POLITICUS.
Il neoliberismo
e l'ora di agire

Se togliamo l’ideologia (o l’idealità, per meglio dire) dalla Politica, le rimangono solo gli altri due vertici del triangolo su cui si poggia: il consenso ed il potere.
Problema: il triangolo della politica risulta stabile solo se tutti e tre i suoi vertici appoggiano su uno stesso piano. Altrimenti il triangolo, incernierato su due soli punti, diventa la banderuola che gira vorticosamente con il vento che tira, e genera una infinità di piani, tutti fallaci.

Questa elementare verità è entrata in crisi in Occidente con il crollo del muro di Berlino, anno 1989.

muro berlino

Ma vi sono due date immediatamente precedenti che di questa crisi costituiscono il fondamento: 1968 e, subito dopo, 1973.

Nella politica mondiale, ma anche nella vita pratica che ciascuno di noi conduce, attivamente o passivamente, questa tripletta è diventata a mio avviso di fondamentale importanza.

Parliamone.

Parliamone, perché è venuto molto probabilmente il momento di rimboccarsi le maniche e agire, come abbiamo spiegato anche nel nostro precedente articolo. Che ci piaccia o no.

intermezzo

Partiamo da noi stessi, e dalle nostre convinzioni personali. O, come si dice oggi, dalla nostra “opinione”.

Noi tutti viviamo, costantemente e necessariamente, con un certo assetto mentale, che ci guida nel fare tutto ciò che facciamo. La nostra mente elabora un sistema di valori, tutti inter-correlati fra loro, e tutti con un loro peso diverso, nel nostro sistema di vita interiore.

Quando uso la parola “assetto” intendo qualcosa di simile a quello che intendiamo quando diciamo che un esercito è in “assetto di guerra”. Vale a dire, quella predisposizione operativa che poi ci porterà all’azione, ad agire in questo o in quell’altro modo, o nel loro opposto, dipende da come abbiamo orchestrato la nostra forma mentale (forma mentis) e la nostra conseguente forma di vita.

Che correggiamo continuamente. Che modifichiamo a seconda di ciò che sentiamo, che capiamo, che ci viene detto. E che, in ultima analisi, costituisce la nostra “opinione”, ciò che crediamo e teniamo per vero.

che faro

Diciamola in maniera più semplice: quando i parenti chiedono ad un bambino o a una bambina “che cosa vorresti fare da grande?” stanno dicendo la stessa cosa che ho scritto in paroloni nel paragrafo precedente. Alla risposta “da grande voglio fare il pilota”, oppure “il medico”, o ancora “l’astronauta” o “da grande voglio fare l’attrice”, o “la influencer”, o “la Presidente del Consiglio dei Ministri” capiamo che se quella battuta infantile dovesse diventare un vero progetto di vita il pargolo dovrebbe creare un assetto mentale specifico ed intraprendere dei passi precisi nel suo percorso di vita, per conseguire i suoi scopi. Per ottenere la “forma di vita” che desiderava da piccolo.

Perché questa piccola digressione?
Perché ciò che abbiamo chiamato “assetto mentale”, o “mindset”, costituisce la nostra “idealità”. Detto al peggiorativo, la nostra “ideologia”. Senza questo assetto mentale, questa "ideologia", l’essere umano semplicemente non esiste. Senza questa “idealità”, del tutto astratta e perfino arbitraria, l’essere umano decade al rango di bipede implume, di entità vitale al carbonio antropomorfa, senza alcuno scopo o finalità che gli diano un valore. Un corpo acefalo. Una vita e basta.

Quindi, il cosiddetto “crollo delle ideologie”, che ha imitato e fatto da specchio al crollo del famigerato Muro di Berlino, va analizzato molto meglio. Per il semplice motivo che l’ideologia, o l’idealità, non crolla.

Vediamo cosa è successo con il crollo del Muro di Berlino nelle menti dei singoli, e a livello politico generale.

J.F.Kennedy davanti al Muro: "Ich bin ein Berliner"

Chi di noi aveva quell’assetto mentale, basato su un sistema di valori che aveva chiamato fino a quel momento “comunismo” (schematicamente: marxismo, leninismo, patriarcato, lotta di classe, centralismo democratico e finanche dittatura del proletariato come colonne portanti) con il crollo del Muro ha compreso ― suo malgrado ― che quell’ideologia aveva coperto nefandezze orribili e che, cosa peggiore, in un attimo si era dissolta nel nulla. Lasciandolo orfano e nudo.

Quei valori non funzionavano più, e chi si era professato comunista (del primo tipo) doveva levare peso e importanza a certi suoi valori interiori (che aveva precedentemente considerato i pilastri della propria esistenza), e spostarli su altri valori che prima erano negletti e sottovalutati.

bolognina

Un enorme scompenso mentale, per milioni di persone. Per molti una abiura. Incluse quelle persone che non hanno retto alla “botta”. Ricordiamo tutti il percorso fatto dal Partito Comunista Italiano, la svolta di Occhetto della Bolognina, l’orgoglio di sentirsi “comunista, diverso e superiore” a tutti gli altri, uno stendardo nella polvere: l’orgoglio che si trasformava in pregiudizio, il pregiudizio in vergogna per aver coperto la Cortina di Ferro.

Un cambiamento delle condizioni generali e globali aveva costretto milioni di persone a cambiare la propria “opinione”. E anche la propria esistenza.

Ma senza quella idealità, senza quell’assetto mentale che motivava i suoi milioni di iscritti e militanti, il Partito non aveva più alcuna ragione di esistere. Il Partito Democratico, per molti aspetti figlio (legittimo o meno) del PCI, è diventato, a me pare, una macchina a caccia di consensi, finalizzato alla gestione del potere per il potere. Senza alcuna organizzazione degli scopi comuni. E finanche senza alcuna organizzazione interna, come aveva rilevato una indagine di Fabrizio Barca che - chissà - deve essergli costata la carriera politica.

L’idealità su cui andava basata l’adesione matura e ragionata all’ideale “comunista”, non elaborata e non sviluppata dai suoi partecipanti come sistema di valori personale, ma importata invece come un dogma, una “ricetta” o una formula bell’e fatta (il partito-chiesa), era andata in frantumi. Quella “ideologia”, non più un sistema “ideale” di sviluppo, era crollata.

Come nel 1945 erano crollati il “nazismo” ed il “fascismo”, come universi di valore progressivi. Lasciate perdere i tardigradi ed i nostalgici: quelli finiscono rapidamente nelle fauci della storia spazzina. Sono residuati bellici. Anche se vanno al governo.

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E qui facciamo un passo indietro, al 1968. Per gli Usa, vale qualche anno in meno, il 1966.
In tutto il mondo i ragazzi si ribellano. Ma che succede?

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Succede che quei “pacchetti prescrittivi” di ideologie, quei mindset che avevano costituito la forma di educazione e di sviluppo mentale per generazioni, non funzionano più, si vanno a schiantare contro nuove “idee” e una rinnovata capacità di vedere il mondo nella sua realtà. Per i ragazzi americani è la guerra del Vietnam, la pace. In Europa è più complicato, c'è il residuo del fascismo e del nazismo che permea le istituzioni e le mentalità. Dall'altra parte del muro c'è l'URSS che opprime tutto e tutti. È famoso l'episodio di un giovane cecoslovacco, Jan Palach, che per protesta contro l'invasione dell'URSS il 16 gennaio 1969 si diede fuoco a Piazza San Venceslao, in centro a Praga.

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Succede anche che l’istruzione è diventata di massa, e succede che la cultura (che è il principale strumento del potere mentale) era stata messa improvvidamente a disposizione di larghi strati della popolazione giovanile occidentale. Ed in parte anche orientale. E con essa, una enorme quantità di idee e di possibilità di costruire il proprio mindset, fuori e contro le “ideologie” preesistenti, che costringevano le precedenti generazioni entro rigidi schemi d controllo. Ora divenuti "insopportabili".

anni 70
I ribelli degli anni 70 volevano di più

L’ideologia di tipo “capitalistico” o di tipo “comunista”, o di tipo “fascista” e “nazista”, non funzionavano più. I ragazzi non volevano più costringersi a aderire a un qualcosa che sentivano estraneo e contrario alle loro aspirazioni di libertà, di novità, di solidarietà reciproca, di valorizzazione dell’esperienza umana. Di felicità, anche. Ripeto: fe-li-ci-tà. Un termine non previsto nemmeno nella nostra bellissima Costituzione.

I ragazzi non stavano più al gioco. Volevano altro.

Le ragazze non stavano più al gioco, volevano una vita diversa, “altra”.

femminismo comunista

Non più il femminismo storico, quello della “emancipazione” delle donne del PCI, con la parità di diritti e di doveri, di remunerazione e di rispetto. Roba vecchia. Il minimo sindacale, spesso usato meschinamente. Volevano anche loro riscoprire il proprio corpo, perimetrato come un campo di battaglia, o un lager, e volevano riscoprire il piacere, la libido, la loro sessualità. Volevano libertà nel loro mindset.

nuovo femminismo

Una enorme forza dirompente, che ha letteralmente terrorizzato i “benpensanti”.

Questo improvviso desiderio di “libertà individuale”, ed anche libertà nei costumi di vita, libertà sessuale, libertà dalla “moda” ― un cui sintomo fu tra gli altri una trascuratezza del modo di vestirsi e di curare la propria persona ― colse tutti impreparati.

Perché le masse non devono essere libere, altrimenti quel loro “mondo” scoppia.

Il mondo deve essere guidato dalle persone che hanno un altro assetto mentale, e che lo condividono trasversalmente, io credo, al di là delle ideologie, delle economie e delle religioni. Anche al di là ed oltre il rispetto delle leggi, della legalità, del diritto privato ed internazionale. Gente che vive nel mondo diviso in due, che rispetta gli accordi di Yalta. Anche quando Yalta è finita.

Il Partito Comunista Italiano, come i principali partiti comunisti dell’Occidente, si contrappose alla ventata ribellistica giovanile. Non la potevano capire, e non la capirono. I ragazzi del '68 non facevano parte del loro stesso “album di famiglia”, non erano “classe operaia”, erano i figli della borghesia. Ed andavano combattuti due volte, perché una corposa vena di libertarismo che presero i ragazzi europei, soprattutto quelli italiani, vide nel binomio “comunismo & libertà” una chiave di interpretazione eccellente per tutto quello che stava accadendo in quel periodo.

anni 70
17 febbraio 1977: Luciamo Lama, leader comunista e sindacale, viene aggredito e cacciato dall'Università di Roma

Erano “comunisti” del secondo, o del terzo tipo. Gioiosi e libertari. Imprevedibili. Disallineati. Indiani metropolitani.

Pier Paolo Pasolini

Un poeta come Pier Paolo Pasolini vi si contrappose platealmente, proclamandosi in una famosa poesia dalla parte dei celerini e dei poliziotti che erano, secondo lui, figli del popolo, contro i figli della borghesia che li picchiavano. Lui che voleva tornare ai valori contadini e localistici, alle piccole buone cose, chiare e splendenti, dell’avito orticello. Poi si è ricreduto.

Comunismo & libertà, certo. Perché quello che conoscevano quei ragazzi sessantottini non era il socialismo reale, come accadeva per i ragazzi d’oltre cortina, come quelli ungheresi e cecoslovacchi, subito repressi nel sangue dall’Impero Comunista del Male. Conoscevano il capitalismo consumistico, che stava trasformando la classe operaia nel coacervo indefinibile dei “consumatori”, ed i consumatori nella merce più ghiotto per le nuove tecnologie dei “BIG DATA”. Il lavoro essendo migrato tutto, con il più grande spostamento che l’umanità ricordi, da Ovest verso Est.

Per chi invece doveva assicurare le “magnifiche sorti e progressive” del sistema totalizzante capitalistico ― così screditato presso i giovani e i cui valori erano stati privati di attrattiva nelle menti delle nuove generazioni ― ci voleva un ripresa, un ritorno alla carica, un suono di tromba che risvegliasse gli istinti primari della specie umana su cui si fonda, con un surplus che consentisse di riguadagnare il tempo perduto.

Detto in altre parole l’istinto di possesso, che fa parte delle forze mentali elementari della nostra specie, soprattutto nell’infanzia, diventa nella battaglia ideale il “diritto di proprietà” su cui si fonda la società capitalistica. Messo in crisi e “svalorizzato“ dai ragazzi della ribellione del ’68, ritorna sulla scena, potenziato a dismisura, come “ingordigia” senza regole (“Arricchitevi! A qualsiasi costo!”), nella nuova versione del capitalismo post-ribellione.

E così anche gli altri valori del mindset capitalistico, nessuno escluso: furono esacerbati per penetrare maggiormente in profondità, nella nuova versione che ha assunto il nome di “neoliberismo”.

Quando è intervenuto il neoliberismo sulla scena mondiale?

11 settembre 1973: Augusto Pinochet, capo di stato maggiore, da inizio al Golpe cileno

E qui siamo all’ultima data, l’11 settembre 1973. Data cruciale, ed emblematica.

Tutti sanno che in quel giorno il Cile, lontanissima repubblica sudamericana con presidente un socialista rivoluzionario, Salvador Allende, vide l’attuazione di un Colpo di Stato, un “golpe” di Augusto Pinochet, durante il quale le forze di “sicurezza” dello Stato da lui guidate, bombardarono il Palazzo Presidenziale, simbolo della democrazia (la Casa Rosada) uccidendo il presidente, deportando i militanti della sinistra in stadi di calcio trasformati in campi di concentramento, facendone sparire a migliaia (desaparecidos) e stravolgendo la Costituzione, abolendo le regole e dando vita ad un esperimento di quella nuova ideologia neocapitalista.

11 settembre 1973: il terrore parte dal Cile

Perché il Cile? Perché fu quello il laboratorio sperimentale deve venne messa a punto l’ideologia e la pratica economica e governativa che doveva spazzare via il ribellismo giovanile e femminile, che aveva stregato la mente di milioni di ragazzi americani ed europei. Una ventata di terrore, un segnale chiarissimo, indirizzato contro tutti coloro che volevano opporsi al neocapitalismo illiberale.

Berlinguer

In quei giorni il PCI diede indicazione ai propri dirigenti di dormire fuori casa, di non farsi trovare. Tanto per dire il clima che generò. Impaurito, e forse conscio che il mondo era cambiato e tirava un'aria bruttissima, Enrico Berlinguer elaborò a sorpresa la proposta del “compromesso storico”. Un tentativo in extremis di evitare l'ondata brutale. E scusate se è poco.

La ventata di terrore vide sorgere ed affermarsi in tutto il mondo un termine, una idea, un valore, sotto il quale si è era ficcata la nuova ideologia: la “sicurezza”.

Sulla sicurezza non si discute. Fine delle assemblee.

Se oggi andate a vedere quanti fatti e misfatti si commettono sotto la bandiera della “SICUREZZA”, rimarrete sbalorditi voi stessi. Fate la prova, e poi ne riparliamo.

Per attuare la “sicurezza”, non vanno più seguite le regole democratiche, ma va attuata l’illegalità perché il fine giustifica tutti i mezzi. Quindi le regole vanno abbandonate. Fra gli applausi della popolazione impaurita ad arte.

Se ci pensiamo, è accaduto esattamente questo. E chi si contrappone merita il massimo della pena. Come Julian Assange, che da giornalista che ha scoperto le carte segrete, e che oggi rischia la vita.

I famigerati "Chicago Boys"

La “deregulation” di Ronald Reagan in Usa, elaborata dai cosiddetti “Chicago Boys” che controllavano direttamente i ministeri chiave dell’economia cilena della giunta golpista di Pinochet, e dalla Sig.ra Margareth Thatcher in Europa, hanno ridotto in briciole l’idea, fino ad allora imperante, del “welfare” ― il benessere, la copertura assistenziale, media e sociale assicurata a tutti i cittadini ― trasformandola nella lotta fra i “ricchi” (pochissimi) ed i “poveri” (sempre di più, col lavoro emigrato ad Est fra gli schiavi cinesi). Poveri per colpa loro, perché nel momento dell’”arricchitevi!” generalizzato erano rimasti sul divano a guardare le serie televisive. Questa è la vulgata neoliberista.

Avete presente la storiella che comincia con “Ogni mattina nella savana un leone e una gazzella si svegliano e cominciano a correre…”? Ecco. La società è diventata quella savana, i cittadini sono diventati, in quella visione, o prede o predatori. Tertium non datur. Questo è il neoliberismo, bellezza! Vatti a rivedere il Cile di Pinochet, e lo capisci perfettamente.

La ribellione giovanile alle regole delle precedenti generazioni è quindi stata utilizzata come Cavallo di Troia dal neoliberismo nascente, per spezzare via e eliminare tutte le regole che impedivano il dilagare della nuova e brutale ideologia, tutti i lacci e i lacciuoli che impedivano l’uso della forza bruta, e del terrorismo di stato, contro i diritti dei cittadini inermi che ancora non avevano capito con cosa avevano a che fare. Che impedivano le speculazioni bancarie e di borsa, che mettevano in sicurezza i risparmi e gli investimenti. Che mantenevano una industria pubblica di stato, ed una fitta rete di partecipazioni statali per una produzione regolata. Cosa che divenne un tabu, e via a privatizzazioni.

E per creare un nuovo mercato, giovanilistico, del lusso, del piacere, del modello televisivo e del suo surrogato di borgata o da supermercato. Da Amazon.

Terroristi islamisti

Abbiamo assistito all’escalation del terrorismo, che guarda caso reclamava un sovrappiù di “sicurezza”, un sovrappiù di "controllo", per le società che ne erano affette. Cioè tutte. Un terrorismo senza idee, per il terrorismo. Meglio se religioso. Meglio ancora se islamista.

Il tutto abbinato a una valanga di serie televisive nelle quali i nostri eroi erano oramai gli agenti della CIA, una volta temuti e disprezzati: solo qualche anno prima la CIA era vista da tutti i ragazzi ribelli come l’origine del male, il braccio armato invisibile del capitalismo imperialista degli Usa.

E siamo arrivati ad oggi.

Stiamo ancora qui a combattere per la “sicurezza” globale, e senza badare a spese. Con segreti di stato, spioni, servizi segreti dappertutto, e guerre in ascesa.

Il “welfare” è diventato un termine tabù, come anche il “comunismo”: ci viene un senso di nausea, di fastidio al solo sentirli nominare. Come nel film Arancia Meccanica, dopo che Max ha ricevuto le cure psicologiche rieducative, gli viene la nausea al solo pensare alla violenza. Di “ideologia” neanche più mezza. Per il “nazionalismo” e per il “personalismo” invece, se ne può discutere, forse non sono poi così male. Comunque, meglio quelli della “globalizzazione”...

La verità, io credo, è invece che l’ideologia c’è, c’è sempre stata, ci sarà sempre, e guida e governa le menti umane.

Ma se dite che non c’è e non ci deve essere, perché quella è “il male”, sarà più facile relegare ciascuno nella propria “opinione personale”, la cui somma generale diventa l’”opinione pubblica”, e manovrarla a piacimento.

Come ci ricordava Socrate, l’Opinione (Doxa) è il male, non è la Verità (A-Letheia, con l’alfa privativo), ma normalmente è il suo contrario, la Falsità. L’errore. Il frastornamento. In cui viviamo perennemente. E tutti vogliono sapere le nostre opinioni, per capire cosa voteremo.

Oggi sentiamo allegramente dire alla nostra Presidente del Consiglio dei Ministri, on. Giorgia Meloni, una frase come questa, parlando di una sua “rivoluzione” (sic!):

La Presidente del Consiglio, On. Giorgia Meloni, nel suo messaggio diretto al popolo

“Questa riforma non serve a qualcuno ma a tutti, e lo sanno anche quelli che per calcolo politico la stanno osteggiando, senza però offrire argomenti seri, perché certo non possono dire la verità. Che si sono cioè abituati a governare perdendo le elezioni che vogliono continuare a fare così anche in futuro. Voi cosa volete fare, volete contare e decidere o stare a guardare mentre i partiti decidono per voi? Questa è la domanda che faremo se sarà necessario e quando sarà necessario”.

In politica, secondo me, una cosa del genere potrebbe definirsi anche “annuncio di colpo di stato”.
I Partiti governano senza vincere le elezioni, e decidono contro il volere dei cittadini? Facciamoli fuori. E voi popolo, se sarà necessario ― qualora io non ce la faccia da sola ― verrete chiamati a darmi una mano plebiscitariamente, per fare fuori i partiti.

Ecco perché credo che sia proprio giunto il momento, per gli “uomini di sane idee e di buona volontà” di rimboccarsi le maniche.

E di ricreare una idealità, quella deprecata “ideologia”, senza la quale non è possibile mettere insieme uomini liberi, non è possibile creare e strutturare una organizzazione, che si basi sul quel famoso "triangolo politico".