Scabra e solitaria, fuori dalle rotte più battute dai villeggianti, si acquatta Serifos, tra le cui rocce si cela, secondo la leggenda, la grotta dei Ciclopi da cui Ulisse sarebbe fuggito suscitando le ire di Polifemo. La piccola Serifos (nota in italiano anche come Serifo o Serfanto) è un’isola dal passato travagliato, che ha visto avvicendarsi arabi, veneziani, turchi e persino russi in epoca zarista, prima di tornare, circa due secoli fa, a far nuovamente parte della Grecia. L’approdo al porto di Livadi, affacciato su un mare dal blu perfetto, avviene in silenzio, all’insegna della semplicità: niente insegne turistiche dai colori sgargianti, nessun servizio di barche per scoprire le meraviglie dell’isola, nessun veliero finto antico né alcun altro ammiccamento al visitatore. La schiva Serifos non aspira infatti al turismo di massa e non ostenta le sue attrattive. La sua ruvida bellezza va esplorata e scoperta da soli, assaporata a un ritmo lontano dalle frenesie metropolitane, chiedendo eventualmente lumi agli abitanti, gentili e ospitali. La vegetazione è bassa; abbondano i capperi e il timo, gli ulivi e le tamerici. Il paesaggio è spesso brullo con spettacolari squarci sul mare.
L’isola è sovrastata da una splendida Chora, arroccata in alto con le sue casette bianche dalle porte colorate, con stradine e scalette che si arrampicano fino al Kastro (castello), da cui si gode una vista a 360 gradi.
Al suo centro, accanto al Municipio, una piazzetta dove si può prendere posto sulle sedie colorate di giallo e di azzurro di uno dei tanti bar che preparano il caffè secondo il metodo tradizionale oppure bere un aperitivo in un turbinio di vento ammirando il tramonto.
A completare il quadro vi sono tre mulini a vento uno in fila all’altro, che però, purtroppo, sono stati privatizzati.
Per molti secoli Serifos è stata anche la “Dama di ferro delle Cicladi”: lo sfruttamento dei suoi giacimenti, iniziato sin dall’antichità, ha vissuto la sua fase più intensa a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. L’attività è cessata nel 1963, ma a testimoniare il passato minerario restano ponti di ferro, binari e vagoncini abbandonati qua e là e soprattutto a Megalo Livadi, il porto minerario dell’isola dove si può ancora vedere l’edificio neoclassico fatto costruire dall’imprenditore austriaco Emile Grohmann - ora in rovina - che ospitava la sede dell’impresa che gestiva l’attività estrattiva.
Il borgo, che si protende verso un mare insolitamente verdissimo, è circondato da un paesaggio lunare e vi aleggia un’atmosfera un po’ surreale. Nelle viuzze alle spalle del porto, dove il tempo sembra essersi fermato, le vecchiette siedono a ricamare davanti alle case cercando un po’ di fresco.
Immagine ricorrente dell’iconografia di Serifos è la Medusa, la cui immagine compare sotto svariate forme nell’architettura locale. Secondo il mito classico, infatti, fu proprio qui, in quest’isola dove sua madre Danae aveva trovato riparo e salvezza, che il semidio Perseo, con l’aiuto degli dei, delle tre Graie (che condividevano un unico occhio e un unico dente) e delle Ninfe stigie e a seguito di memorabili peripezie, portò al re la testa mozzata della Medusa senza tramutarsi in pietra e salvando la madre da un triste destino.
A due passi dal porto compaiono già due bellissime spiagge. La prima è Livadakia, con l’ombra delle tamerici che giunge fin quasi al mare, un’altalena e un’amaca a disposizione dei bagnanti, gatti fin troppo amichevoli e la taverna di Vasilia, pronta ad accogliervi a tutte le ore del giorno e della notte, e dove, dopo una volta, si è già considerati degli habituées. Poco più in là la baia di Karavi, che nasconde sotto l’azzurro delle sue acque un antico relitto.
Pur essendo state sconsigliate, cerchiamo di raggiungere, scendendo lungo un ripido sentiero dove tutto è stato carbonizzato da un incendio, la splendida baia ovale di Kalo Ampeli incastonata tra le rocce. Tutta la montagna è bruciata, l’odore acre di fumo è quasi intollerabile e il paesaggio è apocalittico. A un certo punto il sentiero finisce cancellato dalle fiamme e occorre rinunciare all’impresa. Ma solo per questa volta.
Più avanti c’è quella si dice sia la spiaggia più incantevole di Serifos: Malliadiko, nota per essere il segreto meglio conservato dell’isola, tanto ben conservato che, almeno noi, non siamo riuscite ad individuare il sentiero per accedervi. Per consolarsi dello smacco ci sono però, sempre sul versante occidentale dell’isola, due spiagge tranquille di sabbia dorata facilmente raggiungibili: Ganema e Vagia.
Sul versante orientale da non perdere le due spiagge di Agios Sostis divise da una scogliera e sormontate da una chiesetta bianca col tipico tetto blu, che si staglia nitida nel cielo e dove è possibile andare a suonare la campana.
Da ricordare anche Psili Ammos, che, per la sua sabbia dorata e sottile nel 2003 fu addirittura selezionata dal Sunday Times come “spiaggia dell'anno”.
All’estremità settentrionale dell’isola, sotto il monumentale monastero quattrocentesco di Taxiarchon, si trovano le due spiagge di Platys Gialos, miracolosamente deserte a inizio luglio benché bellissime. Anche qui non mancano le tamerici; attenzione però, perché nelle giornate particolarmente umide dai loro rami piove resina e vi troverete tutto macchiato (ma va via in lavatrice).
In parole povere, non resta che accogliere l’invito degli abitanti: Πάμε παραλία! (Andiamo in spiaggia!).