ROMA E IL SUO
NEMICO
VERDE:
L'AILANTO

Un nemico, subdolo quanto pericoloso, ha ormai da anni invaso Roma, le sue strade, i monumenti e gli spazi verdi. Il nome poetico non inganni: si fa chiamare Albero del Paradiso; ma il suo vero nome è Ailanto. Albero importato in occidente dalla Cina nel Settecento e largamente diffuso, nell’800, nel vano tentativo di rimpinguare il patrimonio vegetale di cui cibare i bachi da seta, si è rivelato in pochi decenni più pericoloso del famoso Cavallo di Troia, tanto da essere inserito dalla UE nell’elenco delle specie invasive pericolose.


(Ailanto sui guard rail di via Flaminia)


Troppo tardi, perché quel che non si era considerato era il potere di resilienza dell’albero: non soltanto, infatti, una volta che abbia attecchito risulta pressoché impossibile sradicarlo, ma soprattutto, producendo ogni anno circa 26.000 semi, l’ailanto è capace in pochi anni di occupare grandi superfici, a danno della flora “domestica”. Per questo in Italia e in Europa è segnalata tra le principali specie invasive. Le specie esotiche invasive sono la seconda causa di perdita di biodiversità dopo la scomparsa degli habitat naturali: alterano l'equilibrio inquinando habitat ed ecosistemi protetti. Secondo stime dell'UE, l'impatto negativo di queste specie raggiunge i 12 miliardi di euro di perdite ogni anno.

Quelle che, per giunta, continuano, a essere sottovalutate in modo insensato da parte delle istituzioni nostrane, tranne sporadiche eccezioni, sono tre ulteriori caratteristiche dell’ailanto:


(Ailanto sui guard rail di via Flaminia)


1) Attecchisce ovunque, anche dove meno te lo aspetti. Per attecchire, infatti, non ha bisogno di terra, basta un accumulo di foglie cadute da altri alberi. Immediatamente i semi dell’ailanto iniziano la propria opera, facendosi strada attraverso qualsiasi tipo di terreno. Le radici sono infatti in grado di spaccare il cemento e la pietra, infilarsi in profondità destabilizzando strutturalmente edifici, terrapieni e muraglioni e causando gravi danni alle costruzioni. Anche le piccolissime crepe nell’asfalto sono per l’ailanto come il continente promesso per i navigatori partiti alla scoperta del Goldwana. Se poi queste crepe sono tra due guardrail o ai bordi della carreggiata, tanto meglio. Vuol dire che l’ailanto potrà crescere in pace, essendo noto che a Roma, la manutenzione del verde stradale è attività sostanzialmente sconosciuta.

2) L’ailanto non è certo pigro, né fragile: un solo seme fa germogliare un albero che cresce di oltre un metro l’anno fino a raggiungere l’altezza di 30 metri; e poiché sembra soffrire di solitudine, si affretta a disseminare i propri semi in modo da poter godere della compagnia di suoi fratelli, altrettanto veloci, in modo da poter rapidamente formare dapprima un insieme di cespugli, poi, dal terzo o quarto anno, un vero e proprio boschetto. Resiste a tutto, soffre di meno la siccità ed eradicarlo, dicevamo, è opera pressoché impossibile, così come il taglio a filo del terreno. L’unica forma di lotta alla sua diffusione è costituita da iniezioni di un particolare fungo[1], la lotta attraverso specifici insetti o l’irrorazione fogliare o subcorticale con glifosato.


(Ailanto sulla Salaria)


3) Quello che maggiormente, come romani, preoccupa: quando si riproduce attacca le altre piante, diventa pericoloso, ha uno sviluppo che gli consente di arrivare dove altri alberi non arrivano, con gli stoloni (radici superficiali) che si diffondono in orizzontale ma anche con radici che affondano, profonde, in verticale. È inoltre una specie "allelopatica", ossia che entra in competizione con le altre piante,inibendone la crescita mediante il rilascio di particolari sostanze chimiche nel terreno.

Per Roma ciò significa il rischio di modificare sostanzialmente il paesaggio vegetale, che costituisce una parte non piccola del fascino della città. Come ben sapeva Respighi, intitolando una delle sue più famose composizioni ai "Pini di Roma". Abbiamo imparato ad amare il paesaggio di Roma e delle sue Ville riprodotto negli innumerevoli dipinti, schizzi e stampe che da almeno 500 anni pittori ed incisori, accorsi a Roma da tutt’Europa, ci hanno fatto conoscere. Il censimento del 2016 ricorda che a fronte di circa 120000 alberi, per un totale di circa 160 entità tra specie e varietà, platano e pino domestico sono le specie più rappresentate (11-12% ciascuna, con una leggera prevalenza della prima).


(Sulla tangenziale)


Basterà farsi un giro per il Circo massimo o il monte Capitolino per vedere come platani e pini, ma anche lecci, olmi, e querce, che costituiscono, da sempre, il volto arboreo della Città, non reggano la competizione. Il rischio è quello di una Roma che magari rimane pure verde, ma cambia pelle. E per la Città eterna non sembrerebbe un bell’affare…

Ma c’è anche, nella diffusione incontrollata dell’Ailanto, un aspetto assai meno bucolico: la sua crescita nei guard-rail e nelle sconnessioni tra marciapiedi e sedi stradali crea ostacoli pesanti alla viabilità e genera pericolo per chi, automobilista o, peggio, motociclista, percorra alcune delle più importanti arterie della capitale. È come se, d’improvviso, la strada si restringesse, costringendo ad un improvviso scarto di lato o a una deviazione che riduce, senza bisogno di attendere i lavori del Giubileo, le carreggiate di strade quali la Tangenziale est e l’Olimpica, la via Salaria e il tratto urbano della Cassia bis.


(Sull'Olimpica)


L’Amministrazione del Sindaco Gualtieri sta obiettivamente facendo molto per sostituire le vecchie alberature giunte a fine vita biologica o per ripiantare alberi dove l’insipienza amministrativa e lo scandaloso abbandono della cura del verde pubblico – ad iniziare dal sostanziale smantellamento, a favore di appalti, spesso costosi quanto inefficienti, del Servizio Giardini – avevano lasciato mozziconi di tronchi che solo l’estro inventivo di qualche anonimo artista aveva trasformato in piccole sculture umoristiche. Eppure, per combattere l’invasione dell’ailanto, come prescrivono le norme UE e le stesse leggi italiane, nessuna iniziativa sembra essere stata approntata.

Fino all’incredibile scoperta che il ponderoso, recentissimo “Analisi e strategie per la riqualificazione delle alberature stradali di Roma Capitale”[2], dopo aver ricordato come, giustamente, “esiste un collegamento tra le specie usate nelle alberature stradali e il periodo politico-culturale di Roma nell’arco degli ultimi due secoli, la cui conoscenza rappresenta una base per la pianificazione e la gestione ... le alberature stradali non sono unicamente una componente estetica e ambientale per la città, ma rappresentano un elemento di identità per il cittadino, che si aggiunge allo stile ed ai materiali costruttivi del proprio quartiere e costituisce una persistenza nel tempo che, per quanto possibile, deve essere considerata”, si limiti ad un’unica citazione dell’ailanto: “Nel primo censimento del 1898 e quindi poco dopo l’Unità d’Italia, …….nella parte orientale (Collatino) venivano impiegati ailanto e robinia”.

Non una parola, né una riga di più. Né nell’analisi né tanto meno nelle proposte strategiche che impegnano lo sforzo di Comune di Roma e Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria per ben 169 pagine ...


(Un boschetto di ailanto ai margini di una strada)


Ma forse gli Assessori all’Ambiente del Comune e dei 15 Municipi, come i tecnici del CREA non girano troppo per la Capitale e, magari, quando la percorrono, viaggiano con l’autista o sono troppo occupati a consultare l’ultimo Instagram del Sindaco che a Piazza del Popolo accende l’Albero di Natale( per fortuna non un ailanto!), per rendersi conto di quello che i Romani conoscono e patiscono tutti i giorni e che la stampa della Capitale ha, da anni, con parole di fuoco, denunciato [3]; un servizio fotografico di Vincenzo Tersigni / F3 PRESS ha mostrato come lo stesso Marco Aurelio non deve, sul suo cavallo, dormire sonni tranquilli.

Ma bastano alcune foto scattate in una passeggiata mattutina di nemmeno mezz’ora per dimostrare che l’emergenza ailanto non solo esiste, ma, volendo stare al pari della eplosiva crescita della specie, cresce di ora in ora.




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[1] Patogeni fungini; funghi, induttori della vegetazione del genere Verticillium spp. come “micoerbicidi”; e un coleottero, Eucryptorrhynchus brandti (Coleoptera: Curculionidae). Tuttavia, gli scienziati devono ancora accertare che l’introduzione del fungo non abbia effetti collaterali e non crei problemi ancora più grandi.

[2] Corona et al., 2024. Analisi e strategie per la riqualificazione delle alberature stradali di Roma Capitale. Comune di Roma, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria. Roma. ISBN: 9788833853468

[3] 20-09-13 - La Repubblica – Rory Cappelli: “L'invasione dell'ailanto, la pianta cinese che resiste a tutto. Come un virus”; 23-09-06 - La Repubblica - Giulia Moretti e Giorgia Verna “Cos’è l’ailanto, la pianta cinese che infesta Roma: Trappola mortale per automobilisti, cresce senza controllo. E resiste a tutto”; 20-09-14 – “Ailanto, la pianta aliena che resiste a tutto ha -invaso Roma”; 23-09-06 – Il Messaggero: “Ailanto, l'albero del paradiso che infesta. La pianta resiste a (quasi) tutto, come debellarla”; InItalia ; 23-09-06 -Il Giornale – Alessandro Ferro: “Allarme ailanto a Roma: perché la pianta cinese è pericolosa per chi guida”.

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