La Banca centrale argentina - come è noto - ha immesso in circolazione in queste settimane un biglietto da 10 mila pesos, il più alto probabilmente in tutto il mondo, almeno come cifra scritta sulla carta moneta. Ma attualmente quel bigliettone equivale a circa 10 dollari. E la Banca, non contenta, si appresta a settembre a raddoppiare, ne conierà uno da 20 mila pesos. Con una inflazione al 280% all’anno era diventato un problema anche fisico andare a fare la spesa al supermercato o pagare un libro. Fino ad ora infatti il biglietto più alto era di 2 mila pesos e dunque occorrevano pacchi di carta moneta per superare la cassa di un negozio. Sembra di rivedere una vecchissima foto dei tempi della Repubblica di Weimar, quella che ritraeva un tedesco che andava in bicicletta a fare la spesa con un voluminosissimo pacco di denaro attaccato al manubrio.
Per dire, l' 8 maggio 2024 un chilo di pane costava 2.500 pesos, un pranzo in un ristorante normale, secondo, contorno e acqua, 20 mila. Ed è necessario specificare bene la data del rilevamento dei prezzi e del cambio con le valute straniere, perché tutto muta giorno per giorno, anzi ora per ora. Nemmeno l’arrivo alla Presidenza di Javier Millei sembra avere rallentato l’inflazione, e in attesa di passare alla dollarizzazione promessa in campagna elettorale, ma più volte ribadita e poi smentita, ecco il biglietto da 10 mila pesos e quello atteso da 20 mila.
Per la verità non è un fenomeno nuovo per l’Argentina, un Paese che ha cambiato quasi più monete che Presidenti. Di conseguenza gli argentini per definire il denaro usano una quantità inverosimile di vocaboli, guita, pasta, australes …
Rolo Diez nel suo romanzo “Il passo della tigre”, pubblicato in Italia nel 2003 da Tropea, racconta le vicende dell’Argentina ai tempi del Presidente Carlos Menem alla fine del ‘900 e in un passaggio riporta lo sconforto di Matilde, moglie del commissario Aguirre. Era entrata in un supermercato con i soldi contati per acquistare una crema di bellezza, ma quando aveva afferrato la confezione dal bancone, una sirena e una voce temuta da tutti gli argentini aveva avvisato: “Da questo momento cambiano i prezzi dei seguenti prodotti”. E la crema sognata da Matilde improvvisamente aveva subito un aumento tale che i soldi che aveva nel portafoglio non le bastavano più. Così aveva dovuto riporre la scatoletta al suo posto.
Nel giugno del 1982 ero l’inviato dell’Unità a Buenos Aires per la guerra delle Falkland Malvinas. A luglio ero rimasto senza soldi e l’Unità, con la parsimonia che tutti quelli che ci hanno lavorato conoscono bene, mi inviò mille dollari che la Banca mi consegnò però in pesos. Ne spesi pochi e quando tornai a novembre quella montagna di pesos che pochi mesi prima erano mille dollari servivano forse per una colazione.
Ma l’episodio forse più tragicamente divertente mi capitò in quel novembre. Contemporaneamente a me a Buenos Aires c’era un senatore italiano dirigente della Associazione degli emigranti. Non parlava spagnolo e il pomeriggio prima di tornare in Italia mi chiese di accompagnarlo a comprare qualche regalino per la sua famiglia. Andammo in un negozio e lui scelse poche cose modeste. Il commesso sentenziò: “6 milioni di pesos”. In realtà erano 30 o 40 dollari, ma io tentai di contrattare. “Fagli uno sconto” “Sconto? Ma se sono ancora i prezzi di questa mattina”.
Intanto l'8 maggio, mentre entrava in circolazione il biglietto da 10.000 pesos, le strade di Buenos Aires e di altre città erano invase dai manifestanti. Il governo ha tolto i sussidi alle mense dei poveri e migliaia di persone non sanno più cosa fare. Molti di loro non vedranno mai un biglietto da 10 mila pesos.