Quando si parla di liquirizia, le prime immagini che vengono in mente sono quasi sempre quelle della spezzatina nella scatola di latta o delle iconiche rotelle amate dai bambini. Nel cuore dolce-amaro d’Abruzzo già nel Medioevo i frati domenicani estraevano il succo di liquirizia: i primi a diffondere l’uso della radice in tutta Europa.
La Glycyrrhiza Glabra è una pianta erbacea perenne, originaria dell’Asia sud-occidentale e dell’area mediterranea, utilizzata dall’antichità per curare la tosse, i disturbi del fegato e le intossicazioni alimentari. 5000 anni fa era presente in Cina, Egitto e Assiria. I primi a sfruttarne le proprietà terapeutiche furono gli egizi, gli assiri e i greci. Arrivò in Italia nel 1000, quando cominciarono a utilizzarla i monaci calabresi.
I primi documenti sulla radice dolce in Abruzzo risalgono al 1433. Nel territorio di Atri (TE), al confine tra la provincia di Teramo e quella di Pescara, c’era una contrada che si chiamava Revolizia, di proprietà del Santissimo Rosario, la Confraternita che gestiva il convento di San Domenico, la prima sede dell’opificio. Da allora le attività legate all’utilizzo della pianta hanno conosciuto un’ascesa veloce, tanto che l’Abruzzo, già nell’800, si affermò nel panorama dolciario italiano come la regione più attiva nella produzione di liquirizia dopo la Calabria. Il pioniere abruzzese della lavorazione industriale e dei suoi derivati fu il Cav. Rodolfo De Rosa nel 1836; da allora non è mai stata interrotta. De Rosa riuscì ad avere in enfiteusi (il diritto reale su un fondo altrui, in base al quale si era obbligati a migliorarlo e pagare al proprietario un canone annuo) i terreni dei monaci che abitavano il convento e creò la “Fabbrica di Sugo di Liquirizia”.
Riassumere 187 anni di attività è un compito arduo, ci sono però delle date salienti. La famiglia De Rosa mantiene la proprietà fino al 1922. Diversi imprenditori poi si avvicendano e nel ’32 la acquista la famiglia Parodi di Como. Nella nuova azienda lavorano Aurelio Menozzi, responsabile vendite, e Angelo Barabaschi, responsabile acquisti. Nel 1937 entrambi lasciano la De Rosa S.p.A. e fondano la SAILA (Società Anonima Italiana Liquirizia Abruzzese) di Silvi Marina nello storico teatro Kursaal.
A seguito di divergenze i Menozzi lasciano la società e avviano lo stabilimento di Montesilvano (PE). Negli anni ’40, quindi, esistevano tre aziende di liquirizia in Abruzzo: la DE ROSA-Parodi (Atri), la SAILA di Barabaschi (Silvi) e quella di Aurelio Menozzi a Montesilvano (PE). Quando Parodi decise di vendere l’attività (1950) perché senza eredi, scelse Aurelio Menozzi che mantenne il nome De Rosa. A lui seguirono i figli Mario e Giuseppe e poi i nipoti Angelo, Aurelio e Stefano; la terza generazione. Nel 2003 è stato realizzato il nuovo logo dell’azienda.
“È sempre stato un marchio molto conosciuto nelle erboristerie e nelle farmacie per i prodotti di alta qualità” racconta oggi Stefano Menozzi. “Con l’azienda di Barabaschi (SAILA) si decise di dividere il mercato; loro i prodotti finiti, noi quelli industriali. Attualmente forniamo l’estratto di liquirizia a grosse aziende come Perfetti e Ferrero. Il 70% dei prodotti industriali vanno nelle grandi catene di supermercati.”
“L’antico stabilimento” - prosegue - “era il vecchio monastero domenicano dentro la città di Atri, quello dove i monaci, all’inizio del ‘700, estraevano la radice della liquirizia e la facevano bollire per curare bruciore di stomaco e gastriti. Avevamo 200 lavoratori: gli uomini per la lavorazione e le donne per il confezionamento.”
In paese non c’è famiglia in cui qualcuno non abbia lavorato “a lu chenc” (al concio), cioè alla trasformazione della pasta di liquirizia in prodotto commestibile. Nel 2003, per via degli standard delle certificazioni di qualità di cui i clienti avevano bisogno, lo stabilimento viene trasferito nel nuovo opificio nella zona industriale Piane Sant’Andrea. Lavora con le multinazionali: Unilever, per la stecca alla liquirizia del gelato Liuk-Algida, e tutti i derivati per Elah Dufour, Ricola e Perfetti Van Melle (caramelle Tabù, Golia, Mentos, Frisk, Morositas).
“La pianta della liquirizia” - racconta ancora Menozzi - “nasce spontanea nei terreni argillosi o umidi; e l'area di Atri una volta era ricca di questa pianta rustica perenne. Nella zona dei calanchi forse si trova ancora qualcosa, ma non più come una volta. Resta qualche pianta in Calabria.” Le caratteristiche fisiche di entrambe le regioni, con terreni ripidi e scoscesi e scarse colture, favorivano la crescita della liquirizia, alta fino a 1/1,5 metri, con la radice lunga uno. Una volta messi a coltivazione i terreni, è stata estirpata: mantenere la pianta della liquirizia avrebbe significato lasciare incolto il terreno per almeno tre anni. Ecco perché le piccole quantità rimaste sono valutate a prezzi altissimi. Oggi l’approvvigionamento del quantitativo necessari o alla produzione viene da fornitori di tutti i paesi del Mediterraneo e da tutti i paesi che sono sullo stesso parallelo della Calabria (Turchia, Iran, Uzbekistan… fino alla Cina).
“Quei paesi ne hanno tanta” - spiega Menozzi - “per questo le nostre produzioni avvengono con radici di liquirizia provenienti dall’estero. Il prodotto italiano avrebbe dei costi molto alti, necessari anche per tagliare il gusto; la radice italiana è molto intensa. Per evitare che le caramelle risultassero troppo forti si è dovuto creare un blend di radici con tenore più basso di glicirrizina (il principio attivo della liquirizia). Siamo stati in grado di offrire la giusta miscela per un sapore adatto alla richiesta di produzione dei clienti (caramelle, toffee, gelati). Il motivo della miscelazione è che la liquirizia è un dolcificante naturale, più se ne mette più perde il gusto e si trasforma in zucchero Quando concentriamo la radice di liquirizia a livelli molto alti, produciamo un dolcificante che può essere usato al posto dell’aspartame.”
“Siamo rimasti in pochi In Italia a lavorare la liquirizia - conclude Menozzi -. In Calabria c’è la Amarelli di Rossano Calabro (CS), un’azienda meno industrializzata e con meno dipendenti. Producono prodotti di alta gamma ma non hanno un mercato internazionale. Il 99% di liquirizia cavata nel mondo è venduta all’industria del tabacco; Philip Morris e Marlboro usano la polvere di liquirizia grezza nelle sigarette per renderle più dolci tramite aste pubbliche. Solo l’1% della migliore qualità viene destinata all’industria alimentare. Noi la scegliamo in base al colore, al tenore e al sapore. La nostra produzione si fonda su tre categorie: la pura di gusto amaro, 100% liquirizia per le stecche o la spezzatina; la morbida (le rotelle) con solo il 3/4% di liquirizia, il resto è farina melasso e zucchero, e i confetti con l’anima di liquirizia. Di recente produzione è la polvere di liquirizia per il mercato della ristorazione e delle cannucce di liquirizia usate nei bar per servire il mojito.”
In Corso Elio Adriano, al civico 95 di Atri paese, si incontra il primo negozio della liquirizia Menozzi De Rosa, gestito dalla signora Carmen Santini, inaugurato quasi quarant'anni fa; il primo nella vendita al pubblico. Sul bancone della “Bottega della Liquirizia” campeggia l’insegna storica del marchio dell’azienda che, tra i vari prodotti, produce anche le Tabù.
Chi non ricorda il jingle 'Tà, tà, tà, tabù, anche bianco'? Fu la prima campagna pubblicitaria televisiva delle caramelle Tabù, scritta dagli abruzzesi Antonio Di Jorio e Evandro Marcolongo. Fu lanciata nel 1986 (andò avanti sino al 1996) per promuovere la piccola caramella di liquirizia pura, venduta nella scatolina tonda di metallo. Aveva per protagonista un uomo nero, distinguibile dallo sfondo solo dagli occhi, dalle labbra e dalle mani bianche.
Una curiosità per chiudere: il detto “indorare la pillola” deriva proprio dal ricoprire di liquirizia le medicine amare per renderle più dolci.