Superati i Caselli Daziari di Porta Volta, là dove c’era l’erba (per dirla con Celentano), nel 1866 venne inaugurato il Cimitero Monumentale di Milano per favorire la chiusura di alcuni cimiteri cittadini presenti anche in zone più centrali.
Progettato in stile eclettico, con richiami in romanico-pisano e gotico-lombardo, dall’architetto Carlo Maciachini, divenne ben presto il camposanto della buona se non ottima borghesia milanese: uno straordinario museo a cielo aperto popolato da numerose opere d’arte realizzate da scultori e architetti di fama come Medardo Rosso, Adolfo Wildt, Francesco Messina, Arturo Martini, Giacomo Manzù, Fausto Melotti e Lucio Fontana, oltre a prestigiosi studi di architettura come BBPR.
L’imponente facciata del cimitero fa da sfondo a un enorme piazzale dove, da qualche tempo, arriva la linea 5 della metropolitana milanese.
Il prospetto centrale del Monumentale ospita il Famedio (Tempio della fama) nel quale sono ospitate le tombe di milanesi illustri. Sotto la volta celeste di questo tempio sono accolti solo otto personaggi. La tomba centrale è quella di Alessandro Manzoni, intorno alla quale si trovano i loculi destinati a Salvatore Quasimodo, Bruno Munari, Carla Fracci, Carlo Forlanini e Leo Valiani, oltre ai sarcofagi di Carlo Cattaneo e di Luca Beltrami, architetto famoso per il restauro, tra le altre opere, del Castello Sforzesco di Milano, della Certosa di Pavia e del Duomo di Monza.
Nella sottostante cripta riposano invece, in loculi scarsamente illuminati, personalità poetiche come Delio Tessa, Giovanni Raboni e Alda Merini, personaggi dello spettacolo come Enzo Jannacci, Dario Fo, Franca Rame, Franco Parenti e Giorgio Gaber, sportivi di grande fama quali Giuseppe Meazza, Antonio Maspes e Duilio Loi. Con loro riposano decine e decine di personaggi che hanno contribuito, nei vari campi, a rendere grande Milano. L’elenco è decisamente lungo.
Superato l’edificio principale, si entra nell’immenso parco, che oggi ricopre un’area di 25 ettari, e ci si lascia trasportare, vialetto dopo vialetto, campo dopo campo, dalla grandiosità delle cappelle funebri o dalla curiosità che suscita una tomba in un cimitero che, ancora oggi, è in funzione per accogliere ospiti vari per quanto selezionati, come dire, da ceto e casta.
L’ambiente è riposante, ricco di vegetazione, pur essendo ormai inserito in un’area nevralgica della città. A un tiro di schioppo ecco la Stazione Garibaldi e corso Como, una delle vie più frequentate della movida milanese.
Ma al Monumentale il tempo si è fermato e stimola a riflettere su quanto siano effimere le umane cose, ciò che i tempi nostri sembrano ignorare o eludere.
Alcune delle opere scultoree più imponenti e significative si trovano nella prima parte del cimitero, a partire dal monumento ai caduti nei campi di sterminio nazisti, progettato nel 1945 dallo studio di architettura BBPR (Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers). Lo stesso architetto Gian Luigi Banfi era stato internato nel campo di sterminio di Mauthausen-Gusen e lì era deceduto pochi giorni prima della Liberazione.
Percorrendo il viale centrale, sulla destra appare la maestosa e imponente edicola Besenzanica, scolpita da Enrico Butti nel 1912, possente allegoria della vita, che rappresenta una delle opere più significative dell’intero cimitero.
Poi, facendosi guidare dalla mappa che si può scaricare dal sito www.monumentale.comune.milano.it
si può entrare nel dedalo dei vialetti che portano a numerose edicole, tombe di famiglie milanesi illustri come Falck (anni 1939-1955), Toscanini (1909-1911), Bocconi (1901-1914), Feltrinelli (1914-1921), Pirelli (1921), Campari (1935) e Rizzoli (1952-1953), solo per citarne alcune tra le più significative.
Particolarmente visitate sono poi due tombe che si avvalgono di sculture di Lucio Fontana: il monumento Chinelli (1949) e il monumento Castellotti (1935).
Seguendo il cosiddetto “circondante di levante”, quasi al limite estremo del campo cimiteriale, si può riverire il monumento dedicato ad Anna Kuliscioff e Filippo Turati, qui per sempre uniti.
Il cimitero ospita poi, alle estremità dell’entrata principale, un riparto dedicato agli “acattolici” e uno agli “israeliti”. Quest’ultimo venne aperto nel 1872 per sostituire i cimiteri ebraici esistenti allora in città (Porta Tenaglia, Porta Magenta e Porta Vercellina). Particolarmente evocative sono le vetrate colorate della Sala Cerimonie che prelude alla sobria successione di tombe e monumenti.
Proprio per la sua conformazione, spesso il Cimitero ospita iniziative di carattere culturale. Sono anche previste visite guidate.
Ma il fascino più profondo del luogo resta la possibilità di viaggiare, quasi smarrendosi, nella memoria di una città complessa, affascinante e contradditoria come Milano.
Una mano arguta ha posto sulla lapide di Dario Fo un foglietto su cui appare la frase:” L’era così vivo, de vivo!”.
Anche questa è la città.