MARRAKECH
VITE IN PIAZZA
FRA CANTI
E COLORI

In Marocco sono andato per un tour fotografico guidato da un giovane fotografo professionista con trascorsi di alpinismo: Paolo Vimercati, dell'agenzia FotoCorsi. Una full immersion di fotografia che sono pronto a ripetere. Anche perché con i compagni di avventura - Daniele, Elena, Emanuela, Marcello, Marco, Ruth, Silvio e Stefano - abbiamo costituito un gruppo ben affiatato e abbiamo superato senza drammi tutti i piccoli (e rari) incidenti di percorso che corredano ogni viaggio che si rispetti. Organizzazione eccellente, come la qualità delle sistemazioni alberghiere. La premessa è d'obbligo.


(Al mercato della Medina)


La conclusione cui sono giunto, e che ti anticipo, è invece meno scontata: tornato dal tour posso dire di aver visto (e ovviamente fotografato) alcuni dei luoghi più belli del Paese, ma di aver approfondito poco. Forse esagero un po', ma mi viene da dire che del Marocco ho visto molto, ma ne so poco più di prima. Perché? Perché non voglio peccare di presunzione, perché non mi ero preparato al viaggio, perché non ho parlato con molte persone del luogo, perché ho visto crollare molti luoghi comuni e qualche pregiudizio ma non mi sono preoccupato di consolidare al loro posto considerazioni alternative, non dico veritiere, ma almeno verosimili.


(Donne agli antipodi)


È stato quasi un test per dimostrare, nel mio piccolo, che la civiltà dell'immagine ha i suoi limiti, che un gattino in diretta sui social intenerisce da Pechino a New York, ma che se non ti spiegassi qualcosa delle Montagne dell'Atlante potresti pensare che siano Alpi senza neve. È un mio modo per affermare che la fotografia è come certi animali da affezione: le manca solo la parola.


(Esposizione della merce in un negozio di frutta e verdura)


Bene, a questo punto seguimi, se ancora ti va. Ti mostrerò luoghi bellissimi, donne, uomini e bambini, usi e costumi, mercati e deserti, asini e cammelli, montagne e dune, palazzi e macerie. Ti spiegherò poco, perché poco sapevo e poco ho scoperto passando da un posto all'altro, da uno scatto all'altro. E vediamo se alla fine anche tu ti chiederai del Marocco che ne sai? Pronti, via...


(Un negozio di teiere e lampade di Aladino)


Marrakech è un balzo in full immersion in un'altra epoca. Basta togliere dalle strade gli scooter che sfrecciano tra la gente accalcata davanti a botteghe e bazar che più colorati di così forse si vedono solo a Istanbul. Fatico a capire come sia possibile circolare tutti insieme nella stessa strada senza farsi del male. Gli scooter che procedono in sensi di marcia opposti corrono sempre sull'orlo di un frontale con spargimento di sangue, però non succede mai. Così come il carretto sovraccarico di pelli appena conciate trainato da un asinello che procede ostinato a testa bassa al centro del flusso della folla contromano che al suo passaggio si apre come le acque del Mar Rosso.


(Danni del terremoto del 2023)


In sella allo scooter sono le donne a osare di più. Avranno anche l'Hijab fino ai piedi, ma se non ti scansi hai due possibilità: essere mandato a quel paese, lontano dalla medina di Marrakech, oppure essere arrotato. E allora scansati!

Mi scanso, scatto fotografie e penso a quello che, nel bellissimo rijad di cui siamo ospiti, ero riuscito a leggere la sera precedente. E cioè più o meno quanto segue...


(L'incrocio tra un asino e un mulo)


Marrakesh nasce nel 1062 per opera di Yūsuf ibn Tāshfīn, considerato il padre del Marocco, che decide di stabilire qui la casa della dinastia degli Almoravidi. Detto così non colma nessuna porzione di una tua eventuale ignoranza. Però cominci a capire meglio il valore dell'operazione immobiliare, urbanistica e sociale se ti aggiungo che gli Almoravidi erano una dinastia berbera proveniente dal Sahara che usò la conversione all'Islam per avere la supremazia sulle altre tribù del deserto. Poi si sa come vanno queste cose: Yūsuf ibn Tāshfīn dà sfogo alle sue ambizioni: unifica il Marocco, si prende un pezzo di Algeria, estende la sua influenza al sud della Spagna etc etc... Marrakech era la capitale di tutto questo e lo è rimasta, sia pure con progressive restrizioni del regno, fino al 1911, anno in cui la sede delle istituzioni dello Stato è stata trasferita a Rabat.


(Panorama della piazza Jamaa el Fna)


Ma torniamo ai giorni miei. I colori delle bancarelle si infiammano sempre più man mano che ti addentri nel dedalo della Medina verso la piazza più ordinatamente incasinata che abbia mai visto: piazza Jamaa el Fna, il cuore tachicardico della città. Qui appena cala la luce del sole arrivano proprio tutti: residenti e turisti, incantatori di serpenti e pasticcieri, ammaestratori di scimmiette acrobatiche e commercianti di spezie, orchestrine berbere e artigiani di pelletteria. Tutto quanto sotto il cosiddetto "tetto di Marrakech", ossia il minareto della moschea della Koutoubia che dall'alto dei suoi 69 metri è l'edificio più alto della città fin dal 1141. Il suo nome significa moschea dei libri, l'ingresso tuttavia non è consentito a chi non è di fede islamica. Stesso divieto vige in tutte le moschee della città.


(La piazza principale di Marrakech e il minareto della moschea Koutouba)


Noi in piazza arriviamo in gruppo selvaggio un po' prima del crepuscolo, perché l’obiettivo è occupare manu militari una porzione strategica della terrazza di un bar che si affaccia a picco sulla Jamaa el Fna: le foto migliori si fanno da lì, all'ora del tramonto e poco oltre. Una sedia per volta, con una serie di operazioni da commando conquistiamo la postazione, piazziamo i cavalletti e ci prepariamo spiritualmente all'attesa. Il brulichio della moltitudine è un crogiuolo di storie singole che si mescolano a caso sui mille palcoscenici spontanei che si susseguono senza un ordine preciso per tutta la piazza. Ci passerei la notte ad osservarle. E al rientro dal viaggio scoprirò che la mia principale aspirazione è andare a rivedere le mie foto panoramiche della piazza per ritrovare ogni minuscola storia di quello straordinario romanzo popolare che quotidianamente piazza Jamaa el Fna racconta a chi vuole vedere e sa ascoltare... Il canto del muezzin della Koutoubia irrompe al tramonto, seguito a cascata dagli inviti alla preghiera che arrivano da tutti gli altri minareti.


(Storie di piazza)


Scattiamo: atmosfera effettivamente meritevole di attenzione fotografica. Bella luce, bei colori, belle trame disegnate dai faretti dei chioschi di frutta e di bibite schierati tatticamente nella piazza. I fumi della carne grigliata creano scie di nebbia profumata e ci avvisano che è ora di riporre le attrezzature e andare a cena.


(Storie di piazza)


La meta non è così facile da raggiungere. Le due vie di accesso pedonale alla piazza sono intasate all'inverosimile, a un certo punto la strada si stringe ancora e i due fiumi di persone che procedono in direzioni contrarie si bloccano completamente. Siamo tutti fermi, pressati l'uno contro l'altro, non si va avanti e non si capisce perché. Nessuno protesta, anzi, è un rito l'andare e il venire dalla piazza. Niente panico, tutti sorridono, prima o poi si ripartirà. E infatti ripartiamo, piano piano sì, però si va. Ancora qualche metro e la strada si allarga. Liberi tutti. Non sapremo mai quale fosse l'intoppo. Marrakech vive di misteri oltre che di turismo, commercio, religione e traffico di minerali che arrivano dall'Atlante. Non credo sia una brutta vita. Paese di giovani il Marocco. Paese in marcia il Marocco, mi ricorda la Spagna di 40 anni fa: case in costruzione ovunque, vitalità sorprendente, gentilezza e sorrisi. Anche se le ferite lasciate dal terremoto dell'anno scorso sono ancora aperte e spesso fanno una certa impressione.


(Storie di piazza)


Domani si parte per la prossima tappa del tour: le montagne dell'Atlante, un altro mondo...

(1-continua)

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