Una premessa d’obbligo. Non sono un critico teatrale né ho la pretesa di scimmiottare chi del palcoscenico e dei suoi protagonisti conosce storia e segreti, ma “Amleto²” di e con Filippo Timi (e con Lucia Mascino, Marina Rocco, Elena Lietti e Gabriele Brunelli) più che uno spettacolo è un vero schiaffo emotivo (e culturale) che chiama al racconto. È in cartellone al Teatro Ambra Jovinelli di Roma fino al 12 gennaio, ma sbarcherà poi a Foggia (14-15 al Teatro Giordano), Bari (dal 15 al 19 al Piccinni), Mestre, Grosseto e così via. Si può vederlo, insomma, almeno fino al 9 febbraio a Firenze (al Della Pergola), dove il grandissimo Filippo Timi concluderà il suo tour lasciando diverse migliaia di spettatori con qualcosa in più nella testa e nel cuore.
E se si è già visto al suo esordio, si può gustarlo “riveduto e corretto” da Timi regista-attore quindici anni dopo. Più sapienza attoriale, più esperienza, più tv, maggior creatività. Tanto per spiegarci: dell’Amleto secentesco, il suo “quadrato” folle, visionario, beffardo e ruffiano, all’avanguardia e assolutamente pop, conserva il nome proprio, qualche costume, diverse rimembranze, un po’ del testo, la celeberrima atmosfera tragica (e stavolta pure comica) e soprattutto il senso della vita e della morte di shakespeariana memoria. Ma al dramma del Principe di Danimarca va aggiunto, in questo caso, dell’altro. Molta modernità, anzi molte epoche. E molti ingredienti da mescolare, come in una magica pozione, sul palco e dietro le quinte. Vale a dire: la Commedia dell’Arte con le gradassate che agitano il corpo dell’attore, gli spot televisivi che ci sono rimasti in testa dall’infanzia ripetuti in scena a mo’ di filastrocca, un’icona come Marilyn Monroe (Marina Rocco) che si presenta come lo spettro paterno sebbene rappresenti la soubrette-donna-oggetto, una fantastica Gertrude (Lucia Mascino) che sembra uscita dalle pagine di “Alice del Paese delle Meraviglie”, ma da madre feroce scuote le viscere di un figlio inerme (e che Freud riposi in pace!), svariati ammiccamenti al cabaret televisivo anni Ottanta (con balletto genere Heather Parisi) e tuttavia la prosa del teatro classico (perfino baritonale) che si alterna al napoletano o al ciarlare toscano, gli sberleffi, le sorprese e lo spaesamento del buio improvviso che avvolge il teatro.
Filippi Timi, in scena, nei pochi istanti in cui non recita, ride sotto i baffi (che non ha). Poco meno di due ore, allure gotico, saltellando di richiamo in rimando e mai un briciolo di noia. Evento non proprio usuale. Ovviamente, sulle prime, si resta interdetti. La poltrona è comoda, la mente sveglia, ma la logica si squaglia nei colori e tra le luci di un’apprezzabile scenografia (del laboratorio del Teatro Franco Parenti di Milano). Dove vorrà andare lo show? E Shakespeare dov’è? E invece ecco, in questo surreale “Amleto²”, che, trascorsi una manciata di minuti, il teatro narra di se stesso ricordando l’epoca Elisabettiana, l’attore diventa guitto, salta, corre, recita avvicinandosi al pubblico per poi tornare nella sua gabbia di follia fantastica. Sì, perché quando si alza il sipario - con il trono al centro della scena e tanti palloncini neri e dorati – ti accorgi che un enorme gabbia segna il confine tra palco e platea. Ed è in quella gabbia che Amleto-Timi si muove come un animale da palcoscenico. Si trasforma in leone e pappagallo, in vittima e aggressore. La rappresentazione del circo della vita? Forse. Un dissacrante zoo umano? Può darsi. O magari una gabbia di matti che trascinano il pubblico in un vortice di risate, mute interlocuzioni che il protagonista sollecita? Ciò che è sicuro è che si è dentro ad uno spettacolo speciale, immersi fino al collo come Ophelia (Elena Lietti), innamorata e perduta, nell’acqua del lago. Nel lasciarsi annegare nel varietà esistenziale offerto da Filippo Timi e dalla sua compagnia all’Ambra Jovinelli, non si perde la ragione e neppure la pazienza, ma ci si carica di energia. Il pubblico vibra, e si sente. Questo è teatro. Senza finzione alcuna. Una finzione perfetta. Gli applausi sono potenti e continui, qualcuno si alza e grida. L’attore-principe, nella sua veste di attore, abbraccia la sala fino alla balconata e toglie la maschera: “Grazie, grazie. C’è davvero tanta energia”.