CHIANG RAI
TEMPLI
COLORI
E KITSCH

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Avevamo pensato bene di spezzare il lungo soggiorno di quindici giorni a Chiang Mai regalandocene tre a Chiang Rai, distante nemmeno duecento chilometri, tanto che una miriade di agenzie propongono un'escursione in giornata; un bel trottare, sbatacchiati e accatastati su pulmini stipati di backpackers. Noi, con quella necessità e quella disponibilità di prendercela calma che l'età ci regala, abbiamo optato per l' Autobus della Green Line. Costava un pochino di più ma era VIP, cosa che ci garantiva un micro bagno, che non si sa mai; utilizzarlo, avrei scoperto, ha messo alla prova il mio precario equilibrio e tutta la forza prensile del mio metacarpo. Ad attenderci, sul sedile, una stucchevole merendina al cioccolato, una bottiglietta d'acqua per mandarla giù e una salviettina rinfrescante; servizio che sul Freccia Rossa te lo scordi.


(Cena al Thai market - foto di Gianni Viviani)


La versione Vip significa anche quasi un'ora di percorrenza in meno; tre ore e venti in tutto, tra lunghi tratti di strada trafficati e tornanti. Questi ultimi nemmeno tanti, eppure, per qualche stomaco sensibile, pare sia stato come doppiare Capo Horn con mare forza 10. Non ci sono più i giovani di una volta. Il biglietto l'abbiamo comprato sul sito 12GoAsia, ovvero, e cito, il "miglior servizio di Budget Travel" per chi vuole spostarsi da A a B. E non solo in Thailandia. Un sito semplice e chiaro, con un ventaglio di alternative, coincidenze e tempistiche, alla portata di tutte le tasche. Una manosanta, che apre a nuovi orizzonti.


(Giardini pubblici)


Torniamo a Chiang Rai. Prima di cercare di raccontarla, che di per sé è presuntuoso, essendoci stati a malapena due giorni pieni, devo ricoprirmi il capo di cenere e confessare di essermi fatta contagiare dalla Chiang Rai POP, quella del Turismo a misura di Selfie, studiata per le quotidiane escursioni "toccata e fuga" di cui sopra, dove viene presentata in stile Gardaland. Eppure Chiang Rai, e lo dico con il rimpianto di sapere che non ci torneremo mai più, è molto di più del mio raccontino. Perciò cercherò di fare parziale ammenda citando, tra i siti che NON abbiamo visto, il Wat Phra Kaew, dove nel 1432, leggenda vuole, venne scoperto il cosidetto Buddha di Smeraldo - in realtà pare sia fatto di giada o di diaspro verde, devono ancora decidersi - una statuetta di circa 60 cm ricoperta d'oro, sacra e come tale itinerante nel tentativo di proteggerla, scolpita a Patna, in India, passata per Ceylon e Anghor Wat in Cambodia da dove è arrivata a Chiang Rai. Peccato che a Chiang Rai ne sia rimasta solo una copia: l'originale si trova all'interno del Gran Palazzo, a Bangkok. Così va il mondo..


(La Black house e i suoi arredi - foto di Manuela Cassarà)


Contagiata dal pop, mi ha incuriosito un' indicazione della Lonely Planet: l'Oub Kham Museum è una collezione privata di stranezze, tra il kitsch e il bizzarro. E, come vedremo, le stranezze non mancano in questa città. Vero che siamo in quel Golden Triangle che indica l'incontro tra Laos, Thailandia e Cambogia, un tempo famose per le intense coltivazioni di oppio, oggi solo un triangolo disegnato per terra (e ci fanno pure un'escursione!) che mi ricorda il Four Corners Monuments negli Stati Uniti, dove si incontrano Utah, New Mexico, Colorado e Arizona. Un' inutile curiosità che nei selfie fa la sua figura, a scapito di cose come, e piango per non averlo fatto, il Mae Fah Luang Art & Culture Park, che ospita una vasta collezione di manufatti Lanna. Dalle foto mi sembra un luogo, per aspetto e contenuti, molto affascinante. Questa, come la maggior parte dele attrazioni, si trova fuori città, perché niente è in "centro" a Chiang Rai,  perché  non esiste, un centro, a Chiang Rai che, nonostante sia stata fondata nella seconda metà del 1200, non ha una "old town".


(La Clock tower - foto di Manuela Cassarà)


Come punto di riferimento  viene data la Clock Tower, eretta nel 2005 in onore della Regina Sirikit, e realizzata in uno speciale materiale dorato; da allora, tre volte al giorno, alle 19, alle 20 e alle 21, per dieci minuti, puntuale come un orologio,  mette in scena un mini spettacolo di  son et lumière.  La Clock Tower si trova  al centro di una  trafficata rotatoria, non lontano dal Night Market, altro elemento pop per cui la città è famosa, ma non aspettatevi troppo, è poca cosa a confronto di quello di Chiang Mai. Ma arriviamo al dunque  e iniziamo dal nostro inizio, il White Temple.


(Capitan America al White Temple - foto di Manuela Cassarà)


Nonostante il nome Wat Rhong Khun, il White Temple secondo me fa solo finta di essere un tempio. Originariamente lo era, ma stava andando a pezzi.   A salvarlo e a restaurarlo fino a cambiargli i connotati c'è voluto un artista, Chalermachai Kositpipat, mitomane al punto da finanziarlo di tasca propria e pure, pare, di metterci le mani per realizzarlo. Aperto al pubblico nel 1997 per essere, nelle iniziali intenzioni, centro d'introspezione e meditazione, nella sostanza è diventato una macchina per far soldi che attira decine di centinaia di visitatori al giorno,  per un modico biglietto d'ingresso. Un luogo di luce, illuminato da miliardi di specchietti decorativi, con rampanti serpentoni e dragoni a creare onde sinuose, uno scenografico parco di divertimenti, composto da diversi edifici, alcuni dorati come le regali toilette che valgono una visita, non necessariamente per bisogno.


(The White temple - foto di Gianni Viviani)


All'interno del tempio una serie di affreschi apocalittici mischiano l'iconografia tradizionale con le figure di Michael Jackson, Neo di Matrix, Terminator, Harry Potter, Freddy Krueger e, per non farci mancare nulla, c'è anche Hello Kitty. In giardino, qua e là, inspiegabili maschere di mostri, di Capitan America e dell'incredibile Hulk, penzolano tra i rami degli alberi. Non è un bel vedere. Il sospetto che all'artista sia partita la brocca mi pare legittimo. Per raggiungere il tempio principale, poi, bisogna percorrere un ponticello sotto il quale si alzano migliaia di mani di gesso, come pronte a ghermire il terrorizzato passante, a simbolizzare quei desideri che zavorrano l'animo umano. Tra le attrazioni più serene, delle fotogeniche carpe che,  paciose,  girano in tondo nel piccolo laghetto. Un paio di gallerie d'arte espongono i quadri dell'artista, tradotti in abbordabili souvenirs, magliette, cuscini, cartoline e magnetini, da cui il sospetto che il tempio, da luogo di culto, sia diventato un culto della personalità.


(I Lalita gardens, foto di Manuela Cassarà)


Come quasi tutto a Chiang Rai, il White Temple si trova a una quindicina di km fuori città, non lontano dal Grande Buddha che si staglia imponente, sopra l'assolata, verticale scalinata, e da un'altra attrazione per amatori, i Lalita Gardens: un coffee shop immerso tra i vapori delle cascatelle artificiali, circondato da un giardino tropicale e corredato con statue di alate fanciulle, prese a prestito dalle fate delle nostre fiabe. Sessanta bath per entrare, che poi, se si consuma nella caffetteria, vengono detratti dal conto. Se non avete ancora sette anni, ve lo consiglio. Se invece vi piacciono le emozioni dark cito ma senza dilungarmi, il Baan Sam Museum, o Black House, un altro complesso di svariati edifici, addirittura una quarantina, e un altro strippo di un altro artista narcisista, Thawan Duchanee, pittore collezionista di falli, di teste e corna di bufalo, di enormi, pelli di coccodrillo, che il signore usa come centrotavola su grandi tavoli di teak.A me il posto ha divertito, al beneamato meno. Poi non dite di non essere stati avvertiti.


(In preghiera al Blue temple - foto di Gianni Viviani)


Concludo con una nota celestiale, il Blue Temple che, strano a dirsi, è in città. Se proprio vogliamo trovargli un difetto, lo trovo forse troppo perfetto, in quella sua celestiale e decorativa perfezione, Bollywoodiana quasi. Forse che a Chiang Rai - magari sono  stati davvero tutti quegli effluvi di oppio nelle vicinanze - non riescano a fare niente che non sia eccessivo?

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