DAMASCO
E LA SIRIA
LA VITA
OLTRE LA GUERRA

Le case antiche si susseguono, le viuzze sono strette e le abitazioni sono costruite in parte in pietra e in parte in legno, le avvolgono allegri rampicanti pieni di fiori. Il centro storico di Damasco è rimasto intatto nonostante il conflitto civile siriano. Rimane un luogo di sogno, pieno di charme e arte, un luogo in cui la vita è riuscita a sconfiggere tanti anni di guerra.

Durante il weekend, nei quartieri cristiani, la gente si raduna nelle vie e passa da un baretto all’altro. Sono taverne dove si balla a suon di dj fino alle quattro di mattina. La musica è un mix di tecno, house e musica araba. Si beve vino locale e alcolici di ogni tipo. La gente ha voglia di vivere e lo si percepisce. Colpisce come i locali siano pienissimi, in alcuni è perfino difficile entrare. Una volta dentro si è accolti con calore, ci si ritrova a ballare con i ragazzi del posto. La vita scorre nelle vene della Siria nonostante la geopolitica.



Il senso di questa serie di articoli di viaggio nella Siria controllata dal governo ufficiale non sarà parlare di politica, trarre bilanci su chi abbia vinto o chi perso, ma fare il punto sullo stato del patrimonio artistico siriano o meglio sul suo mancato restauro da parte della comunità internazionale. Un tempo, durante e dopo i conflitti, vigeva la regola per cui il patrimonio culturale andasse restaurato, anche nel caso si fosse nemici politici, in quanto patrimonio dell’umanità. Nel caso siriano questo non è avvenuto. Sulla carta nessuno si dice contrario al restauro, ma nella pratica, a parte pochi casi, i restauri non sono stati finanziati. Eppure, al contrario di quello che si dice, il patrimonio artistico è in grandissima parte tutto restaurabile, Aleppo, Palmira, Homs sono ancora lì, gli edifici sono solo parzialmente crollati e le pietre originali sono lì, pronte per essere rimontate per anastilosi. Distruggere un patrimonio dell’umanità lasciato a se stesso, di fronte a una ricostruzione privata già iniziata, solamente perché non si è d’accordo con chi ha vinto la guerra, è una politica controversa, diciamo così. Tra dieci anni magari saremo di nuovo amici con il nemico di oggi, ma avremo perso per sempre un patrimonio culturale che appartiene a tutta l’umanità. Questo sarà lo spirito dei nostri articoli, un invito a non mescolare la salvaguardia del patrimonio culturale con la geopolitica.

Il mio secondo viaggio in Siria, il primo fu nel 2019, ripercorre più o meno gli stessi passi, Damasco, Malula, Krack des Chevaliers, Homs, Aleppo, Hama, con l’aggiunta dei siti archeologici di Apamea, Palmira e Bosra. Damasco per fortuna, se si escludono alcuni quartieri periferici, non ha subito danni dalla guerra. Anzi, girando per le sue vie, se non si conoscesse la storia degli ultimi decenni, si faticherebbe a credere che vi sia mai stata una guerra. La città con i suoi incredibili monumenti, souq, hamman, palazzi, moschee e chiese, ribolle di vita. Solo la notte vi sono black out energetici, perché il paese, sotto sanzioni, fatica a garantire energia elettrica 24 ore su 24. Vi sono anche i primi turisti, soprattutto europei, in gran parte world traveler.



Le polemiche sul viaggiare in Siria oggi sono diffuse, anche se francamente ci andrei cauto per tre ragioni. La prima è che osservare con i propri occhi non fa mai male, la seconda è che le persone che dicono che non è giusto andare in Siria in nome del rispetto dei diritti umani sono poi talora le stesse che ritrovi in Iran, Arabia Saudita, Cina e tanti altri paesi in cui la situazione non è poi tanto diversa. Infine, incontrare popolazioni locali, anche quando non si è sulla stessa lunghezza d’onda con i governi, è sempre una ricchezza per entrambi.

Di giorno camminare nel quartiere cristiano di Damasco è molto piacevole, si scoprono tante chiese, e fra queste Saint Ananias dove San Paolo, prima della conversione, ebbe la visione che lo rese cieco per molti giorni. A quel tempo Gesù aveva detto a Paolo, che ancora si chiamava Saul, di recarsi a Damasco e aspettare. In seguito parlò ad Anania in una visione e gli disse di andare sulla "strada che si chiama Diritta" e chiedere "nella casa di Giuda uno chiamato Saulo, di Tarso". (Atti 9:11) Anania obiettò che Saul aveva perseguitato "i tuoi santi", ma il Signore gli rispose che Saul era "uno strumento scelto da me, per portare il mio nome davanti alle genti, ai re e ai figli d'Israele" . (Atti 9:15). Quando Anania andò da Saul e gli impose le mani, le "scaglie" di tessuto morto sulla superficie dei suoi occhi caddero, e egli guardò Anania. Dopo ulteriori istruzioni, Saul fu battezzato (9:18; 22:16 Atti 9:18; 22:16.



La via principale del centro storico di Damasco rimane la stessa dell’epoca romana, la via Recta. Vi è ancora perfettamente conservato l’arco romano, tutto attorno alla strada sorgono antichi negozi, chiese, moschee, piccoli bar e tante colonne romane sparse qua e là. In città il centro storico è talmente vasto e ramificato, mostra una tale complessità e stratificazione culturale e religiosa, da ricordare Roma, Napoli o Palermo. Nei negozietti si vendono soprattutto oggetti di antiquariato e di artigianato di ogni genere. In generale la qualità è piuttosto alta. Proseguendo per la via Recta, molta bella anche per le tante piante fiorite e alberi che vi si trovano, si arriva pian piano al grande Souq di Damasco. Qui la folla è così grande e le merci in esposizione così numerose che camminare in gruppo senza perdersi per i rivoli, inghiottiti dalle persone e dalle migliaia di negozi, è praticamente impossibile. Si vende di tutto, il souq di Damasco è immenso e rivaleggia con quelli di Isfahan, del Cairo, di Istanbul e di Aleppo prima della guerra, nell’immaginario della gente, per essere tra i più belli al mondo. Si potrebbe ripassare ogni giorno e non si sarebbe mai stanchi. Nel dedalo delle sue vie ricolme di merci e mercanti, si aprono caranvanseragli , palazzi incredibili, hammam, moschee e ruderi di immensi templi.



In un angolo del Souq si trovano le colonne di quello che era il più grande tempio della città: enormi, oggi sorreggono i teli che coprono questa parte del souq. Sono anche la porta di ingresso alla piazza della grande moschea degli omayyadi di Damasco. C’è solo un modo per definire questo edificio: un sogno. È uno dei più grandi capolavori dell’arte e dell’architettura mondiali. Un tempo immenso tempio pagano, poi cattedrale ortodossa, con l’arrivo degli arabi si fece una moschea in una parte della chiesa, lasciando il resto dell’edificio al suo uso originario. Poi la moschea si ampliò sulla vecchia chiesa, secondo alcune tradizioni comprando il resto dell’edificio religioso dai cristiani, secondo altre espropriandola. Così divenne la grande moschea della città. Ogni epoca, culto e cultura ha lasciato segni evidenti. A partire dagli splendidi mosaici omayyadi sulle facciate della grande corte che segnano un equilibrio perfetto tra l’arte romana, bizantina e islamica. Qui vale la pena entrare mille volte, sedersi a meditare, passare molto tempo a guardare, ogni volta si scopriranno dettagli diversi. È un' esperienza davvero mistica ed è anche altamente consigliabile sedersi in silenzio durante la preghiera, per assorbirne l’energia.



Al centro del cortile si trova l'edicola delle abluzioni, nella zona est è la cosiddetta Cupola della Campana, eretta nel 780, mentre nella zona ovest si trova la Cupola del Tesoro costruita nel 789, che si presenta rialzata da terra con base ottagonale. Sorretta da otto colonne romane, con capitello corinzio, è ancora rivestita dai preziosi mosaici bizantini. Venne eretta per ospitare il tesoro della moschea. Accanto all'edificio principale vi è il fascinoso Mausoleo di Saladino. La tomba fu costruita dal fratello del Califfo, Al Adil, chiamato dalle cronache cristiane dell’epoca Sanfedino. Il mausoleo fu ricostruito nel 1898 sotto il patrocinio dell'Imperatore tedesco Guglielmo II, che ne finanziò la riparazione dopo aver visitato Damasco e aver trovato la tomba in uno stato di quasi abbandono. Il 16 ottobre 1918, quando Lawrence d'Arabia entrò a Damasco, come primo gesto rese omaggio alla tomba del grande Sultano.

Poco distante vi è uno splendido piccolo hammam ancora in uso. La sera è pieno di giovani, esercita grande fascino sia per l’architettura che per la qualità del servizio. Estremamente pulito, ci sono stato più volte. Si entra, ci si cambia, volendo ci si può far tagliare i capelli o la barba, poi ci si spoglia e si entra nell’hammam vero e proprio, dove ti lavano con il sapone di Aleppo e con delle stuoie per togliere la pelle secca, poi ti massaggiano. Quindi si va nella parte caldissima e quando si esce ti buttano acqua fredda. Finito il rito del bagno si esce e ti servono un thè e si chiacchiera davanti all’antica fontana nella prima sala.



Per la cena il centro storico di Damasco è pieno di ristoranti per tutte le tasche, nonostante la crisi alcuni, anche di lusso, sono piuttosto pieni. Si vede che nella capitale, nonostante tutto, vi è una parte della popolazione che può permetterseli. Vale la pena fare anche un giro nei quartieri borghesi sotto la collina, sono zone anni Settanta, piuttosto benestanti e graziose. Aggrappati alla collina vi sono invece quartieri popolari di un certo fascino e pieni di vita. È consigliabile percorrerli prima del tramonto, a piedi o con un minibus locale e poi salire sulla collina fino al piccolo santuario in alto. Da li si gode una vista spettacolare su tutta la città. Siamo stati adottati da alcuni pellegrini iracheni, ci hanno offerto un thè e spiegato la storia, piena di leggende, del luogo in cui ci trovavamo.

I raggi del sole morente inondano la città di bagliori rossi che amplificano il rosso delle rocce della montagna sopra Damasco. Il santuario si accende di colori caldi e sfumati che piano piano tendono a imbrunire con l’arrivo della notte. Finito il thè salutiamo i pellegrini e scendiamo piano piano le scale ormai buie che come un serpentone dai colori metallici nella notte ci riportano alle luci del quartiere arrampicato sulla collina. Intorno è un brulichìo di voci, gli abitanti che popolano i vicoli. La notte torniamo nel centro storico e ci perdiamo nei meandri affollati, la gente passeggia, si ferma a comprare qualcosa nelle bancarelle o va al ristorante. Le strade non sono illuminate dalla luce pubblica, ma da generatori privati dei locali che vi si affacciano.



La mattina ci svegliamo presto e andiamo a fare un nuovo giro nel souq, mi stacco dal gruppo con cui viaggio per andare a cercare un tessuto iracheno chiamato Najaf, che una mia amica egiziana, la più grande esperta di vestiti tradizionali egiziani, cercava da tempo. Si è sempre rifornita in un negozio qui, ma durante il decennio di guerra non è più riuscita a venire. Trovo il negozio e riesco a comprarle qualche metro del prezioso materiale. Raggiungo il gruppo per andare a visitare all’interno del souq il bellissimo palazzo El-Azm, considerato uno dei prototipi degli antichi edifici di lusso di Damasco. All’interno c’è il bel museo delle arti e tradizioni popolari. Il palazzo venne costruito tra 1749 e il 1752 come residenza per il governatore ottomano della città, As’ad Pascia al Azm, della famiglia Azm che diede cinque governatori alla città.

Verso pranzo andiamo al santuario sciita di Sayyida Ruqayya, figlia di Husayn Bin Ali, il terzo imam sciita che morì durante la famosa battaglia di Karbala. La piccola morì a tre anni in prigionia. Passati i varchi di sicurezza, entriamo nel santuario, che non è più quello antico, che era più piccolo. È stato infatti ampliato nel 1985 con fondi iraniani. All’interno è pieno di pellegrini iraniani e iracheni che vengono a baciare le grate della tomba della bambina. Abbiamo passato una mezzoretta seduti in mezzo a loro a ascoltare le ipnotiche litanie e preghiere. Usciti dal santuario ci immergiamo di nuovo nel souq per andare a mangiare un gelato tradizionale siriano. Nella gelateria, in una delle vie coperte principali del souq, c’è talmente tanta gente che manca quasi il respiro ed è difficile muoversi. Ma ne vale la pena perché il gelato, leggermente gommoso per il mastice e ricoperto di mandorle e pistacchi, è semplicemente delizioso.



È il momento di visitare il Museo Nazionale Archeologico di Damasco, il luogo in cui sono stati ricoverati i reperti archeologici trasportabili durante la guerra civile. Il patrimonio archeologicosiriano, uno dei più importanti al mondo, è stato pesantemente distrutto o trafugato durante il conflitto e in particolare, soprattutto le statue figurative, sono state sistematicamente distrutte dall’Isis o vendute sul mercato nero nei territori controllati dall’opposizione a nord. Gli oggetti salvati sono confluiti nel museo nazionale. Non sono tutti visibili per motivi di sicurezza, ma sono comunque tantissimi e di una bellezza incredibile. Si tratta di un museo che potrebbe essere visto e rivisto decine di volte senza annoiarsi mai. La serata finisce nel sempre affollato hammam vicino alla tomba del Saladino. I ragazzi si schizzano d'acqua a vicenda, altri si fanno lavare e massaggiare. Si respira nell’aria l’allegria dell’inizio della sera, ci si rilassa dopo una giornata di lavoro. Nella sala con fontana, all’entrata, la gente appena uscita dall’hammam, con il solo asciugamano addosso, prende un thè. I gatti giocano con le scarpe dei clienti.

(1. continua)

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