Impiego più tempo del solito per arrivare al Castello Aragonese. Per sbaglio sono salito sulla Circolare Destra che da Panza è risalita per curve impervie passando per Barano D’Ischia e attraversando le colline più inaccessibili dell'isola. Alla fine per arrivare impiego un’ora abbondante. L’autobus mi lascia a poca distanza da una rotonda, l’aria profuma di pesce arrostito e salvia. Davanti a me l’insegna color menta del Calise, il bar più famoso e importante di Ischia. È pienissimo, sebbene le ore clou non siano ancora scoccate. Mi dico che sono venuto per il Castello ma alla fine la tentazione ha la meglio. Mi siedo a un tavolino e ordino ciò che ogni ischitano che ho incontrato in questi giorni mi ha consigliato: ’o cornetto ’e Calise con lo Sgroppino. Da una parte la sfoglia calda e burrosa del cornetto, dall’altra il cuore di questo sorbetto, tutto lime e limone, che in un colpo solo porta scompiglio tra i miei enzimi spalancando le porte dello stomaco alla cena.
Pago e ringrazio un cameriere sorridente e tarchiato. Mi incammino e per vie traverse, dopo circa una ventina di minuti a piedi, arrivo a Ischia Ponte. È il quartiere dell’isola che si colloca a nord-est, contiguo a Ischia Porto. Il vociare accaldato, i turisti, la massa, attempate matrone che provano a trovare ristoro dal caldo con variopinti ventagli, i ragazzini che si rincorrono sul basolato e soprattutto vetrine e negozietti. Colori su colori e profumi a perdersi in una teoria che riporta all’Oriente e ai suoi misteri. Il Mediterraneo abita in queste vie, non c’è alcun bisogno di cercarlo altrove. A un certo punto mi appare. Il Castello Aragonese si scopre a poco a poco, come una donna voluttuosa ed elegante, poco abituata a concedere i suoi favori agli estranei. E mi appare bruna, dai riflessi argentei e neri, con i suoi seni fatti di rocce appuntite e rientranze azzardate, e i suoi occhi pieni a forma di bifore e finestre che riflettono il mare silenzioso. Ceno da "Ciccio" protetto dal resto del mondo da un semplice steccato in legno. Sarà l’appetito, l’aria salina che abita ovunque o semplicemente il respirare a pieni polmoni quest’ultima notte ischitana, mi convinco sempre più che sto mangiando il miglior spaghetto e cozze della mia vita. Il Biancolella ghiacciato e generoso fa il resto.
Quando arrivo al pontile ho l’impressione di trovarmi di fronte a qualcosa che non si capisce subito. Un ponte in muratura, lungo circa 220 metri, che collega il borgo di Celsa (da cui provengo) al Castello vero e proprio. Stento a crederci: ma l’isolotto innocuo su cui siede il massiccio del Castello è il risultato di una violenta eruzione di circa 300mila anni fa. Un pezzo di tufo e roccia conteso per millenni da popoli e culture diverse. Pensate che proprio questo Castello, nel 474 a.C., fu teatro di uno degli eventi più importanti della storia mediterranea. I siracusani, alleati della città di Cuma guidata dal tiranno Aristodemo, inflissero agli Etruschi la sonora sconfitta che pose fine al loro dominio sul tirreno dopo oltre quattro secoli. Dopo di loro i Romani che proprio qui fondarono la colonia Aenaria, il nome latino di Ischia. E poi Visigoti, Vandali, Ostrogoti, Angioini, Aragonesi. Lingue su lingue, culture su culture, nazioni su nazioni.
Il Castello Aragonese è davvero un palinsesto incredibile: è forse l’unico sito dell’isola verde dov’è possibile leggere in un colpo solo millenni di storia. Oggi il complesso ospita rassegne culturali e vernissage; un’ala (se non sbaglio quella est) è stata adibita a ricevimenti e catering, con la possibilità di cene a strapiombo sul golfo ischitano.
Tuttavia non è questo lato mondano a colpirmi. Forse non è nemmeno la calamita di storia e tradizioni che il Castello attira su di sé. Quello che mi tiene incollato sul pontile, in una notte così calda e languida, è l’idea di un passato che continua a unire gli uomini e le loro storie. Perché questo è il Castello Aragonese: uno straordinario dispensatore di storie. Un antico aedo che, imbracciata la sua cetra, non smette di raccontare e raccontarci quello straordinario mondo che ha plasmato la nostra civiltà.
(4/ FINE)
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