IL TENNIS
E I SUOI TIFOSI
UNA GIORNATA
IN COPPA DAVIS

All’Unipol Arena di Casalecchio di Reno, a pochi minuti da Bologna, ero già stato un paio di volte, per Fiorello e per Notre Dame de Paris; ma stavolta l’evento è sportivo, la Coppa Davis, con l’Italia nel girone di qualificazione.



Solo che vedere l’Italia costa troppo (e allora ti vengono in mente subito Giorgio Gaber e le mucche in volo …), mentre per vedere Canada-Cile una quarantina di euro, con un posto in ottima posizione, alle spalle del campo in verticale (posizione consigliata) non sono sprecati. Scelgo la sfida in base alla notorietà (e bravura) dei giocatori, anche se uno dei migliori alla fine non giocherà.

E così mi concedo la mia prima volta del tennis dal vivo. Anche se sono 60 anni, mese più mese meno, che gioco a tennis, dai campi di Salerno dove presi lezione da un maestro bolognese, ma avevo ottimo stile e poca testa, fino al mio circolo attuale, dove forse gioco meglio di tanti anni fa e mi diverto di più.

Un pomeriggio intero, dalle 15 a oltre le 21, è un’esperienza davvero unica, per intensità, varietà, colori e suoni. Il giorno prima, Italia-Cile è durata ben 9 ore! Si tratta di tre incontri, due di singolo e il doppio finale, decisivo in caso di pareggio.

L’ingresso nel Palasport, ancora vuoto, ma si andrà affollando moderatamente, ti fa chiedere se per caso non sei capitato in una discoteca: fasci di luci, musica pop a tutte casse, colori sgargianti.



Poi l’ingresso delle due squadre in campo, precedute da raccattapalle, giudici e bandiere, riporta tutto nella giusta dimensione, quella della gara sportiva.



Lo scambio di gagliardetti, dopo i due inni nazionali cantati con passione e ascoltati con rispetto, non è un rituale di maniera, corrisponde all’essenza del tennis, uno sport in cui due (o quattro) individui combattono senza mai toccarsi o sfiorarsi, suggerendo alle proprie tifoserie di usare lo stesso metodo nella passione e nel sostegno. Urla, sì, cori, tamburi, bandiere, ma nessuna violenza verbale; poi, all’improvviso, un silenzio assoluto quando uno dei giocatori deve servire e durante tutti gli scambi fino al punto vittorioso. Un silenzio che raramente il giudice-arbitro deve sollecitare. Giudici dalle facce ormai note per chi segue Supertennis, uomini e donne che autorevolmente mettono a tacere omaccioni alti anche più di due metri.

Il nutrito gruppo dei tifosi cileni, che pure finisce per subire la sconfitta al terzo incontro, quello di doppio, decisivo, ha mantenuto una costante correttezza non certo dimessa o arrendevole, ma mai ostile, così come i pochi canadesi presenti hanno saputo con dignità far sentire la loro voce anche quando quella degli avversari prevaleva.



Un pensiero al Cile, doveroso. Nella squadra c’è il nipote di uno dei giocatori sconfitti dall’Italia nella famosa trasferta cilena del 1976, la nostra unica “insalatiera”, quella delle magliette rosse immortalate dalla serie Una squadra.

Un pensiero che è anche un termometro del tempo e dei mutamenti politici. Dei quali lo sport fa parte, inutili le chiacchiere. Ancora recentemente, abbiamo visto una tennista ucraina non stringere la mano all’avversaria russa, non importa se sconfitta o vittoriosa. E nessun tipo di giudizio ad alta voce, dal divano di casa propria, mi sembra richiesto e necessario. Bisogna solo preservare la correttezza di fondo di questo sport e del modo di seguirlo, perché è il tennis a determinare un tipo di tifosi.



Basti pensare che prima di ogni partita i due (o quattro) avversari palleggiano fra loro: provate a immaginare, prima dell’inizio di una partita di calcio, le squadre che si passano la palla per riscaldarsi, o due pugili che simulano colpi morbidi fra loro, per provare attacco e difesa. Ecco, quel palleggio mi ricorda gli approcci fra politici di diverso orientamento che i giornalisti chiamano ‘prove di dialogo’. Insomma, nessuno forza il colpo, ma si tira in modo tale che l’avversario possa rispondere per provare i suoi colpi e provocare a sua volta un’ulteriore risposta che favorisca lo scambio.



Poi si entra nella gara, aperta e sorvegliata dai rispettivi ‘angoli’, occupati, soprattutto in Coppa Davis, da gruppi numerosi (la squadra al completo, gli allenatori, i tecnici, lo staff medico ecc. ecc.). Il pugno di trionfo, alzato dal giocatore dopo ogni punto, gli applausi di incoraggiamento del capitano della squadra, che impartisce consigli a ogni cambio di campo, sono pubblici e non feriscono l’altro, fanno parte di un rituale composito, dal sorteggio del campo e della prima battuta al cambio delle palle dopo un certo numero di games, dall’avvicendarsi di raccattapalle e giudici di linea, raro esempio di non persistenza in un ruolo per troppo tempo, all’attesa spasmodica e ritmata dall’applauso dell’occhio di falco, che sancisce tecnologicamente se un colpo dubbio è in o out, a volte per un millimetro, e allora si può solo imprecare contro la sfortuna, o ringraziarla.



Anche le contestazioni durano il tempo dello sfogo della rabbia, poi in qualche modo si stemperano e si passa oltre. Certo, si ricordano racchette fatte a pezzi e anche insulti all’arbitro, ma, come si dice, il fatto di ricordarle, facendo quei quattro o cinque nomi famosi di tennisti ‘violenti’, ne certifica la natura di eccezioni in un panorama per lo più molto corretto.



Per un giocatore di circolo come me, la possibilità di vedere che i colpi sono, sì, fortissimi, pensati, a volte impensabili, non li rende però ‘disumani’; ti fanno capire che, immaginandoli, potresti farne uno anche tu, anche se non con la stessa potenza e precisione. E, soprattutto, ti rendi conto che a volte i grandi campioni sbagliano come te, che quella pallina che ostinatamente non vuole superare la rete e ritorna sconsolata nella parte di campo sbagliata, potrebbe essere proprio come molte delle tue.



E allora, mentre si aspetta il match point, magari dopo un tie-break mozzafiato, come quello finale del doppio fra Canada e Cile, che ha dato la vittoria per 2 a 1 al Canada - facendo respirare la squadra italiana, poi passata contro la Svezia -, anche se vedi una bandiera cilena rimasta triste, solitaria y final, vedi intorno a te molta gioia, e non solo quella della squadra vincente e dei suoi tifosi. Certo, il doppio perdente si allontana sconsolato, ma gli applausi dagli spalti sono per tutti, e da parte di tutti. Posso testimoniare.



Valeva la pena, dunque, fare questa esperienza, ma mi sarebbe piaciuto anche incontrare Nicola Pietrangeli, Lea Pericoli e Adriano Panatta. Posso immaginare che loro, giustamente vadano a vedere (o commentare, come Panatta) solo la squadra italiana. In fondo, hanno già dato, e tanto, ai loro tifosi di sempre.

Press ESC to close