Uscendo da Damasco la strada si fa piano piano più desertica, qua e là dei cipressi piegati dal vento indicano la direzione in cui Eolo soffia. Dopo un’oretta la strada incomincia a salire in direzione di Maaloula. Non vi torno dal 2019. Superiamo la moschea all’entrata del paese, ancora con la cupola sfondata da un razzo, e arriviamo all’inizio della gola che porta al primo monastero.
La cittadina, famosa per i suoi monasteri cristiani e perché qui si parla ancora siriaco, già nel 2019 era stata restaurata, dopo che gli islamisti avevano rapito alcune suore e saccheggiato le opere, bruciando le icone e distruggendo i simboli religiosi. La guerra aveva poi fatto il resto, riducendo molti edifici a scheletri bucherellati. Già durante il mio viaggio di quattro anni fa i pellegrini cristiani affollavano i monasteri appena restaurati; anche quest’anno sono pieni di bambini in gita con gli educatori.
Entriamo nella gola che ricorda un po' quella di Petra in Giordania, è sinuosa come un serpente che ha lasciato la traccia del suo passaggio nella roccia gialla. Tutto attorno la roccia semidesertica, di mille sfumature gialle, rosse, ambrate, è costellata da qualche filo d’erba. Il cielo blu quasi color acciaio, cosparso di finissime e trasparenti nubi bianche, come se fossero un merletto, appoggiato su una seta blu. Uscendo dal canyon scorgiamo il monastero, circondato da piccoli orti e alberi.
L’atmosfera è molto suggestiva, l’edificio in pietra spoglia, in cui si notano colonne e capitelli recuperati da precedenti edifici forse romani, è pieno di donne, alcune velate, altre no. Ascoltano una guida che fa sentire come si prega in siriaco. Difficile capire se siano cristiane o turiste musulmane.
Per fortuna in una cappella laterale si è conservato un altare coperto da un baldacchino di legno, tutto dipinto, con scritte in arabo e la raffigurazione della Madonna tra le stelle. Ai quattro angoli vi sono scene bibliche e angeli. Tutte le icone sono state bruciate e se ne possono vedere i resti nel negozietto del monastero. All’interno vi sono solo immagini regalate dopo che Maaloula è stata riconquistata dal governo.
Si vende, oltre che icone religiose, l’ottimo vino prodotto nel villaggio. Ne abbiamo preso alcune bottiglie che ci hanno accompagnato nel viaggio. Si tratta di un vino rosso leggermente dolce, che in Italia definiremmo da chiesa. Non molto diverso dai vini siriani che ho assaggiato nei bar e ristoranti di Damasco o di Crack des Chevaliers, ma di qualità migliore.
Dal primo monastero ci dirigiamo al secondo, molto più grande, che lambisce il paese. Il corpo antico si trova in una grotta sotto una roccia, più in basso. Negli anni sono stati costruiti molti edifici moderni, per ospitare i pellegrini e le suore.
Dovunque si vedono pullman di gruppi organizzati che portano bambini siriani in visita. Sembrano in gita dalle varie scuole del paese. Non ci sono genitori, ma solo i piccoli e gli insegnanti.
Avvicinandosi alla parte antica si osservano alcune croci scolpite nella roccia, mezze raschiate dagli islamisti, e Madonne con il Banbin Gesù cui sono stati cancellati i volti. Arrivati in alto si apre una grande grotta che ha all'interno un albero dal tronco nodoso e una fontana dall’acqua benedetta che le suore fanno bere ai bambini. La grotta è chiusa da un porticato dagli archi acuti, tipici siriani o libanesi. Da un lato si accede a una piccola chiesetta-grotta, dove i bambini accendono delle candele aiutati da una suora.
In fondo alla grotta si trova una iconostasi, ricostruita dopo l’attacco islamista, che cela un piccolo spazio riservato ai celebranti.
Lasciamo Maaloula e ci dirigiamo ad Homs. Gli unici due grandi cambiamenti dal 2019, nella città, sono stati i restauri del souq e della grande moschea in stile ottomano. Tutto attorno l’edilizia privata moderna è rimasta uno scheletro ripiegato su se stesso, dal momento che i ferri dei palazzi in cemento armato sotto i colpi dei razzi si contorcono e i palazzi sembrano tante sacher, con i loro strati di cioccolato e marmellata di albicocca, schiacciate da una violenza inaudita. Per fortuna non tutti i quartieri della città sono stati toccati dalla guerra, che ha diviso la città in aree controllate dal governo e zone controllate dai gruppi anti governativi.
Si è trattato di una vera guerra di trincea. I quartieri rimasti in mano al governo non hanno subito alcun danno. Prima di visitare il souq, andiamo a pranzo in un ristorante in un rione che non ha subito danni. Per caso ci portano nello stesso ristorante in cui sta mangiando una delegazione di autorità religiose cecene, ricevuta con tutti gli onori dalle autorità locali.
In mancanza di sostegni occidentali, gli unici finanziatori dei restauri sono i russi e l’Agha Khan. In particolare i russi di origine cecena si stanno occupando del restauro delle moschee. Solo l’Agha Khan ha un’ottima expertise e conduce restauri con standard europei.
Essendo venerdì, il souq appena restaurato è chiuso, ma la struttura, con la copertura di vetri colorati, è molto bella. La luce filtra dal tetto creando giochi di colori e ombre. Finita la visitaal souq, andiamo a vedere la moschea. Nel 2019, come il souq, era anch’essa un colabrodo. Internamente, sembra rispettare il canone dei grandi edifici religiosi ottomani, all'esterno invece è stato eretto un porticato in cemento dal gusto più dubbio. Uscendo la guida ci porta a fare un giro nel quartiere circostante, ancora totalmente distrutto. Le palazzine in cemento armato sono tutte ripiegate su se stesse, inquietanti come oscure opere d’arte contemporanea che vogliano mettere in guardia contro le guerre.
Ma questo deserto urbano lo è, deserto, solo in apparenza. Alcuni dei ruderi sono abitati e qualche persona cammina in giro. Una donna si aggira sola tra le macerie, come un simbolo di resilienza nei confronti delle crisi in cui la vita può precipitare gli esseri umani. Più in là, nei ruderi di una scuola, un gruppo di bambini gioca a calcio allegramente nei resti del cortile dell’edificio. Ci chiedono di giocare con loro e, felici per questo atteso segno di vitalità nella scuola bombardata, accettiamo. Perfino io, che detesto il calcio, non riesco a non farmi contagiare dalla felicità dei bambini: è uno spettacolo di pura poesia, vederli mentre si riappropriano di uno spazio devastato, che pure era stato creato per loro.
Lasciamo Homs con questa bellezza negli occhi. La mattina, prima di dirigerci ad Aleppo, andiamo a visitare Crack des Chevaliers, il castello crociato più famoso al mondo.
Il castello è forse il più imponente che abbia mai visto, ogni volta che ci entro mi sembra di essere Giona risucchiato dalla balena.
Per fortuna non ha subito grandi danni durante la guerra e anche il recente terremoto non ha avuto conseguenze gravi, solamente qualche piccolo crollo. Entrando nel primo cerchio di mura ci si inerpica su una strada coperta e imponente che conduce a un fossato interno ancora in parte colmo di acqua. Dal fossato si innalzano le mura altissime di quello che è il cuore del maniero. Facciamo il giro delle sale che si aprono, una dopo l’altra, nelle mura del cerchio esterno.
Nella fortezza incontriamo due gruppi di turisti, ognuno formato da una trentina di persone. Viaggio con altri tre ragazzi più giovani di me, uno delle Repubblica Ceca di 21 anni, un olandese di 27 e un ragazzo di Hong Kong di 35, tutti world travelers, ci siamo conosciuti su una chat di viaggio e abbiamo deciso di muoverci insieme. È una strana sensazione per noi trovarci davanti di colpo, in Siria, due pullman pieni di turisti europei, soprattutto dell’Est Europa e portoghesi.
Attraversiamo il secondo cerchio delle mura e arriviamo al cuore del castello. La chiesa, che con la riconquista araba divenne poi moschea, è chiusa per restauri. Per fortuna l’avevo già vista nel 2019, mentre la sala in stile gotico in cui si riunivano i cavalieri, le cui finestre gotiche hanno subito dei danneggiamenti durante la guerra, non è stata ancora restaurata. I pezzi sono da rimontare ma è possibile farlo, perché si trovano ancora lì. Per altro le finestre erano già state restaurate nel passato, perché si vedono dei ferri dall’aspetto contemporaneo tra le pietre antiche cadute a terra.
Accanto ai capitelli, sono sopravvissute due interessantissime scritture crociate, incise nella roccia. Dal cortile interno dove si affacciano la chiesa-moschea e la sala dove si riunivano i cavalieri, si può salire su alcuni edifici molto alti costruiti tra le mura e le torri. Da li si dominano le colline attorno per molti chilometri.
Mentre siamo sulla torre più alta, di colpo scoppia un tuono, e una pioggia scrosciante comincia a scendere. Le nuvole nere diventano dello stesso colore delle rocce della fortezza, il verde dell’erba primaverile risalta ancora di più. Sembra quasi di sentire nel vento i clamori delle tante battaglie che qui sono state combattute. Con sollievo penso alla fortuna di poter visitare questo luogo come turista in un momento di pace, e non come soldato in un frangente di guerra.
(2. continua)