ASTRONI
UN BOSCO MAGICO
IN UN VULCANO

In fuga dal caldo opprimente della città, e non volendo ingrossare le folle dei bagnanti pendolari che nel fine settimana cercano ristoro nelle spiagge del litorale flegreo, può capitare all'inizio di questo afoso settembre di finire in quello che i napoletani chiamano da sempre “il bosco degli Astroni”, un luogo concluso e magico raggiungibile con pochi chilometri di tangenziale cittadina (uscita Agnano e poi alla rotonda prima uscita perché altrimenti Google Maps vi porta da un’altra parte).



Bosco degli Astroni è una definizione storica e però riduttiva perché la Riserva Naturale Cratere degli Astroni è un’oasi WWF, istituita nel 1987 dal neonato Ministero dell’Ambiente e data in gestione appunto al WWF. Ciò che oggi diamo per scontato non lo era 30 o 40 anni fa e la targa posta all’ingresso per ricordare la figura di Gianni Lubrano Di Ricco, esponente dei Verdi e firmatario del primo disegno di legge sui reati contro l’ambiente alla fine del secolo scorso, è da considerarsi un riconoscimento anche all’attività del WWF Italia nato nel 1966 grazie all’instancabile opera di Fulco Pratesi.



Geologicamente parlando, il cratere degli Astroni è nato tra i 4.400 e i 3.800 anni fa, attraverso sette eruzioni successive che lo hanno modellato in forma ellittica, facendolo arrivare a ricoprire 250 ettari, con un perimetro di 6 km e un diametro massimo di 2. Un dislivello di circa 250 metri separa il suo punto più alto, lo sperone di Torre Nocera, dal lago Grande posto a circa 9 metri slm.



Varie ipotesi sono state fatte sull’origine del nome, che potrebbe derivare dalla parola Sturnis (airone), data l’abbondante presenza di stormi di aironi nell’antichità, da Sterope, un Ciclope mitologico che si narra vivesse qui o da Stironi, gli stregoni che avevano scelto questo luogo per svolgere i loro riti magici. Insomma un toponimo che mescola il reale della natura all’immaginario della mitologia.



Comunque sia, il posto era bello, lussureggiante e naturalmente termale, così nel 1217 fu utilizzato da Federico II come bagno termale, mentre verso la metà del XV secolo Alfonso I d’Aragona lo fece popolare di cinghiali, cervi, caprioli e uccelli per utilizzarlo come personale riserva di caccia. Dopo una breve pausa, durata fino al 1739, in cui l’area passò in mano ai Gesuiti, tornò ad essere riserva di caccia per opera di Carlo III di Borbone.



A partire dalla metà del 1800, l’attuale riserva entrò nell’area di gravitazione della città di Napoli, mutando radicalmente la sua funzione. Dal 1919 al 1970, affidata in gestione all’Opera Nazionale Combattenti, fu sottoposta ad un forte sfruttamento agricolo e durante la Seconda guerra mondiale fu utilizzata come deposito di armi.



È stato solo nel 1969 che il Ministero dell’Agricoltura e Foreste ha accolto le richieste di un gruppo di attivisti del WWF Italia, riconoscendo l’area come Oasi della protezione della fauna stanziale e migratoria e gli Astroni sono stati annessi al patrimonio della Regione Campania. Poi dal 1992, dopo l’istituzione della Riserva Naturale Cratere degli Astroni, l’Oasi è stata ufficialmente aperta al pubblico con la gestione del WWF.



Situati nel cuore dei Campi Flegrei, tra i comuni di Napoli e Pozzuoli, gli Astroni sono un’isola di biodiversità all’interno di uno dei territori più urbanizzati d’Italia. Il cratere ospita tre specchi d’acqua di origine vulcanica, il Lago grande, il Cofaniello piccolo e il Cofaniello grande. La fauna conta 130 specie di uccelli, tra anatre, aironi, rapaci e piccoli passeriformi tra cui il picchio rosso maggiore che è anche il simbolo dell’Oasi, anfibi e rettili, mammiferi come volpi, donnole, ricci, talpe, toporagni e ghiri, e circa 55 specie di farfalle.



La presenza dei tre specchi d’acqua, la forma chiusa del cratere e la traspirazione delle piante generano sul fondo, al livello del mare, un microclima umido che consente la vegetazione di specie come castagno, farnia, olmo e carpini. Sui bordi assolati e brulli del cratere invece si insedia la macchia mediterranea con la foresta di leccio e la macchia bassa composta da erica arborea, mirto, lentisco, ligustro e cisto. Questo fenomeno si chiama inversione vegetazionale ed è la peculiarità più significativa dell’Oasi.



Nella parte centrale del Lago Grande si trovano un ampio canneto-saliceto e un esteso tappeto di ninfea bianca, che in primavera-estate arriva a coprire buona parte del lago mentre il ricco e prospero sottobosco colora i margini dei sentieri e le basi degli alberi con pungitopo, gigaro, biancospino, ranuncolo, orchidee selvatiche e ciclamino napoletano, suggestivo per le sue copiose fioriture autunnali.



Tra i punti d’interesse, la Vaccheria Borbonica, un edificio costruito agli inizi del XVIII secolo, in un’epoca in cui gli Astroni furono massicciamente disboscati per favorirne uno sviluppo agro-zootecnico. Durante le frequenti cacce che venivano organizzate, era il luogo di sosta e riposo per i sovrani borbonici e la loro corte. Dopo l’ultima guerra mondiale, durante la quale divenne sede del comando tedesco e poi di quello americano, l’edificio è andato progressivamente in rovina. Dopo i recenti lavori di restauro la Vaccheria diverrà sede di un Centro Recupero Animali Selvatici.



Questo sommario profilo dell’Oasi degli Astroni serve giusto a dare un’idea della particolarità del sito e della sua ricca biodiversità. Sarà la discesa nel cratere, attraverso un percorso di circa 200 gradini ombreggiati, e la visita, da scegliere tra le varie proposte (naturalistica, forestale, geologica o zoologica), a trasportare il visitatore proveniente dal vicino caos cittadino in una dimensione senza tempo, in cui dopo aver ascoltato le spiegazioni delle guide poter perdere i propri passi in ascolto della natura.



Al riparo dal suono del cellulare (in quasi tutta l’area non c’è copertura) si finirà per concentrarsi sullo scrocchiare del tappeto di foglie sotto ai propri passi, per tendere l’orecchio al richiamo di un uccello e provare a indovinare qual è, per emozionarsi davanti a Gennarino, la farnia più antica e rispettata di tutto il cratere, che troneggia come un nonno malandato ma vitale in una piccola radura cui si arriva dopo essere passati davanti al teatro e al megafono, due punti di incontro costruiti con il legno dell’Oasi.



Proprio come gli uccelli migratori che qui fanno il pit stop prima di riprendere le fatiche del volo, una sosta in questa natura vulcanica che cresce al contrario potrà dare a noi umani, almeno per qualche ora, l’illusione di essere tornati indietro nel tempo, prima del cambiamento climatico, prima anche della rivoluzione industriale.

E dopo essersi bellamente stancati (ma comunque esiste un servizio di navetta che riporta all’ingresso chi non vuole affrontare a piedi la risalita) si uscirà da questo antro magico con l’eco delle spiegazioni delle bravissime guide e soprattutto con la voglia di tornarci di nuovo, camminando alla ricerca della natura e di sé stessi.



Che questa riscoperta degli Astroni sia capitata all'inizio di settembre, quando l'anno, fra scuola e lavoro, sembra cominciare davvero; e che la visita guidata organizzata per la riapertura del sito dopo un paio di mesi di lavori sia stata punteggiata da brevi interventi musicali itineranti, non fa che avvalorare l’idea che al netto di tutte le fedi praticabili la natura sia la prima religione dell’umanità.




Tutte le info per l’accesso, gli eventi e la didattica del bosco dove “la natura si fa cura” sono sul sito

https://crateredegliastroni.org/


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