“Il Comando tedesco ha ordinato che per ogni tedesco ucciso dieci criminali comunisti saranno fucilati. Quest’ordine è stato già eseguito”. È il giorno dopo la strage delle Fosse Ardeatine, le autorità tedesche ne diedero notizia con un comunicato ufficiale diffuso dall’agenzia di stampa Stefani. Silenzio e memoria. Quando comincia a spargersi la voce che alle Cave ardeatine doveva essere successo qualcosa, perché i contadini nei campi avevano visto uno strano viavai di camion tedeschi, tante mamme, mogli, sorelle, figlie e figli si avviarono in un pellegrinaggio dolente verso l'abisso.

Ottant’anni dopo quel 24 marzo 1944, il ricordo lacera gli ultimi che c’erano e si vede ancora negli occhi e nelle mani che rigirano e tormentano durante i racconti. Si emozionano, scavano, odorano, chiudono gli occhi perché la luce tremolava dentro la cava dei morti, parlano così gli ultimi testimoni dell’eccidio che avvenne allora. Quest’anno li ha riuniti l’instancabile Anfim per il suo archivio della Memoria, c’è chi continua a ripetere: “Non chiamateli partigiani, sono tutti patrioti” (Adriana Cordero di Montezemolo, figlia del martire Giuseppe ucciso a 45 anni), chi si commuove mentre mostra la foto sgranata del biglietto che resta del padre: “Baciami pupa”, consegnato di nascosto alla madre che lo andò a trovare l’ultima volta a Regina Coeli prima dell’esecuzione (Vittoria Elena, figlia del martire Fernando, ucciso a 25 anni), il dolore rinnovato di chi non dimentica che suo padre fu riconosciuto per i brandelli del camice da medico (Paolo Pierantoni, figlio del martire Luigi ucciso a 39 anni), la memoria dei latrati in tedesco ‘kaputt kaputt” quando a poco più di tre anni fu gettata in terra dalle braccia del padre, che ebbe poi l’atroce tempo di scrivere un biglietto ai familiari “Arrivederci in Paradiso” (Irma Prosperi, figlia di Antonio, ucciso a 35 anni).

che Repubblica offre ai lettori sabato 23 marzo, in omaggio con il giornale nel Lazio)
“La memoria della Fosse Ardeatine non è solo una memoria romana ma riguarda l’Italia intera. Se esiste un monumento nazionale è lì che bisogna cercarlo” scrive lo storico Alessandro Portelli, le vittime venivano da tutti i quartieri e le borgate della città ma anche da tante regioni… nella Roma Capitale d’Italia, centro della Chiesa cattolica, una violenza inaudita nel cuore stesso della civiltà occidentale, la maggiore strage urbana in questa parte d’Europa. “Fu un periodo storico che ha generato la nostra identità, in cui ci sono stati l’abisso e la rinascita”, dice Roberto Gualtieri, che è sindaco di Roma ma anche professore associato di Storia contemporanea alla Sapienza, “fu in quegli anni fatti di attesa, fame e paura, che furono piantati i semi che hanno consentito al nostro paese di camminare sulle strade della democrazia”.

E come parte integrante della propaganda nazista anche la disinformazione, la colpa delle Fosse Ardeatine attribuita a chi aveva resistito agli occupanti, all’attentato di via Rasella. Una falsa memoria che di tanto in tanto riemerge, anche nelle sbandate di un presidente del Senato, Ignazio La Russa, che lo scorso anno disse che i partigiani di via Rasella non uccisero nazisti delle Ss in marcia ma una banda musicale di semi-pensionati (falso, il battaglione Bozen è stato raccontato ad Alessandro Portelli anche attraverso chi ne faceva parte, aggregati alle Ss, dovevano sfilare per le strade sempre cantando a squarciagola, petto in fuori, armati fino ai denti, ‘avevamo cinque o sei bombe attaccate alla cintola e in via Rasella ne esplosero parecchie colpite dalle schegge’). Poi La Russa si è un po' scusato mettendoci una toppa peggiore del buco (cit. l’Avvenire), ‘confermo che le Fosse Ardeatine furono uno delle pagini più brutali della nostra storia, ma anche che l’attentato di via Rasella fu tra le azioni meno gloriose della Resistenza… e poi da ministro della Difesa portavo sempre i fiori a tutti i partigiani, anche a quelli rossi che non volevano l’Italia libera e democratica, ma comunista’, così la seconda carica dello Stato a guida centrodestra che teneva in salotto un busto di Mussolini, lo mostrava ai giornalisti ma ora giura di averlo trasferito a casa della sorella.

I fatti: il 24 marzo 1944 335 uomini disarmati e prigionieri furono uccisi a freddo nelle cave di pozzolana sulla via Ardeatina dalle truppe naziste di occupazione. Furono rastrellati da via Tasso, da Regina Coeli, per le strade, nelle case, e fatti entrare cinque per volta nelle gallerie già scavate e uccisi con un colpo di pistola alla nuca. La strage fu la risposta degli occupanti a un’azione militare condotta dai partigiani dei Gap, Gruppi di Azione Patriottica il giorno prima in via Rasella, pieno centro di Roma, in cui rimasero uccisi 33 soldati tedeschi. Una violenza inaudita, 'che facesse tremare il mondo'. Solo dopo la Liberazione si potè procedere alla esumazione dei cadaveri e al loro ormai difficilissimo riconoscimento. Se ne occupò Attilio Ascarelli, medico legale che si dedicò al penoso lavoro, fra luglio e novembre del '44. Compilo’ quasi 300 schede che univano note relative ai corpi rinvenuti a ricostruzioni biografiche fatte con l'aiuto delle famiglie. In molti casi Ascarelli cercò anche di scrivere il nome dei delatori che li avevano fatti arrestare. Voleva rendere a quelle vittime un poco di giustizia, la Storia lo tramanda come un uomo giusto.

Paola Severino, l’ex ministro che in terza elementare scrisse un temino in cui diceva di voler fare l’avvocato per rimediare alle ingiustizie, rappresentò l’Unione della Comunità ebraiche italiane nei processi al nazista Erich Priebke, il capitano delle SS protagonista delle principali efferatezze compiute a Roma dai nazisti, tra cui l’eccidio alle Ardeatine. Fu scovato nel ’94 in Sudamerica, a Bariloche, da una troupe di giornalisti americani della emittente Abc, l’Italia chiese e ottenne l’estradizione nel 1995. Processato e condannato all’ergastolo con un verdetto confermato dalla Corte di Cassazione il 16 novembre del 1998, scontò alcune settimane in prigione poi ottenne i domiciliari ed è morto nel 2013. Perché accettò l’incarico?, è stato chiesto a Severino: “Mio padre aveva aiutato tanti ebrei a sfuggire alla furia nazista: con suo cugino, che lavorava al Comune, stampavano e distribuivano agli ebrei carte di identità e tessere per il lavoro false. E ascoltare chi aveva perso i familiari nelle Fosse Ardeatine ti faceva vivere quei fatti drammatici come se fossero accaduti ieri, ci hanno consentito di elaborare la tesi difensiva sulla imprescrittibilità dei reati contro l’umanità”.