TURCHIA
DI BODRUM
DALL'EGEO
ALL'ANATOLIA

No card, only cash”.

Sono dentro una fusoliera più che a un taxi. Un caldo atroce che mi fa gocciolare così tanto da sudare pure l’acqua del battesimo. Guardo dallo specchietto retrovisore il tassista, attonito.

“Why, no card?”, faccio io. Quello mi ricambia lo sguardo, ancora più attonito. Scopro dopo che qui a Bodrum, e più in generale in Turchia, è quasi una follia pagare con carta visto che la lira turca ha un’inflazione spaventosa e i pagamenti con pos comportano commissioni altissime per gli esercenti. Ma tutto questo non lo so ancora. Come uno sfollato, degno componente dell’armata Brancalone, vago per strade e viuzze alla ricerca di un ATM. Lo trovo, cambio senza sapere cosa sto facendo esattamente. Sul display dello sportello compaiono solo arabeschi e voci registrate, incomprensibili. Mi affido alle immagini, spingo un bottone. É fatta, miracolosamente.



Un battesimo del fuoco, mi viene da pensare. E sono appena da poche ore qui a Bodrum, eufemisticamente chiamata la Montecarlo turca. Certo, per panfili e yacht ormeggiati in rada. Roba da ricconi cosmopoliti, qualche magnate russo (le sanzioni non esistono nel paese di Erdogan) e petroldollari in crociera. Tuttavia, le similitudini si esauriscono qui. Montecarlo qui non esiste, ma di questo vi parlerò in seguito. Arrivo in hotel e dopo una mattinata passata a smadonnare e a imprecare (il personale in reception non parla una sola parola di inglese), riesco con un altro miracolo a cambiare camera (quella assegnata era un tugurio) e soprattutto a noleggiare un’auto. Perché, ai quanti di voi che stanno pensando di venire a Bodrum, c’è bisogno che sappiate che qui l’auto ve la noleggiano solo se in primis siete dotati di passaporto, in secundis se sapete guidare col cambio automatico. Ed io, ovviamente, sono sprovvisto di entrambi i requisiti.



Col mio inglese impastato di strafalcioni e Google traduttore entro in contatto con un certo Serkan. Scopro, senza saperlo, che è il mio referente qui nell’antica Alicarnasso. Si presenta con una ventiquattr’ore. Sembra un agente di commercio. In pantaloncini, la faccia bruciata dal sole e dalla barba, con in mano un fascio di depliant dove ci sono escursioni e offerte. Tutti pacchetti. Pagamento possibile anche con carta, e quasi mi viene da piangere per l’emozione. In men che non si dica, quando già sto maledicendo tutti gli dei per essere piombato qui, atterra davanti al mio hotel una macchina. Una poderosa Dacia Sandero rossa. Il titolare, un incrocio tra Andrew Zimmern e un pascià, si chiama Osman e la sua società naturalmente è la Osman Bay rental. Fantasia portami via. Sono esausto, il sudore mi esce dalle orecchie. Liquido la trattativa e i convenevoli in un amen. Voglio solo mettermi in macchina e partire.



Bodrum è penisola. Per definizione quindi protesa al mare verso tre parti. Tre parti che non le appartengono. La costa turchese, o turchina, è una lunga linea di confine con il Dodecaneso e con l’Egeo. Ti affacci e di fronte è già Grecia. Un altro mondo. Punta la bussola, anzi Google maps, verso la parte più a ovest della penisola. Non ci sono autostrade. Solo un’unica, enorme arteria. La D330 che di fatto collega Bodrum dall’Egeo al cuore più selvaggio dell’Anatolia. La regina viarum di Bodrum. In poco meno di mezz’ora arrivo a Gümusluk, l’antica Mindos ricordata da Plinio il Vecchio. Poche migliaia di anime, tutte di pescatori. Un borgo colorato, affollato di turisti e spezie, barche ormeggiate e stranieri che mangiano di tutto.



Questo posto è capace di calmarmi, dopo una mattina da romanzo thriller. La gente è accogliente, i mercanti sempre sorridenti mentre sorseggiano tè o fumano narghilè. Avviene tutto per strada, come nella migliore tradizione araba. Mercati, cibo, incontri. Tutto per strada, senza barriere, senza confini. La voce del muezzin si diffonde a un certo punto per tutto il paese. C’è chi prega, chi ascolta, chi ignora. Lo stesso scenario lo trovo poco più a sud, quando entro a Turgutreis. La città che ha dato i natali a Turgut Reis, il celebre Dragut, corsaro e ammiraglio ottomano che tante favole e romanzi ha alimentato. Turgutreis è incantevole. Una moschea, incorniciata da una coppia di minareti. Tutto è in funzione del mare. Una promenade gioiosa, con i colori dell’estate dentro, che dalla moschea porta fino ai ristoranti e al grande Bazar. Mi sembra di essere finito dentro un’antica fiaba. Non solo spezie ma tappeti, profumi, locali, bigiotteria, e tanta, tantissima, civiltà.



È l’ora del crepuscolo. Quello che mi entra negli occhi è uno spettacolo commovente. Il sole si spegne tra il porto - da dove ogni giorno partono traghetti in direzione di Kos, patria di Ippocrate - e il nugolo di isolotti che sembrano disegnati direttamente dalla mente di Omero. Un caicco fa ritorno al porto, fende l’acqua tranquilla, i turisti scattano selfie in continuazione. Sulla stessa banchina gruppi di pescatori rattoppano le reti, con mani veloci e povere, mentre il mare si spegne nel tramonto.

(1. continua)

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