Quello che è successo a partire dalla notte tra domenica 24 e lunedì 25 novembre al quartiere Corvetto di Milano è qualcosa di molto serio e preoccupante. In seguito alla morte di un ragazzo di 19 anni, Ramy Elgaml, durante un inseguimento con una pattuglia di carabinieri, gli animi si sono surriscaldati. Intorno a piazzale Corvetto, periferia sud est della città, un presidio, anche grazie a TikTok, si è trasformato in manifestazioni di protesta con lanci di bottiglie, di petardi fumogeni e roghi che si sono susseguite per tre notti consecutive. È stato dato fuoco anche a un autobus del servizio pubblico di trasporti.
A colpire, più che l’evento in sé, è la reazione dell’opinione pubblica milanese, o meglio di quel mondo dell’informazione che il pubblico sentire dovrebbe insieme raccontare e formare. Ecco i titoli. “Milano, Il quartiere Corvetto messo a ferro e fuoco” (Il Fatto Quotidiano), “Notte di fuoco al Corvetto” (Milano Today), “Guerriglia nella notte al Corvetto” (Il Giorno), “La rivolta del Corvetto” (Corriere della Sera). Seguiti poi dai titoli commento nei giorni successivi. “Corvetto come le banlieue: altra notte di scontri a Milano per la morte di Ramy Elgaml, inseguito dai carabinieri” (L’Unità), “ 'Verità per Ramy'. Corvetto banlieue milanese, la rivolta della seconda generazione” (HuffPost Italia), “Il Corvetto come le banlieue, Fontana: 'È molto preoccupante' ” (Il Nordest Quotidiano).
Ci è voluto l’arcivescovo di Milano a riportare tutti alla ragione. In una bella intervista a Repubblica, monsignor Mario Delpini ha spiegato: "La risonanza mediatica finisce per catalizzare il gusto per la catastrofe, piuttosto che l’interpretazione sincera della realtà… Ci vorrebbe una lettura più penetrante e costruttiva". E ha aggiunto: "È un malessere che non classificherei in modo superficiale, accostandolo a quello delle banlieue francesi. Invece che procedere per stereotipi, bisognerebbe andarci a parlare con questi ragazzi e con i loro famigliari, ascoltarli, come fanno la Caritas e i servizi sociali pubblici"». Dal giorno dopo, tutti a scacciare il pensiero delle banlieue, a partire dal ministro dell’interno Piantedosi che a Milano si è precipitato promettendo come al solito più militari in giro per le strade “rinforzi ormai imminenti” e dimenticandosi ovviamente del resto del ragionamento dell’arcivescovo: "Quel che rende sicura una città non è che ci siano le porte blindate sulle case o che ci siano i militari per strada. Serve stabilire relazioni fra persone che si rispettano e che cercano di capirsi, perché non sempre effettivamente è facile farlo. Ma io credo che studiare assieme, pregare assieme, giocare assieme e cantare assieme siano modi per creare quel senso di appartenenza che è poi il segreto per rispettare la propria casa, la propria strada, il proprio quartiere".
Ma tant’è, questa resta la narrazione (parola assai cara ai milanesi adepti della smart city e della città più vivibile d’Italia) di Milano. Come un riflesso condizionato, anche di fronte alla tragicità di un evento – è morto un ragazzo di 19 anni – e alla serietà della situazione, occorre trovare una somiglianza con qualche capitale straniera, per definizione più bella e migliore. E così pure nella disgrazia la periferia di Milano deve essere come minimo come quella di Parigi. Non c’è gerarchia, modulazione, differenza alcuna nell’assurda pratica di rinominare la città e i suoi fenomeni scimmiottando gli stranieri. Il quartiere a nord di Loreto diventa NoLo come TriBeCa a New York (Triangle Below Canal street). La similitudine è tale nella testa degli addetti all’informazione che il semplicissimo acronimo di Nord Loreto viene spiegato come North of Loreto, un posto fighissimo dove sono miracolosamente scomparsi tutti i problemi di integrazione (proprio qui dove c’è anche via Padova, un tempo la madre di tutte le questioni legate all’immigrazione in Italia).
Allo stesso modo una piccola piazza in prossimità dei binari della stazione centrale, piazza Morbegno, vede aprire tre bar e diventa la Brooklyn milanese. Il gioco delle sigle prosegue inesauribile con invenzioni esilaranti: NaPa (Naviglio pavese), NoCe (Nord Cenisio o, meglio, North of Cenisio), poi c’è SouPra (South Prada, a sud della Fondazione Prada), GiaLo (Giambellino e Lorenteggio), ViPreGo (Villa, Precotto, Gorla), NoIs (Nord Isola o North of Isola, ça va sans dire). Dopo quello che è successo in via Quaranta al Corvetto, citare a vanvera le banlieue parigine allo stesso modo con cui si paragona un quartiere di New York ritenuto fighissimo a una periferia milanese banalmente gentrificata fa male prima di tutto al giornalismo. Rende ridicoli e non aiuta nessuno.