KALYMNOS
L'ISOLA
DEI PESCATORI
DI SPUGNE

C’è stato un tempo in cui dietro una spugna acquistata in un mercato c’era forse una vita umana stroncata; così come, dietro un manufatto prezioso, la vita di un minatore. Sono stato a Kalymnos, un’isola del Dodecaneso, a metà degli anni ’80.


(Kalymnos, Myrties/Melitsachas)


Più che altro per qualche iscrizione nel Museo Archeologico e poi per raggiungere Telendos, la piccola isola pedonale staccatasi da Kalymnos per un terremoto del VI sec. d.C. (lo so, Direttore, ne ho già scritto per foglieviaggi QUI - ma ora approfondisco).


(Telendos)


Una cinquantina di abitanti. Cinque minuti di barcone, come per un Greco senza tempo, dal porticciolo di Myrties. Fu lì che il nostro affittacamere - continuo a pensare che si chiamasse Spiros - proprietario di una piccola taverna, ci parlò delle spugne e delle sue gambe malandate, che trascinava con fatica. Era stato un pescatore di spugne.

Poi, negli anni, ho conosciuto molta altra Grecia e le spugne mi sono passate di mente.

Ma un paio di anni fa lessi un libro straordinario: Pêcheurs d’éponges, di Yánnis D. Yérakis, Paris 2020, tradotto dal greco da Spiros Ampélas, con un Avant-Propos di Daniel Faget, storico del Mediterraneo.



Il sottotitolo, Kalymnos 1900, Saint Pétersburg 1917, restituisce il carattere autobiografico del racconto manoscritto di Yérakis (1887-1971), nativo di Kalymnos, che era stato avviato precocemente al lavoro in Russia all’età di tredici anni. Tornato in Grecia dopo soli due anni, per fare il pescatore di spugne come il padre, fu costretto poi a riparare di nuovo in Russia, dove rimase fino al 1920, prima guerra mondiale e rivoluzione d’ottobre comprese. Kalymnos era allora sotto occupazione italiana (lo fu dal 1912, quando fu sottratta ai Turchi, fino al 1943), per cui si stabilì ad Atene. Solo nel 1951 riuscì a rivedere la sua isola, ritornata greca.


  • TELENDOS, ISOLA PEDONALE
  • ASTYPALEA, ISOLA FARFALLA

  • Ma c’è un particolare da aggiungere: il manoscritto, che vide la luce come libro solo nel 1999, ad Atene, è stato tradotto da un nipote dell’autore: suo padre, Jean Ampélas, era infatti fratello di Anastasia, la moglie di Yánnis. Il libro, oltre a testimoniare la diretta esperienza di un pescatore di spugne, ricorda anche la dispersione dei Greci per il mondo e la felicità del ritrovarsi su suolo greco, a buon diritto ‘rimpatriate’. Gli Ampélas vivevano in Tunisia.

    Lascio ora a chi voglia leggere il libro l’emozione di un racconto in prima persona, fatto di viaggi, pericoli, immersioni a corpo nudo, dolore per la perdita di giovani amici, speranze e lezioni di vita. Torno, invece, alla Grecia di questi giorni di vacanza.

    Quest’anno puntavamo su Astypalea - Dodecaneso anche lei - la famosa isola a forma di farfalla.


    (L’antico Kastro di Astypalea visto dal traghetto)


    E visto che in Grecia si torna sempre, anche e forse soprattutto la prima volta che ci si va, non potevo non sfruttare il mio nostos del 2023 per rivedere Kalymnos e Telendos, con in mente la storia dei pescatori di spugne.

    Il Museo Nautico di Kalymnos, non più quello Archeologico del precedente ritorno, è stata davvero la scoperta personale più intensa.

    Il Museo fu inaugurato nel 1944 ed è gestito da volontari indicati dal Consiglio Comunale di Kalymnos in maniera semplice e generosa. Assolutamente gratuito, offre, oltre a molti reperti, un documentario realizzato sul luogo da ricercatori dell’Università di California nel 1960. Il documentario, che non sono riuscito a ritrovare in rete, testimonia con precisione il grande rischio delle immersioni senza particolari supporti, poi facilitate (si fa per dire) da scafandri pesantissimi, ma con effetti disastrosi sulle articolazioni dei pescatori.



    Con nella mente il racconto di Yérakis, il Museo racconta ancora meglio: ci sono volti che corrispondono a persone che hanno rischiato la vita per sostenere l’economia di Kalymnos, mentre mogli e figli per sei mesi rimettevano a nuovo con pazienza le case, aspettando il nostos e le feste, anche se non sempre tornavano tutti.



    C’è chi ha voluto ricordare i pericoli con quadretti naïf che trovano un preciso riscontro nei reperti.





    Ci sono gli scafandri, che all’inizio suscitarono diffidenze ma forse salvarono vite; e strumenti sempre più sofisticati.



    E poi ci sono le spugne, di tutte le dimensioni: il vello d’oro che argonauti spericolati e bisognosi venivano mandati a conquistare, magari da trafficanti privi di scrupoli.



    Le spugne che, con nuove tecnologie, continuano a pulire e cancellare difetti e impurità umane, dando l’illusione - ma forse anche la speranza - che si possa rimediare a tutto. Con un colpo di spugna, appunto.

    Ma lì, nel Museo di Kalymnos, nulla è metafora: è vita e morte, entrambe vere e contigue.

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