LA GRANDE
DEPRESSIONE
UN RITRATTO
DELL'AMERICA

C’è questa foto di Dorothea Lange che non appartiene alla mostra e che mi piace particolarmente: la ritrae, già anziana, i capelli corti e canuti, al collo - mi dicono - probabilmente una Pentax, il sorriso e lo sguardo dolcissimi e sofferenti, forse già malata di quel cancro che l’avrebbe portata alla morte a soli 70 anni. C’è una compassione, nell’espressione di quegli occhi, che mi colpisce, che m’intenerisce, che credo la rappresenti, come persona e come artista.

Camera, a Torino, è un piccolo spazio espositivo che frequentiamo con piacere. Si presenta, tra le varie cose, come Centro per l’educazione dell’Immagine. Definizione che mi piace, perché credo che l’immagine, più di tante parole che sono dopotutto il mio mestiere, abbia la capacità di andare dritto al cuore, specie dopo aver sposato un fotografo di professione, persona di poche parole, ma dallo sguardo anche lui gentile.


(Dorothea Lange anziana)


Dorothea, fin dai suoi inizi professionali, aveva aderito alla straight photography, un movimento nato nella West Coast di cui faceva parte anche Ansel Adams: un modo di fotografare puro, documentativo, incisivo, senza virtuosismi pseudo pittorici di maniera, tipo certe sfocature e velature divenute di moda, pur concedendo tecnicismi da camera oscura, a sostegno della nitidezza e potenza alle immagini.

“Racconti di Vita e di Lavoro” dice la mostra, che mi sembra un modo riduttivo per condensare, in una frase, l’impatto emotivo delle foto della Lange.

Due parole su di lei: nel 1875 nasce Dorothea Nutzhorn, da una coppia di emigranti tedeschi. Quando il padre abbandona la famiglia, lei, appena dodicenne, sceglie il cognome della madre. Secondo trauma: a sette anni è colpita dalla polio che la renderà per sempre un pochino claudicante: “Penso che forse è stata la cosa più importante che mi è successa, e mi ha formato, guidato, istruito, aiutato e umiliato”.



E aggiungo che perciò potrebbe essere stato ciò che l’ha resa più empatica verso l’altrui sofferenza. Le sue foto avevano colpito l’economista Paul Schuster Taylor che nel ’35 sarebbe diventato promotore del suo lavoro, nonché marito nella vita, dopo il divorzio dal primo, Maynard Dixon, un pittore, guarda caso, da cui aveva avuto anche due figli. Nel 1940 la Lange vinceva il premio Guggenheim. Nel 1947 collaborava alla nascita dell’agenzia Magnum. Nel 1952 aveva contribuito a fondare la rivista Aperture. Nel 1954 e nel 1955 pubblicava su Life. Pochi mesi prima di morire stava preparando una sua mostra personale al Museum of Modern Art di New York.

Questa di Camera è sicuramente meno ambiziosa, ben strutturata, ben illuminata, divisa per stanze. Le didascalie sono quelle originali fatte a suo tempo dalla stessa Lange.


(Sono un americano)


La Missione

Se Furore, il meraviglioso romanzo di John Steinbeck, racconta la disperazione della Grande Depressione, Lange la documenterà con le sue foto, dapprima per istinto, poi su commissione della FSA (Farm Security Administration, Dipartimento per le Aree Rurali, agenzia del New Deal) organismo federale preposto a monitorare e risolvere quella crisi climatica che, dal 1931 al 1939, aveva devastato le Grandi Pianure. Tempeste di sabbia causate da decenni di coltivazioni inappropriate che avevano causato l’esodo di migliaia di braccianti e contadini, costretti ad abbandonare le loro fattorie nella Dust Bowl, enorme territorio comprensivo di Texas, Oklahoma, Kansas, Colorado e New Messico. La testimonianza di un paese in ginocchio ci sarà resa grazie a una squadra di dieci fotografi professionisti, la Lange e Marion Post Wolcott uniche donne. La foto icona: la vetrina con i candidati politici. I maschi dall'espressione sprezzante, sicuri di vincere; e un’unica donna dall’aria decisa, Margareth Harris Gordon, che però trova necessario aggiungere al suo manifesto: il vostro sostegno sarà apprezzato.


(L'uomo sul selciato.jpeg)


In town

1932, a tre anni dall’inizio della Grande Depressione; Lange documenta il degradato quartiere di Skid Row, uomini ridotti a mendicare, la moltitudine dei disoccupati, la solitudine e la disperazione dei nullafacenti, le interminabili file per un tozzo di pane nelle Strade di San Francisco. La foto icona: l’uomo accasciato sul selciato, l’ignavia forzata della disoccupazione.


(L'esodo)


L'Esodo

La desolazione dei grandi spazi, il lavoro che non c’è, quello impietoso nei campi, i volti e le mani devastati dalla fatica, la fame. Uno sfruttamento pagato niente: 75 cents per ogni 45kg. Che però era meglio di niente. Padri di famiglia in attesa di un lavoro a cottimo, rassegnati, sotto il sole; tra loro, unica donna, una mamma, con accanto il suo bimbetto: dovrà portarselo dietro,nei campi. La foto icona: l’uomo che trascina il carretto con le poche, povere, malridotte, cose; dietro di lui si trascinano, a piedi, la moglie e i figli. La desolazione di una strada verso il niente.


(La Giungla)


La Giungla

Caso vuole, lo stesso nome per una situazione analoga: la Giungla di Calais. Le tende di fortuna, accampamenti improvvisati fatti di lamiera, cartone e cenci. Come le baraccopoli dei nostri migranti. La foto icona: la tenda di stracci che da riparo alla famiglia: il degrado, il torpore, il niente, il nulla, nemmeno la speranza.


(La bimba danneggiata)


Madri Migranti

Gli uomini nei campi, le donne a crescere la prole, a tirar la cinghia, a cercare di tirare avanti. Tante bocche da sfamare. Disperazione e dignità. Stremate dalla maternità. Il calore e la polvere. Il freddo e la fame. Alcune accettano di farsi fotografare, dignitose nei loro abiti sdruciti, i pargoletti per l’occasione ripuliti, il sorriso mesto. Primi piani struggenti: giovani volti affaticati, bambini sdentati, sporchi, intristiti. Uno solo sorride. Una bimbetta dallo sguardo feroce. Ce la descrive la stessa Lange: Danneggiata, dice. La foto icona: il ritratto di Florence Owens Thompson. Trentadue anni portati con rassegnazione, titolo originale: Destitute Pea Picker, Indigente raccoglitrice di piselli. Mater Dolorosa. Secondo la fotografa Martha Rosler, “la foto più riprodotta al mondo”.


(Madre migrante. Florence Owens Thompson)


Un nuovo Inizio

Si ricomincia a vivere. Grazie anche alle foto della Lange, la FSA, per fronteggiare la Grande Depressione e far ripartire la ricostruzione, nel 1937 s’impegna per dare, a queste famiglie che avevano perso tutto, un minimo dei servizi essenziali: quelli igienici, l’elettricità, tanto per iniziare. E anche un po’ d’innocente svago: una piccola biblioteca, il baseball domenicale. S’incoraggiano progetti su scala aziendale, come Casa Grande, 62 famiglie che si dividono i profitti. La foto icona: l’orgoglio e la speranza di una casetta di legno.


(Il lavoro nei campi)


Verso Sud

C’è chi sta peggio. Il divario sociale, lo sfruttamento, l'emarginazione, la segregazione nelle piantagioni di cotone, tabacco e mais. Ma il lavoro dei neri non interessa a nessuno. La FSA taglia i fondi alla Lange che, assieme a Taylor, portano avanti il loro racconto sociale pubblicando, nel 1941, il libro American Exodus: il compendio del lavoro sulla Depressione, allargato alla migrazione derivata dai tempi della Guerra Civile. “Avete un economista e un fotografo che cercano di esprimere le situazioni nel Sud e un paese non pronto per le immagine o le didascalie.” La foto icona, un trittico (mio il montaggio) di scatti. La brutalità del lavoro nei campi.


(La famiglia Mochida, tutti etichettati)


Sono un Americano

7 Dicembre 1941, i kamikaze giapponesi attaccano il porto di Pearl Harbour. La paranoia dilaga e quello che succede dopo è vergognoso. Con l’ordine esecutivo di Franklin D. Roosevelt del 19 Febbraio 1942, il governo organizza il ricollocamento di 110.000 americani di origine giapponese in centri raccolta militari, dislocati in Arizona, Oregon e stato di Washington, che sono in tutto e per tutto dei lager, ma senza lo sterminio. La Lange è chiamata a documentare, ma conoscendo il tipo è guardata a vista; la censura le impedisce di fotografare, per esempio, le recinzioni di filo spinato. Basti dire che le foto verranno pubblicate solo nel 2006. Con la sua empatia, riesce comunque a trasmettere la brutalità dell’operazione, la grande ingiustizia sociale, vissuta con rassegnazione dalle migliaia di famiglie, a partire dalla evacuazione di San Francisco e le condizioni di vita nel Manzanar Relocation Center. La foto icona: il campo di Manzanar.

A conclusione, un commento puramente personale. Sapete quando qualcosa vi tocca? Quando trova una risonanza emotiva e intellettuale ? Ecco, Dorothea Lange mi è rimasta dentro. Mi ha colpito la sua grande attualità. Quelle baraccopoli d’immigrati sono il nostro presente. Lontane nove decadi, quelle foto della Crisi Climatica potrebbero essere il nostro futuro.


(Dopo il lavoro)


Ho trovato e tradotto dal web alcune sue frasi che trovo utili e didattiche per chi ama la fotografia:


"La fotografia prende un istante fuori dal tempo, e altera la vita, tenendola ferma."

"Non è sufficiente fotografare ciò che è ovviamente pittoresco."

"Una fotografia documentativa non è una fotografia fattuale".

"Sapere in anticipo cosa stai cercando significa che stai solo fotografando i tuoi preconcetti; il che è molto limitante e spesso falso."

“Vedere è più di un fenomeno fisiologico… Vediamo non solo con i nostri occhi, ma con tutto ciò che siamo e con tutto ciò che è la nostra cultura”

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