UMBRIA
VERDI SENTERI
TRA PASSIGNANO
E LE MARMORE

“Quando vado in pensione…” Sono le parole famose - speriamo non proprio le ultime - con cui prima o poi tutti ammicchiamo alla libertà di dedicarci, a tempo pieno ma senza stress, a quei progetti, passioni, hobbies che la schiavitù di orari e doveri pare limitare o addirittura impedire.

I miei erano, più o meno in quest’ordine: 1) Scrivere tanto, racconti, romanzi, articoli, al limite persino poesie 2) Viaggiare, e magari fare proprio quei viaggi esotici, fuori dagli itinerari turistici, che richiedono preparazione, anche di qualche mese 3) Camminare, e qui il sogno resta il Cammino di Santiago 4) Studiare la chitarra, che al momento suono, come la Caterina della canzone di De Gregori, “veramente molto male” 4) Imparare ad andare in barca a vela 5) Patrocinare giusto qualche causa come libero professionista, così tanto per tenermi in allenamento.


(Le fonti del Clitunno)


Nella pratica in due anni e mezzo non ho fatto nulla di tutto questo: mi fermo a due racconti brevi pubblicati in antologie, due vacanze estive funestate dalla perdita di persone care, un po’ di palestra con l’assistenza del trainer per paura di farmi male, molto calcio (col Napoli estasi e tormento) e molti film dal divano. Così a memoria, direi nient’altro.

Per Pasqua avevo una gran voglia di fuga, terrorizzato com’ero dalla solita invasione turistica del posto in cui vivo, che avrebbe avuto come conseguenza la mia volontaria segregazione in casa. Il figlio in Giappone con gli amici, i gatti affidabili alla cognata, la figlia stranamente disponibile e libera da impegni, nonostante il giorno di Pasqua coincidesse col suo compleanno, hanno consentito l’approvazione della mia proposta di una breve vacanza in Umbria.

Preannunciamo una visita a Bruno, il cugino di Mujer che abita a Passignano e lui, ça va sans dire, ci invita a trascorrere il giorno di Pasqua a casa sua. Preparo una pastiera da mangiare con i cugini, ricetta DOC della bisnonna Ermelinda con zucchero rosso e cioccolato, compro un po’ di caciocavalli di pasta di treccia e pasta di provola, quelli che a Napoli chiamano “’e bebè ’e Surriento”, e mi predispongo ad affrontare la trasferta.


(La Nera)


Io e Mujer partiamo in auto da Sorrento verso le nove di venerdì Santo e siamo a Roma a casa di mia figlia intorno all’una. Sosta pranzo e ripartiamo tutti insieme, Mujer, Benedetta, Simone (il ragazzo di mia figlia) e io. Villa Rurale a Campello sul Clitunno è la destinazione scelta on line sul portale di prenotazioni. È una zona dalla quale manchiamo da molti anni. Simone non ci è mai stato e Benedetta era bambina e non ricorda nulla.

Arriviamo verso le diciassette. Il marito della proprietaria insiste per accompagnarci perché – dice – il navigatore potrebbe portarci su una strada non carrabile e metterci in difficoltà. Saliamo la collina per una decina di minuti seguendo la piccola auto che ci fa da apripista, poi deviamo a sinistra e cominciamo a pregare di non incontrare auto che vengano in senso contrario, tanto è stretto e solitario l’ultimo tratto. Arriviamo a uno slargo sul quale si affacciano tre casolari. Poco più in alto le mura di un castello, o un monastero, non riusciamo a capire. Per gli ultimi cento metri trasferiamo i bagagli nell’auto della nostra guida e proseguiamo a piedi: la mia macchina è troppo lunga per girare vicino alla casa.


La cascata delle Marmore


La casa è grande e non manca del necessario. Rustica, ben riscaldata, camino funzionante, barbecue in giardino, due comode stanze da letto e due bagni. La scala interna è un po’ ripida, niente a che vedere col lusso, ma va bene così.

Scendiamo a cena un po’ preoccupati, timorosi di non saper ritrovare la strada col buio. Abbiamo prenotato vicino a uno dei laghetti delle Fonti, quello fuori dal parco: “TrattOliva” è il locale. Ci troviamo bene e, prevedendo affollamento, blocchiamo già un tavolo per la cena di lunedì sera.

Sabato la giornata è buona. Abbiamo acquistato on line gli ingressi alla Cascata delle Marmore. Ci arriviamo in una cinquantina di minuti viaggiando a passo d’uomo per gli autovelox (forse l’abbiamo scampata, incrociamo le dita).


(L'albero di Giuda)


La Val Nerina è veramente bella in aprile. Abbiamo il fiume a sinistra, che scorre rapido e cangiante e, a dispetto del nome, porta acque chiarissime che riflettono trasparenze di verde e di limpido azzurro. Sulle colline, ai lati della valle, si susseguono borghi che sembrano presepi. Le nuvole rosa e lilla dell’albero di Giuda in fiore prevalgono sul verde della valle e adornano il paesaggio rendendolo unico. La leggenda vuole che l’apparire dei fiori sulla nuda corteccia del Cercis Siliquastrum (questo il nome scientifico della pianta), proprio nel periodo pasquale e prima ancora delle foglie, sarebbe dovuto al fatto che l’apostolo traditore, dopo aver baciato il Maestro proprio sotto quest’albero, vinto dal rimorso si sarebbe impiccato ai suoi rami.


(Il lago di Piediluco


In questi giorni festivi la Cascata è aperta per tutto il giorno. Ne scorgiamo da lontano il salto più alto, che la vasta chiazza di nebbia formata dagli schizzi sembra essersi fermata a indicare. Nelle precedenti visite, sempre un po’ frettolose, ci eravamo limitati al belvedere inferiore e non avevamo mai percorso i sentieri del parco. Questa volta ci muniamo di impermeabili e risaliamo diversi tratti dei ripetuti tuffi del Velino verso la Nera. Il sito è tenuto molto bene, c’è folla ma, considerato che è sabato Santo, niente di eccessivo. Un panino in un bar del Parco, un secondo sentiero e, verso le quattro, quando la stanchezza comincia a farsi sentire, ci muoviamo per un caffè al vicino lago di Piediluco, più volte oggetto delle avventure e dei racconti dai miei amici canottieri stabiesi. Il caffè del bar al circolo canottieri non è proprio il migliore che abbia mai bevuto, ma la passeggiata lungo lago nel borgo di Piediluco è assolutamente consigliata.


(Montefalco)


A pranzo siamo stati leggeri. Simone, l’ingegnere, ha un collega che ha in comune il cognome e il paese di origine con il cantautore della Canzone del Sole, quello delle calzette rosse e del mare nero. Poggio Bustone è in provincia di Rieti, ma non è molto lontano da qui. Ordunque, il detto collega, ottima forchetta e assiduo frequentatore dei ristoranti della zona, ritiene imperdibile un passaggio mangereccio in un posto che si trova a venti minuti di macchina dal casolare in cui siamo alloggiati. Sono venti minuti di salita e di curve ma l’“Agriturismo Pettino” vale la pena del viaggio. Cerchiamo di contenerci, consapevoli che domani il pranzo pasquale del cugino Bruno sarà una sfida oltre le nostre forze, ma la qualità dei prodotti (tartufo, coratella, caciottine, pasta fatta in casa e altre delizie) e delle preparazioni è veramente superlativa. Nonostante il Sagrantino di Montefalco e il cibo ingurgitato riusciamo a tornare senza sbagliare al nostro casolare, del quale stiamo imparando ad apprezzare le comodità e i pregi e che non ci pare più nemmeno tanto isolato.


(A Passignano)


La domenica è a Passignano. Pensavamo di averla fatta franca dopo gli antipasti e la lasagna, ma Bruno ci aspettava al varco con cinque secondi (di cui l’ultimo una squisita, ma non certo leggera, trippa di cinghiale), l’insalata russa e le patate al forno, con il colpo di grazia dato dalla mia pastiera e dalla colomba fatta in casa dalla cugina Tina. Un paio di chilometri di passeggiata post prandiale lungo il Trasimeno e una limonata al bar non fanno il miracolo di farci digerire. Salteremo a piè pari, oltre alla cena di domenica, anche colazione e pranzo del lunedì.


(Campello)


A proposito di lunedì, finalmente visitiamo il Castello di Campello che sovrasta la nostra residenza. Molto carino, un piccolo borgo murato con chiesetta, in gran parte occupato da un albergo diffuso. A seguire visita al parco delle Fonti del Clitunno e al Tempietto poco distante. Poi, come previsto, il tempo si guasta e la pioggia disturba un po’ la nostra visita a Montefalco, che avrebbe per la verità meritato più tempo e più sole. Qui, nel paese del noto ristorante di Giorgione, verso le quattro, a ventiquattro ore dalla trippa e dalla pastiera, timidamente azzardiamo un aperitivo con qualche pizzetta e un piccolo tagliere.


(Narni)


“TrattOliva” ci accoglie per una cena leggera con la quale salutiamo Campello.

Per il rientro a Roma, martedì, scegliamo di ripercorrere la Val Nerina, facendo tappa al fantastico borgo di Scheggino. Poi, passata la Cascata e attraversata Terni, una sosta pranzo veloce e una breve passeggiata a Narni, prima di lasciare i ragazzi a Roma e tornare a Surriento, non so dire quanto felici, ma sicuramente molto, molto sazi.

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