo speciale Rum di montagna … le cure temporali, uso di legni e altri accorgimenti diventano però parte integrante della sua magica indole. Un piccolo prezioso segreto. Che Bruno e Ivano Pilzer custodiscono. Con sapiente riserbo.
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