Dei verbali delle intercettazioni telefoniche colpisce sempre la leggerezza con cui anche manager e politici navigati dicono cose che potrebbero al massimo sussurrare nello studio del proprio avvocato. Anni di estati passate a leggere conversazioni registrate da carabinieri e magistrati (si sa che gli editori le usano principalmente per riempire le pagine dei giornali ad agosto quando le notizie languono) e niente… al telefono, ancora oggi, non si tiene nessuno. E quando anche qualcuno prova a mostrarsi consapevole lo fa utilizzando frasi in codice di una semplicità disarmante, comprensibili a chiunque, e comunque dimenticando sempre che pure la sola traccia di contatti telefonici tra determinati soggetti può essere di per sé un fatto compromettente.
Ma quello che abbiamo visto negli ultimi giorni con l’inchiesta della procura milanese sulle investigazioni della società Equalize è un salto ulteriore verso l’abisso della pochezza umana al cospetto della tecnologia digitale. Il tema non è solo la diffusione dei reati informatici, a colpire è proprio la moltiplicazione di personalità che il mondo della rete sembra riuscire a provocare negli utenti che, come personaggi del manga Dragon Ball, si trasformano all’occorrenza assumendo nuovi devastanti poteri: l’incontinenza verbale, l’ottusità, la cattiveria, la maleducazione, la prepotenza, il delirio di onnipotenza.
Se in un consesso pubblico pensiamo un attimo prima di ammorbare la gente sulle nostre vacanze, la nostra dieta, i nostri gusti musicali, le pagelle dei figli e la preferenza per cani o gatti, su Facebook non abbiamo alcuna remora, pubblicando persino numeri di cellulare e indirizzi di posta elettronica. Se a una conferenza non ci azzarderemmo a dare del cretino o dell’ignorante a un relatore, via social sappiamo fare ben di peggio arrivando a commettere reati passibili di segnalazioni alla polizia postale e conseguenze giudiziarie. Allo stesso modo se prima di andare in un’agenzia di investigazioni a dare un lauto anticipo spese per fare inseguire il/la proprio/a partner o collega ci pensiamo parecchio, usare un programmino che consenta di catturare informazioni da computer e cellulare viene assai facile.
È come se nel mondo digitale valessero regole differenti. E princìpi. Perché a leggere gli articoli usciti sulla vicenda milanese, pur essendo tutti noi cittadini di un paese che del dossieraggio ha storicamente fatto un’arte, non possiamo non notare che le possibilità offerte dal digitale ci spingono a superare ogni barriera. Una volta assoldato un hacker, non esistono più limiti invalicabili. Si indaga sull’ex fidanzata come sui familiari, i concorrenti, gli avversari politici, i compagni di partito, i personaggi del mondo dello spettacolo e persino le ‘ndrine calabresi. Non esistono proporzioni tra la motivazione e il reato commesso (e di conseguenza la pena che si rischia). Si entra nella mail del Quirinale o negli archivi delle forze dell’ordine e dei servizi segreti come fosse la chat del condominio. Non esiste la disciplina. Si parla troppo, ci si agita troppo e ci si vanta troppo.
Il panorama del cybercrime, ovvero dei crimini commessi grazie all’utilizzo di tecnologie informatiche o telematiche, è allarmante. La legge 547 del 1993, che li disciplina, li suddivide in frode informatica, accesso abusivo a un sistema informatico o telematico, detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici e telematici, diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema. E sono tutti in crescita.
Secondo il rapporto Clusit 2024 dell’Associazione italiana per la sicurezza informatica, lo scorso anno è andato a segno l’11% degli attacchi gravi globali (era il 7,6% nel 2022), per un totale di 310 attacchi. Sembrano pochi, ma sono aumentati del 65% rispetto al 2022 e si calcola che oltre la metà degli attacchi – il 56% – abbia avuto conseguenze gravi. Allargando lo sguardo agli ultimi cinque anni, emerge che oltre il 47% degli attacchi totali censiti in Italia dal 2019 si è verificato nel 2023. Naturalmente stiamo parlando solo della punta dell’iceberg considerato che molte vittime non denunciano o mantengono riservati dettagli degli attacchi subiti e che in alcune zone del mondo dove operano i cybercriminali accedere alle informazioni è molto difficile.
In futuro non si può che peggiorare quindi. E questo impressionante fenomeno di infantilizzazione del crimine (gli hacker sono spesso ragazzini) e degli atteggiamenti dei mandanti, che sembrano preadolescenti incapaci di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, presto farà i conti con l’intelligenza artificiale. Che ci auguriamo sappia mostrarsi più adulta e responsabile. Perché come diceva Carlo Maria Cipolla nel saggio “Le leggi fondamentali della stupidità umana”: “Una persona stupida è più pericolosa di un bandito”.