PUPAZZI
E ERBE
LA MEDICINA
DEGLI ALTRI

(Una collezione di maschere al Museo di etnomedicina di Genova))

Nell’antico quartiere del Molo a Genova, a pochi metri dalle Mura di Malapaga dove nel 1949 fu girato l’ omonimo film di René Clement con Jean Gabin, c’è uno scrigno nascosto. Contiene un piccolo gioiello: l’unico Museo europeo (forse il solo al mondo) di Etnomedicina, disciplina che riunisce e studia tutte le pratiche mediche dell’umanità. È un museo dell’Università di Genova, con accesso esclusivo su prenotazione, visitato da studenti di medicina e antropologia, alunni delle scuole elementari, cultori e studiosi della materia, gruppi di turisti che vi si recano su appuntamento. In altre parole non si tratta di un museo con un orario fisso d’apertura e un biglietto d’ingresso con prezzo stabilito. Viene aperto su richiesta. Occorre prenotare scrivendo agli indirizzi email antonio.guerci@emeriti.unige.it oppure al Disfor, Dipartimento di scienze della formazione dell’Università di Genova, in particolare al professor Guido Franco Amoretti (guido.amoretti@unige.it) che insieme a Guerci, il fondatore, è il delegato del Rettore alla sicurezza del museo e al suo sviluppo.


(Una sala del Museo di etnomedicina)


I tesori conservati ed esposti nella sede del Molo , inaugurata nel 2020, appena prima dell’esplosione della pandemia da Covid, probabilmente in un futuro non troppo lontano saranno fruibili integralmente on line, quando sarà completato il processo di implementazione del sito dedicato, di cui si occupa la professoressa Anna Siri. Nella speranza che, nel frattempo, diventi fruibile, sempre on line, anche l’ex Museo dell’Antartide, inaugurato in pompa magna ai tempi delle Colombiane genovesi (1992) in una palazzina del restaurato porto antico di Genova, e oggi smantellato e stivato in alcuni magazzini dell’Università di Genova (raccontava ed esponeva materiali originali delle spedizioni antartiche italiane).


(Apparecchi di diagnosi africani)


Il Museo di Etnomedicina propone, distribuiti su due piani e un piano interrato, circa tre quarti dei 2.500 reperti raccolti in ogni parte del mondo e in 55 anni di viaggi da Antonio Scarpa, singolare figura di studioso che in Liguria trovò casa e audience scientifica ma non ebbe mai una cattedra universitaria da professore ordinario. Tuttavia insegnò come libero docente prima a Milano e poi all’Università di Genova dove ebbe come allievo prediletto Antonio Guerci, biologo, l’uomo che ha fortemente voluto il museo ed oggi è professore emerito di Etnomedicina, una materia inserita con sentenza del Tar tra le scienze sociali, e oggetto, per decisione dell’Unesco, di una cattedra unica al mondo.


(Modelli e mappe per l'agopuntura)


Antonio Scarpa, fondatore dell’Etnomedicina, era nato in provincia di Rovigo nel 1903. Si laureò a Padova nel 1927, morì a Rapallo nel 2000. Era un medico ed era un antropologo, uno studioso davvero multidisciplinare, che mise in comunicazione la medicina occidentale e le medicine tradizionali del mondo, osservandone e cogliendone le caratteristiche culturali, non solo il contenuto scientifico come vogliono i fondamentali della scienza contemporanea.


(Oggeti della macumba)


Sappiamo tutti, almeno a grandi linee, che in India e in Cina esistono da millenni medicine “alternative” a quella europea di derivazione ippocratica. Scarpa seppe andare oltre. Fu un viaggiatore instancabile, non si limitò a documentare e a studiare le medicine tradizionali indiana o cinese, ayurveda e agopuntura, ma descrisse le medicine africane, quelle araba e mediorientale, quelle dell’Estremo Oriente e delle Americhe. Fu un bravo fotografo, come testimoniano i suoi scatti che accompagnano i reperti del primo piano e scandiscono le sei sezioni in cui è stata suddivisa l’esposizione, ma si tratta esclusivamente di circa due decimi di una vasta produzione fotografica che forse meriterebbe maggior risalto. I negativi e le immagini non esposte sono custodite in grandi scatoloni, catalogati nel laboratorio, al secondo piano interrato. Là sotto si trovano anche una sala proiezioni ed alcuni ex voto cinesi del secondo ‘900. Altri pezzi sono esposti al Castello D’Albertis di Genova, dove ha sede il Museo delle culture dal mondo.


(Didascalie scritte a mano da Scarpa)


Ad Antonio Scarpa si devono almeno un paio di importanti ricerche, una sulla lattazione agravidica e l’altra sul modo di trasportare i bambini piccoli dei popoli non occidentali. Il medico antropologo verificò e documentò che laddove i neonati non venivano fasciati come piccole mummie, ma sistemati a gambe divaricate sul fondoschiena o sul petto delle mamme, non c’era lussazione dell’anca, patologia un tempo diffusa in Europa dove i bebè fino alla prima metà del Novecento spesso erano imprigionati in stretti bendaggi affinchè le loro gambette crescessero diritte.



Quanto alla lattazione agravidica, Scarpa scoprì che presso popolazioni di varie parti del mondo l’ingestione di erbe particolari consente di avere latte a donne non gravide o addirittura non più fertili. Fatto che permette alle comunità di assicurare il nutrimento anche ai neonati di neomamme senza latte. Fin dall’800 in Occidente era conosciuta la lattazione serotina, fenomeno relativamente diffuso, ma la “scoperta” della lattazione agravidica è stata una rivelazione scientifica.


(La maschera di uno sciamano)


Su una parete del Museo , dipinta come le altre di un forte color verde ottanio, spiccano numerose maschere in legno colorato. Provengono dall’isola di Bali. Sono usate nella medicina tradizionale balinese per curare i disturbi e le malattie psichiatriche. Si ritiene che il malato, indossando una maschera adatta al suo disturbo, possa espellere il “demone” che lo affligge. Prestigiosi psichiatri italiani hanno visitato il Museo e trovato analogie tra i fenomeni espressi dalle maschere balinesi e i sintomi descritti da alcuni loro pazienti. Perfino la teatroterapia, tecnica terapeutica della moderna psichiatria occidentale, sembra avere similitudini con l’uso delle maschere orientali.


(Le foto del professor Scarpa su come portare il bambino)


Al primo piano seminterrato, dentro vetrine piene di oggetti, sono esposti campioni delle farmacopee del mondo, talvolta accompagnati dalle didascalie scritte a mano dallo stesso Antonio Scarpa. Ed ecco i magnifici libri di medicina in arabo antico, le erbe disseccate, i rimedi naturali, i prodotti semiindustriali e i pupazzi rituali del Brasile e di altre macroaree del Sudamerica, ecco i bavaglini e le ciotole per il latte provenienti da alcune regioni italiane, ecco una raffinata bambola di porcellana bianca sulla quale il medico cinese, aiutandosi con una piuma, chiedeva alle pazienti (gli era proibito visitare le donne) di indicare la parte dolente o ammalata del corpo.


(Guido Franco Amoretti e Antonio Guerci)


Al secondo piano interrato, come si è detto, ci sono una saletta con poltroncine per le proiezioni e le lezioni universitarie di antropologia rivolte agli studenti di medicina del primo anno, l’area riservata al laboratorio e alle fotografie non esposte di Scarpa, e hanno trovato posto alcuni ex voto cinesi della seconda metà del ‘900. Ad esempio c’è il modello di un’automobile , probabilmente una Trabant del 1978, con struttura in metallo e carrozzeria in carta. Forse è stata costruita per ringraziare chissà quale divinità, di aver protetto il guidatore e/o i passeggeri di una vettura dalle conseguenze di un brutto incidente stradale.

Press ESC to close