SVEVIA
CHIAMA ITALIA
LA STELE
DI BAD WIMPFEN

MCCXXIV - 2024: come sappiamo e come sanno soprattutto i napoletani, che ne vanno fieri, quest’anno si festeggiano gli 800 anni di vita dell’Università degli Studi di Napoli (per le celebrazioni in corso durante tutto l’anno si può visitare il sito dedicato, https://www.800anni.unina.it/): si tratta della prima Università fondata “dall’alto”, ossia non dall’associazione spontanea di studenti e maestri, bensì dalla lungimiranza di un sovrano, l’imperatore Federico II di Svevia, del quale infatti l’Università di Napoli porta il nome. La complessa e contraddittoria figura di questo imperatore è stata delineata nel solito modo frizzante e colorito dal medievista-star Alessandro Barbero, il quale ha tenuto nel mese di marzo al Teatro San Carlo di Napoli una conferenza dal titolo “Federico II tra storia e leggenda” (e che Barbero sia una star lo dimostra il fatto che la fila per procurarsi i biglietti arrivava fino al Maschio Angioino e che non soltanto il teatro era pieno, ma con tutti quelli che non erano riusciti a entrare si sarebbe probabilmente riempito anche lo Stadio Maradona). Chi non era presente può facilmente recuperare la conferenza nei principali media e accostarsi così un po’ più da vicino alla figura dell’imperatore medievale, “Stupor mundi”, che riunì nella sua persona il ruolo di imperatore del sacro romano impero germanico e quello di re di Sicilia, oltre ad altri appellativi e titoli vari, e del quale è noto il legame con l’Italia meridionale, tanto che in Germania Federico veniva chiamato “Das Kind von Apulien”, reso in italiano da Barbero, estendendo il concetto di Puglia, con “il ragazzo del Sud”. E sembra proprio che l’appellativo, mirante appunto a sottolineare l’appartenenza di Federico all’Italia meridionale più che alla Svevia, terra paterna, avesse in tedesco un che di dispregiativo.


(Lo stemma degli Hohenstaufen)


Ma si fa presto a dire Svevia. Sappiamo tutti dov’è? Io per esempio, approdata da giovane napoletana alla fine degli anni Ottanta in Germania a imparare il tedesco, lo ignoravo, e lo scoprii allora: la Svevia è una regione storica della Germania meridionale, che oggi non esiste più dal punto di vista politico-amministrativo, bensì solo dal punto di vista storico-culturale e linguistico (lo svevo – schwäbisch - è un dialetto tedesco difficilmente comprensibile ai non-svevi), delimitata a ovest dalla Foresta Nera, a sud dal Lago di Costanza e corrispondente in gran parte all’odierno Württemberg del Land Baden-Württemberg e a una piccola parte della Baviera. I tre leoni neri rampanti su fondo giallo dello stemma della famiglia di Federico di Svevia, gli Hohenstaufen o Staufer, sono stati incorporati in quello ufficiale del moderno Land Baden-Württemberg, a memoria appunto di questa origine. Il primo Duca di Svevia - in tedesco Schwaben - era stato un avo di Federico II, nato un secolo e mezzo prima di lui e nonno di Federico Barbarossa, a sua volta nonno del “nostro” Federico. La storia degli Hohenstaufen ha intrecciato per più di un secolo le sue sorti a quelle della penisola italiana, dai tempi della Lega lombarda fino alla decapitazione del povero Corradino in Piazza Mercato a Napoli nel 1268.


(La Hohenstaufentor)


Sarebbe dunque un’idea interessante per un viaggio europeo, quella di seguire le tracce degli Staufer tra Germania e Italia. A questo proposito, richiamiamo qui una vecchia iniziativa, inaugurata alla presenza del Console italiano a Stoccarda, capoluogo del Baden-Württemberg, in occasione del 750° anniversario della morte di Federico II nel dicembre del 2000, che mirava a immortalare i luoghi degli Staufer attraverso delle stele commemorative, le “Stauferstele” o colonne degli Staufer, realizzate dall’artista svevo Markus Wolf. L’operazione è stata in effetti criticata per la sua parzialità: finanziata da donatori per lo più tedeschi, tra il 2000 e il 2018 ha posto 38 stele commemorative per la gran parte proprio nel Baden-Württemberg, in luoghi non sempre significativi per la storia dei sovrani svevi, trascurando invece moltissime località soprattutto italiane, che furono al contrario storicamente molto importanti. Ormai l’operazione può considerarsi conclusa e le stele italiane si trovano solo a Castel Fiorentino Torremaggiore (FG), località dove è morto Federico II, a Bari e a Siracusa, rendendo l’iniziativa decisamente incompleta, nonostante l’attenzione posta all’aspetto estetico, con la forma ottagonale delle colonne che riprende la pianta di Castel del Monte, con l'estremità superiore formata da una banda dorata che simboleggia la corona imperiale e con le iscrizioni distribuite su quattro delle otto superfici laterali.


(Castel del Monte)


Una di queste Stauferstele, la numero 10, l’ho vista a Bad Wimpfen, una cittadina di circa settemila abitanti che si incontra se si segue il corso del fiume Neckar viaggiando verso nord da Stoccarda per raggiungere Heidelberg. La sua silhouette in alto sulla collina si riconosce da lontano, una sorta di skyline medievale con le mura, le case a graticcio, le due snelle torri orientali della chiesa risalenti al tredicesimo secolo, ma soprattutto la Torre blu, che fa pensare al castello della Bella addormentata nel bosco e che deve il suo nome al colore del tetto di ardesia. La Torre blu è in realtà parte essenziale della Kaiserpfalz, parola che solo approssimativamente si può rendere con “palazzo imperiale”, perché questa traduzione non evidenzia quello che di peculiare aveva una Pfalz nel medioevo: palazzo imperiale sì, ma pro tempore, un po’ come un temporary store. Le Pfalzen erano sedi temporanee del potere imperiale (Kaiserpfalz) o regio (Königspfalz). La Pfalz di Wimpfen, fondata da Federico Barbarossa alla metà del XII secolo in una posizione adatta alla difesa lungo il percorso del limes romano, in una località già abitata dai tempi dei Celti, era la più grande a nord delle Alpi e viene anche chiamata Stauferpfalz, unendo direttamente il sostantivo al nome della famiglia. Oltre alle mura e alla Torre blu, sono ancora oggi conservate le arcate affacciate sul fiume che costituivano il primo piano del palazzo, la cappella palatina, la Porta Hohenstaufen, una casa romanica in pietra e infine la Torre rossa, un torrione difensivo in pietra calcarea, tufo e arenaria, che deve il nome a un tetto di mattoni rossi andato distrutto durante la guerra dei Trent’anni. Questa torre costituiva l’ultima difesa per l’imperatore in caso di pericolo ed era attrezzata per dare riparo a lui e alla sua corte.


(La Torre blu)


Trattandosi di una residenza transitoria, sono registrati i diversi soggiorni degli Staufer presso il palazzo di Wimpfen, da Federico Barbarossa al figlio Enrico VI, a Federico II e al suo figlio primogenito Enrico VII. La Stauferstele numero 10 riporta alcune date di questi soggiorni. Ma soprattutto, su questa stele viene commemorata la figura di Enrico VII, con due momenti salienti della sua triste storia, che è la storia di un figlio ribelle, strumentalizzato dal padre, il quale gli concedeva e toglieva titoli (re di Sicilia, re dei Romani, re di Germania…) a seconda della propria convenienza del momento e che lo lasciò crescere in Germania, lontano dalla famiglia e sotto la tutela di principi ed ecclesiastici tedeschi che lo manipolavano per i loro interessi. Si racconta che Enrico VII abbia sviluppato negli anni un odio profondo nei confronti del grande padre e che abbia complottato contro di lui, arrivando ad allearsi con i suoi più acerrimi nemici.


(La Stauferstele numero 10 e la storia di Enrico VII)


Il primo dei due momenti ricordati dalla stele è la donazione nel 1224 (dunque nello stesso anno in cui Federico fondava l’Università a Napoli) da parte di Enrico VII ai cittadini di Wimpfen, suoi sudditi fedeli, di una foresta per esclusivo godimento, come proprietà collettiva (questi diritti sono rimasti in essere per la cittadinanza di Wimpfen fino al 1956!). Il secondo è quello tragico della resa del figlio al padre, dopo che Federico era arrivato in forze in Germania proprio allo scopo di domare la ribellione, che si faceva sempre più minacciosa. Il testo inciso sulla stele recita: “Il ribelle Enrico VII si arrende inutilmente a suo padre Federico II il 2 luglio 1235 nella Pfalz di Wimpfen. Fatto prigioniero subito dopo a Worms, finisce la sua vita dopo lunga prigionia nel febbraio 1242 a Martirano in Calabria. Sepolto nel Duomo di Cosenza.” Che si sia suicidato, come dicono, dopo sette anni di prigionia in diverse carceri dell’Italia meridionale, gettandosi dalla rupe del castello di Martirano, oppure che sia morto a seguito di una malattia, come le ultime ricerche proverebbero, quel che è certo è che il primogenito dello Stupor mundi ebbe una vita infelice, schiacciato dall’incombente figura paterna. A Martirano non c’è nessuna stele.

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